maAnna Lombroso per il Simplicissimus

Poco importa se Marino sia  stato assolto, scagionato, condannato per una ridicola vicenda di relativismo morale basata più sul volume della trasgressione che sulla sua natura e che rammenta altre gestioni  amministrative un bel po’ arruffone del periodo americano dell’illustre clinico.

Perché in ogni caso il processo di beatificazione extra mura vaticane e in attesa della risolutiva Cassazione, procede spedito in virtù di due considerazioni. La prima è che ogni occasione è buona anche grazie al contributo di quella iattura della Raggi, per demonizzare gli empi 5stelle e la sindaca peraltro legittimamente eletta, sia pure con una legge truffaldina come sono ormai tutte le leggi elettorali che nel migliore dei casi costringono a nominare il meno peggio.

Raggi come Marino ha vinto, ma in ambedue i casi per il Pd si è trattato e si tratta di un’affermazione democraticamente irrilevante,  che intralcia i propositi, le vanità e le smanie del leader e che può essere   disattesa proprio come i pronunciamenti referendari.

Così per i timorosi del populista che alberga in loro l’occasione è buona per attribuire la colpa della detronizzazione non a chi ha mosso la campagna per togliere di torno una scheggia impazzita, ma a chi ne ha lecitamente approfittato sancendo il successo della candidata, favorito innegabilmente dalla volontaria rinuncia del Pd a governare l’Urbe e a assumersi l’onere di un ingombrante passato.

La seconda considerazione che sta alla base della santificazione di Ignazio Marino  è che la persecuzione e lo status di vittima, salvo per i richiedenti asilo, pare costituisca di per sé una prova di innocenza e di irreprensibilità, presupposto di canonizzazione e imperituro rimpianto.

Il fatto è che, invece, il cosiddetto marziano a Roma che ha fatto della sua estraneità rispetto alla città, ai suoi problemi e ai suoi cittadini, del suo disinteresse e della sua indifferenza  professata anche mediante reiterate missioni e vacanze estere, preclare virtù di amministratore, dimostra che l’onestà e la trasparenza amministrativa sono condizione necessaria certo, a non sufficiente a svolgere funzioni pubbliche.

A be guardare Marino sindaco è uno sconcertante   ibrido che riassume in sè i caratteri del grillismo e quelli del partito di origine e provenienza. Combinando  la pretesa di onestà come criterio e requisito unic, in barba a competenza, creatività, indipendenza dai poteri forti,  capacità di ascoloto e volontà di rappresentare l’interesse generale,  con  vizi e attitudini peculiari e propri del partito alla cui leadership aveva aspirato: la coazione agli annunci, molte parole e pochi fatti, uso a buso della “impopolarità” come cifra di scelte scomode per il popolama comode per le élite e la nomenclatura grazie a operazioni solo apparentemente di rottura e con effetti puramente simbolici.

Basta mettere una crocetta a fianco dell’inventario delle sue opere realizzate  dal 12 giugno 2013 al 31 ottobre 2015, poco tempo meno del regno della Raggi e  tralasciando alcune mondane intemperanze ormai dimenticare come il famoso viaggio coi suoi cari a Filadelfia su “invito” sbrigativamente  smentito, del santo padre.  Basta pensare alla sua estemporanea pedonalizzazione dei Fori eseguita in semi clandestinità e in tutta fretta ad agosto senza la necessaria preparazione e l’indispensabile programmazione dei flussi di traffico  che ha condannato l’area palatina alla morte per traffico e il Colosseo a sede deputata per la consacrazione della metro C, la madre di tutte le corruzioni a detta  di chi dovrebbe intendersene e sulla cui utilità continuiamo a interrogarci come allora, quando il dinamico sindaco provvide a tagliare più di 70 linee urbane.   O che dire della propagandata chiusura di Malagrotta che avrebbe sottratto la gestione dei rifiuti  al monopolio esclusivo del patron della monezza, anche quello atto metaforico che ha trasferito il brand a un’altra lobby avvelenata quella dell’esportazione costosissima e eco indifendibile di rifiuti all’estero.   O la altrettanto pubblicizzata decapitazione dei vertici delle aziende di servizio, preliminari alla loro desiderata consegna a potentati privati, affini a quelli i cui appetiti venivano appagati dal si entusiasta allo Stadio della Roma, dalla candidatura alle Olimpiadi, dalla messa all’incanto a poco prezzo del patrimonio immobiliare pubblico, e pure quello artistico proposto in missioni da piazzista presso sceiccati e emirati,  dal consolidamento della pratica di prendere in affitto uffici e sedi di rappresentanza comunali lasciando inalterati privilegi sottoposti a accurato inventario senza esito alcuno.  E porta proprio il marchio Pd la strategia messa in atto nel caso di occupazioni abusive, tramite commissioni di indagini e taglio dei servizi essenziali per i trasgressori. Niente di diverso dalle esternazioni del marziano in visita pastorale presso incauti alluvionati rei di non aver osservato le norme di sicurezza e di essersi collocati sulle infauste rive dell’Aniene e trattati come auguste personalità in visita trattano i terremotati riottosi all’espatrio.

Marino come altri è stato certamente oggetto della pulizia etnica messa in atto dalla stessa organizzazione cui aveva aderito e del cui ombrello protettivo aveva beneficato. Parenti serpenti si dice. E a distanza di tempo poco interessa se le sue incontinenze avessero preoccupato perché parevano manifestazioni cliniche o perché avevano l’apparenza – più che la sostanza – di azioni di rottura con un passato di opachi interessi e oblique alleanze.

Datemi retta: vittime o martiri, perseguitati o angariati da loro simili e affini, di quelli del Pd, compresi transfuga e folgorati tardivi, minoranze presenzialiste nei talk dei porta acqua, liberi o uguali fa lo stesso, schizzinosi appartati o biliosi disillusi, è meglio non fidarsi.