multinazionali-consumismo_fonte_ilcambiamento.it_Forse qualcuno sopra i quarant’anni e con alle spalle scuole ancora decenti, ha sentito parlare delle due guerre dell’oppio condotte dalla Gran Bretagna della regina Vittoria, quella che si scandalizzava per le gambe dei tavoli scoperte, contro la Cina allo scopo di liberalizzare nel grande Paese il commercio della droga che la dinastia Qing si ostinava a combattere. La materia prima di questo conflitto proveniva dal Bengala dove la Compagnia delle Indie ne aveva sviluppato la coltivazione e voleva ampliare al massimo il mercato, soprattutto verso la Cina dalla quale la Compagnia comprava gran parte dei manufatti trovandosi per così dire in una situazione debitoria . Storia vecchia che sembra ripetersi all’infinito, ma insomma tra il 1839 il 1860 il governo di sua maestà che era poco più della Compagnia con cui di fatto si identificava, riusci ad imporre in qualche modo il “drogaggio” della Cina sperando di fiaccarne la popolazione e dunque di ridurla a possedimento coloniale. Come sappiamo il progetto funzionò solo in piccola parte consentendo l’acquisizione di Hong Kong e successivamente attraverso i cosiddetti “trattati ineguali” tutta una serie di concessioni di cui approfittarono anche Stati Uniti e Francia e in un momento successivo, dopo la rivolta dei boxer, anche l’Italia. A questo proposito è curioso ricordare come l’intreccio delle alleanze portò alla strana circostanza che i primi combattimenti nella prima guerra mondiale si ebbero fra truppe cino – austro – tedesche e giapponesi nel porto di Tsingau dove peraltro si svolse il primo duello aereo in assoluto della storia tra un Fokker tedesco e un Mistubishi del Sol Levante.

Prima che mi lasci prendere la mano e mi lasci andare a raccontare le vicende delle numerose unità della Marina italiana che si trovavano nel porto di Tientsin, dopo l’8 settembre, torno a bomba, ovvero all’uso di una qualche droga per ottenere un controllo impossibile altrimenti. La Cina era troppo grande, troppo abitata, troppo raffinata per averne ragione senza averne prima scardinato le basi sociali e i rapporti di potere tradizionali con un qualche paradiso artificiale , ma se l’uso dell’oppio nel tentativo britannico di penetrazione costituisce forse l’esempio storico più evidente e più vasto di un uso di una droga come strumento bellico, un qualche oppio non manca mai nell’arsenale del potere, vuoi che costituisca un tramite verso il mondo celeste per conferire a sacerdoti e sciamani un’autorità sul mondo dei vivi e dei morti, sia che serva ad attutire e rendere impotente il malcontento o ad aumentare le capacità di lavoro e di sfruttamento come nel mondo andino o addirittura come distintivo sociale delle elites come dall’Ottocento in poi nelle società occidentali. si tratta di usi che in qualche modo seno sincronici, ossia contemporanei, fanno parte di un modo di vita.

Il fatto è che spesso la droga non si vede: l’alcol in quanto sostanza tradizionale pur essendo una delle droghe più forti e dannose per l’intero organismo, non è percepito come tale, il fumo si è affermato come coadiuvante giovanile verso il sogno, altre come ancora di salvezza dal mondo o fuga da esso o ancora più spesso come necessarie alla propria fisiologia sociale: a meno che non si sia costretti a delinquere per procurarsele finendo per diventare ancor più dei paria, spesso l’assunzione di sostanze diventa in un certo senso “normale”. Tuttavia viene considerato “oppio” solo ciò che è chimicamente psicotropo, mentre sfuggono all’osservazione le droghe invisibili, quelle che fanno parte del quotidiano e che paiono assolutamente estranee all’immaginario comune. Le peggiori sostanze sono invece proprio quelle di cui non ci accorgiamo, che non hanno una precisa fisicità, ma di cui siamo completamente schiavi: la bulimia consumistica per esempio è una delle più letali perché troviamo gli spacciatori in ogni momento e su qualsiasi mezzo di comunicazione, perché permette di essere tranquillamente spacciata anche davanti agli asili infantili, perché crea crisi di astinenza tali che si è disposti a qualsiasi compromesso, a qualsiasi resa e a qualsiasi cecità pur di non essere esclusi dalla giostra folle del consumo. Al suono di una musica ridiventata tribale, ridotta a battito cardiaco, davanti a un arte divenuta show, a una cultura ridotta a cartone animato e favola orrifica per bambini inutilmente cresciuti, a una letteratura piegata alla prosaicità del giallo, alla poesia scomparsa, alla mancanza di qualsiasi espressione originale e insieme interessante, non possiamo fare a meno dell’ultimo dispositivo, dell’ultima cazzata, dell’ultima dieta da imbecilli, dell’ultima tendenza o di essere un qualche santino nei social network che esercitano la propria censura morbida o patibolare quando si dice qualcosa che non va bene. Oppure, altra pillola di esctasy estratta dalla psicologia delle masse, di scambiare libertà con una sicurezza che viene messa inforse proprio dai suoi commessi viaggiatori.

E’ questa la guerra dell’oppio delle elites dove chimica e memi si incontrano nel nome del potere e del profitto, traghettati verso l’Olimpo dal mercato. Cosa potranno mai fare gli oppiomani, ingozzati da novità senza incanti, per ribellarsi e per rifiutare i trattati ineguali?  Forse nulla, ma chissà, nelle più lontane periferie dell’impero, o più probabilmente altrove si sta riformando una forma di lucidità, di passione, si stanno ricreando capacità di incanto. Dopotutto è stata la sterminata campagna cinese con la sua civiltà diffusa a salvare la Cina e non certo il potere corrotto degli ultimi imperatori.