Tre giorni fa è scomparso Gualtieri Marchesi, il padre putativo della cosiddetta cucina italiana moderna, espressione di cui nessuno ha ancora chiarito il significato, ma che alla fine non vuol dire nient’altro che imprigionare una delle più importanti culture culinarie del mondo nello scialbo conformismo globalista che in ogni campo si presenta con gli stessi caratteri: culto di una supposta e supponente creatività omologata e priva di stile, corsa ossessiva alla novità per stessa in modo da tenere alti i profitti, barocchismo da trompe l’oeil che si rivolge a un pubblico di ricchi e benestanti cui non interessa il cibo, ma solo l’esperienza esclusiva e lo status sociale che essa evidenzia. In questo senso Gualtiero Marchesi è stato suo malgrado un apripista e dico suo malgrado perché ha prodotto qualche effettiva innovazione in cucina, ma nel solco del gusto italiano tanto da rifiutare le tre stelle Michelin: ” ciò che più m’indigna è che noi italiani siamo ancora così ingenui da affidare i successi dei nostri ristoranti — nonostante i passi da gigante che il settore ha fatto — a una guida francese”.
Non aveva tutti i torti soprattutto perché la famosa rossa è ormai un ignobel culinario che da una parte rimane legata alle modalità iper burrose, salsose, pappettose della cucina borghese dell’Ottocento, simbolo opulento di una presa di potere e spesso superficialmente etichettate per cucina francese, quando invece si tratta più propriamente di cucina da ristorante, dall’ altro insegue ogni futile stravaganza dettata e imposta dai giostrai della contemporaneità, ossia da quelli che sono passati in pochi anni dagli hamburger e dalle patatine prefritte a sentirsi fini gourmand e arbitri del gusto. Ma al di là di questo esprit du temp, sarebbe il caso di chiedersi se questa distribuzione di stelle abbia un senso o non sia piuttosto un semplice giro di affari visto che alcune domande rimangono inevase da tempo immemorabile. Che competenza reale hanno quelli che visitano, in un incognito da Pulcinella, i ristoranti, tanto in incognito da non essere nemmeno conosciuti dai dirigenti della società, come si favoleggia con sprezzo del ridicolo? Chi paga il conto delle migliaia di locali e alberghi visitati oltre che le spese di trasferta e viaggio? Chi segnala i ristoranti? Quanto e chi retribuisce questi fantomatici ispettori? Chi paga la notevole struttura che tiene assieme a tutto questo? Avendo una qualche esperienza editoriale posso escludere che tutto provenga dalla vendita della guida cartacea i cui numeri sono in calo costante e che certamente, tra impaginazione, stampa e distribuzione costa più del prezzo di copertina.
Qualche anno fa scoppiò il noto caso di Pascal Remy, un ispettore della Michelin, cacciato via quando si seppe che voleva scrivere un libro, poi uscito con il titolo L’inspecteur se Met à Table , che offre uno spaccato ben diverso: i ristoranti verrebbero visitati solo ogni tre anni e mezzo visto che gli ispettori sono molti meno di quelli che la Michelin dice di avere e dunque il controllo, anche ammettendo la segretezza, è labilissimo se non praticamente inesistente, mentre i ristoranti già famosi e incoronati, specie se francesi e inclini al faux filet, sono sostanzialmente intoccabili. Forse è per questo che spesso si va incontro a cocenti delusioni accompagnate da conti altrettanto brucianti. Ma l’insieme di queste considerazioni non aggredisce il cuore del problema: come si paga tutto questo? Davvero alla Michelin come marchio di pneumatici conviene tenere in piedi un’attività in fortissima perdita? Forse aver messo in piedi una guida per i ristoranti di Tokio può far parte di un tentativo di penetrazione commerciale in un Paese “vergine” e dominato da Bridgestone, ma che senso avrebbe altrove dove il collegamento tra ristorazione e gomme è molto labile se non inesistente? Per esempio con molto meno si può fare lobby perché la cara Europa imponga anche alla parte del sud del continente dove la neve è rara l’obbligo dei pneumatici invernali o si può essere costantemente presenti negli sport motoristici o ancora, visto che la maggior parte dei penumatici sono di primo equipaggiamento, è più fruttuoso fare accordi con le case automobilistiche o al più con i grossisti e ormai anche con i centri di vendita online.
Dunque è un mistero, ma se si tiene conto che secondo una ricerca fatta da Jfc la prima stella Michelin comporta per un ristorante un aumento medio di fatturato ( quello dichiarato ça va sans dire) del 53,2% per la seconda di un altro 18,7% e per la terza di ancora 25,6%; considerando che accanto ai benefici diretti, ci sono quelli indotti, legati all’incremento delle attività extra-ristorante (dimostrazioni, eventi, banchetti “firmati”, consulenze, gadget e/o partecipazioni televisive spesso ancor più remunerative ); aggiungendo che, almeno per i centri minori questo si accompagna spesso a un’attività alberghiera e commerciale non trascurabile, possiamo dire che la guida è un’attività in perdita per chi la fa e invece di grandissimo valore in solido per chi ne usufruisce. Alle volte basta fare due più due per penetrare i segreti più ardui del mondo contemporaneo.
il brutto è che i itaGlia gli stranieri si sono comprati mezza industria italiana ad alto valore aggiunto, e noi si è qui che parliamo “delle frittelle ” di Gualtiero Marchesi…
Da vegetariano pluriennale concordo implicitamente. Ma nella fattispecie c’è anche di piu’. McDonald e’ simbolo primario della cultura corrente. La “carne’ utilizzata negli hamburghers e’ un composto tagliuzzato, tritato e triturato di tutto, ossa, cartilagini, tendini, organi vari e, a detta di chi raramente investiga (fotografare dentro mattatoio e’ punibile per legge) persino le feci di questi poveri animali.
Poi per celebrare la “diversita’” hanno messo a fare il presidente un negro (non ho verificato recentemente ma tale era almeno fino a poco tempo fa). Il quale è compensato a suon di parecchi milioni piu’ tarallucci e vino, mentre il salario di frittaroli, inservienti e gira-patatine non permette di vivere.
Interrogato sull’argomento, il negro, ai lavoratori che non possono mantenere se stessi e una famiglia anche piccola con i proventi dell’impiego, ha suggerito di rivolgersi ai servizi sociali dello stato. Sicche’ alla fine, agli enormi profitti di McDonald contribuiscono anche le tasse dei cittadini per permettere ai lavoratori impiegati di vivere.
Ma non tutto e’ perduto. Negli stati dove il salario minimo e’ stato aumentato, sono gia’ in funzione dei robots che sostituiscono inservienti, frittaroli, cassieri e gira-patatine.
Personalmente ritengo che chi si nutre a McDonald’s e’ un masochista. Essere ospite di Lucrezia Borgia, quale boy-friend di cui la medesima vuole sbarazzarsi tramite veleno, sarebbe, probabilmente, meno dannoso di McDonald a quella che ancora si vuole chiamare salute.
Marchesi aveva in uggia la francesecentrico Guida Michelin ma non ha potuto evitare la “finanziarizzazione” della cucina italiana intesa come Prodotto Nazionale da vendere e piuttosto svendere. Si vede dal precedente post sugli “chef” da televisione.
I francesi hanno una cucina regionale come noi ma meno diversificata della nostra, per evidenti motivi storici e geografici. Da loro poteva essere costruita una “cucina francese”.
Noi abbiamo dovuto appiattire, invece.
Non solo abbiamo perlomeno 20 cucine differenti, ma anche di più, perché in ogni regione ci sono modi diversi di cucinare, dal mare alla montagna, dalla pianura al lago.
Siamo stati invasi da tutti, da nord a sud, e abbiamo mantenuto i piatti di chi ci ha invaso. Questo ha pure arricchito.
L’Italia non è solo pasta/pizza/gelato, e questi tre ultimi negli USA pensano di averli inventati loro, perché loro hanno le catene come PIZZA HUT, l’Italia è una enorme diversità di formaggi per esempio, formaggi differenti davvero, non 800 tipi di camerbert, diversi per odore o ripieno. Parmigiano reggiano ma anche centinaia di diversi formaggi stagionati, gorgonzola ma anche altre decine di formaggi odorosi e molli, formaggi freschi come mozzarelle e stracchino. Ce li copiano. O il nostro gelato, ben diverso dai bidoni di acqua zuccherata e gelata denominata ice cream. O i nostri meravigliosi primi piatti.
E l’UE è stata una ulteriore promotrice dell’appiattimento. Vietato il profumato formaggio di fossa, o lardo di colonnata, non sono procedure asettiche, dice il tedesco mangiatore di salsicce, mentre il francese gongola (qualcuno ricorda la guerra del vino tra Italia e Francia degli anni settanta? Adesso queste guerre le vincono loro, a colpi di direttive). L’inizio della perdita di diversità in nome di presunte norme igienico sanitarie.
Il sospetto denominato “complottista” che vogliano diluire le differenze per portarci a una globalizzazione anche del gusto, ovviamente verso il basso, sorge. Il tripudio di catene di schifezze c’è anche in Italia, prima su tutte l’orrida McDonald’s, di cui mi basta la puzza per tenermi alla larga. Gli USA e gli inglesi non hanno storia culinaria e questo dimostra ancora di più l’insensatezza di vedere masterfuffachef di origini anglosassoni che spiega agli italioti come mangiare…
In Italia sappiamo ancora mangiare in modo sano, non viziato da burri e pappette e fritti misti? In molte case si, e infatti non riesco a capire come ci sia questa proliferazione di ristoranti e cucine che spesso offrono prodotti veramente peggiori di quelli casalinghi.