lavoro-1279x500Negli anni ’80 il linguaggio ha subito la prima effusione magmatica dell’eufemismo burocratico che riscattava le condizioni reali non con i fatti che anzi diventavano più esili e incerti, ma con le parole: era la prima massiccia importazione di politicamente corretto, ancora gestito in italiano, ma con i medesimi scopi d’oltre atlantico per cui per esempio il cieco diventava rigorosamente non vedente, lo spazzino operatore ecologico e il povero incapiente. Non era tutto piombo ciò che non riluceva perché le persone svantaggiate sono passate dai termini offensivi come minorato a quelli via via più tenui come handicappato e poi disabile per divenire poi un po’ ipcritamente diversamente abili.

Tuttavia era ben poco, solo un’opera preparatoria: l’avanzata del neoliberismo, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino, che sgombrava il campo da qualsiasi contesa ideologica e proclamava la fine della storia, richiedeva un nuovo linguaggio che da una parte cancellasse i termini delle vecchie relazioni sociali e dunque anche il portato di lotte e contrapposizioni in cui si era creato, mentre dall’altra nascondesse le relazioni reali, la dialettica padrone – lavoratore e le sue conseguenze in relazione all’impoverimento generale cominciato proprio a partire da quegli anni. Così una nuova folata di inarrestabili lemmi inglesi, la scomparsa di alcune parole e la deformazione di altre ha supportato questa trasformazione.

Mi voglio concentare su alcune parole chiave e mostrarne l’effetto:

budget
• collaboratore
• consulente
• dipendente
• imprenditore
• job
• lavoratore
• manager
• operaio
• padrone
• squadra
• team

 

Innnazitutto assistiamo alla scomparsa della parola padrone, come se fosse vergognosa e irreale proprio mentre essa riacquistava il suo pieno e incontrastato significato. Al suo posto compare la parola imprenditore che durante il periodo berlusconiano ha conosciuto la propria consacrazione sia a causa della sua minore criticità visto che definisce solo un’attività e non le sue necessarie relazioni padronali, sia perché implicava nella mentalità comune un’idea di successo sociale a cui ci si voleva disperatamente aggrappare.  Sganciato dai riferimenti che esso aveva nella letteratura economica, il lemma rendeva possibile il riscatto connotativo e nominalistico di una enorme serie di attività non abbastanza elevate o “legittimate” nella scala sociale ancorché spesso fonte di redditi non trascurabili: albergatori, ristoratori, commercianti, baristi, fruttivendoli, tabaccai, meccanici, gelatai, tassisti e chi più ne ha più ne metta sono diventati tutti imprenditori. Più di recente questa parola è sempre più spesso utilizzata come panacea con cui si autodefiniscono i disoccupati di belle speranze.
L’obiettivo finale era di sottrarre ai livelli simbolici del linguaggio la differenza fra chi sta ai remi e chi sul ponte. Perciò la parola dirigente che implica in sé una scala di comando, è stata sostituita da quella di manager, totalmente equivalente, ma priva di riferimenti diretti e intrinseci a un ordine gerarchico. Analogamente a “imprenditore”, anche manager comincia ad essere usato in maniera eufemistca così che un aiutante cuoco può definirsi un manager della ristorazione e un’affittacamenre manager dell’accoglienza.

Parallalente a questo illusionismo stanno cominciando a svanire anche i termini di lavoratore, operaio e dipendente. Adesso si parla quasi esclusivamente di collaboratori lemma che mette in secondo piano la mansione ed elimina ogni accenno alla subalternità, anzi siamo arrivati al punto che gli operai nelle fabbriche Honda basate in Usa gli operai vengono chiamati assistenti: la realtà non cambia, anzi peggiora, ma dire sono assistente alla Honda fa molto più fico, specie durante lo sballo che è il compenso per la sempre più evidente schiavizzazione. L’insieme poi di questi collaboratori forma la squadra o il team, altre parole che nascondono i rapporti di subordinazione e fanno immaginare una sorta di parità sociale e lavorativa. Ed è su questo cambiamento di lingua, oltre che sulla precarietà che fiorisce un altro termine indefinito della contemporaneità, ossia consulente, privo di qualsiasi determinazione specifica e molto spesso solo un modo aggraziato per definire la disoccupazione o lo sfruttamento da parte di chi non vuole assumere.

Del resto lo stesso lavoro si è degradato in job che non ha nessuna delle caratteristiche che noi attribuiamo al lavoro, ma che significa più genericamente attitvità, magari anche temporanea o effimera, escludendo tutto il retroterra di conotazioni che si sono storicamente create e in primo luogo quelle che si riferiscono ai diritti, alla continuità al futuro e anche alla competenza. Termino con la parola budget che è stato sottratto alla terminologia contabile, per diventare elegante sinomino di non ce la faccio. Non è nel mio budget riscatta il fatto che non ti puoi permettere qualcosa nell’immenso parco giochi dell’era contemporanea, non dice guadagno poco, sono povero o è troppo costoso per me, ma prende una parola di uso aziendale per corprire la propria condizione e circondarla di un muro difensivo psicologico.