sole24oreAd essere cattivi si potrebbe dire chi la fa l’aspetti , oppure riprendendo la sublime saggezza degli stupratori potenziali, “se la sono voluta”. Ma sarebbe ingiusto e riduttivo commentare così i due giorni di sciopero dei giornalisti del Sole 24 ore di fronte alla decisione della proprietà, ovvero Confindustria, di ” disdettare unilateralmente un accordo integrativo, con l’immediata conseguenza di un taglio delle retribuzioni”. Inutile fare qui la storia della caduta di un giornale economico che fino a 10 anni fa era il terzo del Paese, ma  che è riuscito a precipitare nelle vendite più degli altri proprio nel momento in cui l’economia, a causa della crisi, è diventata il fulcro degli interessi e delle paure, facendo concorrenza al calcio.

Chissà, magari su quella cifra del 2008 pesava la nota vicenda delle copie gonfiate, ma in ogni caso vediamo dei giornalisti indignati per la caduta degli stipendi, per le decisioni unilaterali che oltretutto vengono dopo il licenziamento di 35 redattori, per la circostanza di dover pagare in proprio e da innocenti una crisi aziendale causata degli errori della dirigenza e per il fatto che questi nuovi tagli mettono a repentaglio qualsiasi possibilità di rilancio. Tutte cose giustissime: peccato però che fino all’altro ieri gli stessi che hanno redatto questo j’accuse erano tra i fautori più oltranzisti di tali provvedimenti quando colpivano altri lavoratori. E in più ci spiegavano che la competitività, la crescita, le esigenze aziendali, la flessibilità e insomma tutto il Pantheon di queste fesserie rendevano assolutamente necessarie se non buone e giuste queste decisioni e le loro modalità, compreso il sempiterno attacco ai sindacati  anche quando comolici che è la sintesu suprema  del pensiero bottegaio. Ma non paghi di recitare questo rosario da beghine del neoliberismo, bacchettavano chiunque osasse dire che magari molte crisi si dovevano alla moneta unica e al tasso fisso che essa crea o all’avidità di profitto o alla voglia di delocalizzare oppure all’incapacità di pensare alla competizione in termini di prodotto, di qualità e di innovazione, piuttosto che di abbattimento salariale che – tra l’altro -porta fatalmente con sé anche un declino di competenze e di sapere. Questo solo per rimanere nell’ambito mercatistico e non sconvolgere qualcuno con la possibilità che l’economia sia per l’uomo e non l’uomo per l’economia.

Comunque messi di fronte allo stesso trattamento usato in centinaia di aziende questi samurai di Confindustria non hanno fatto subito un onorevole e dunque silenzioso harakiri salariale, si sono ribellati e hanno mostrato di considerare  assurde proprio quelle cose che ritenevano assurdo contestare e che spesso e volentieri demonizzavano senza discuterle, lasciandosi tentare dalla lieta campagna contro le fake news che ormai entra persino nel canovaccio dei guitti più squallidi ammanniti dalla Rai per Natale. Probabilmente speravano che a loro non sarebbe toccato mai, allo stesso modo con cui un vasto e variegato ceto che dipende dal pubblico in ogni sua articolazione o fa parte delle cucine di servizio della politica o si arrocca in qualche privilegio, in qualche nicchia o vive nell’angustia, spera che non dando fastidio al manovratore, anzi preferendo non pensare, sarà alla fine salvo. Ma usare la strategia delle rane o delle libellule non è così efficace tra  gli uomini.

E’ un modo di porsi che illustra a meraviglia la complessità delle crisi di sistema davanti alla quale ci troviamo e la forza d’inerzia che si oppone ai cambiamenti radicali di direzione che sarebbero necessari: invece di comprendere che la protesta altrui è una garanzia anche per sé e viceversa, che i diritti degli altri riguardano anche i propri diritti l’uomo della strada del declino, si lascia spesso travolgere nella guerra tra poveri o tra morituri, facendo alla fine il gioco del potere che divide et impera.

Questo succede dovunque, ma è particolarmente evidente nel nostro Paese devastato dalle doppie morali e dall’ipocrisia che ne deriva oltre che da un ossequio istintivo e servile verso il potere.  Tutte cose che entrano in crisi  solo quando si è personalmente toccati e portano a bestemmiare le tavole della legge propagandate fino a un attimo prima in un atto di episodica ribellione senza prospettive nel contesto in cui si svolge, al punto in cui è arrivata l’informazione italiana, al punto in cui si sono spinti gli operatori dellìinformazione.  Per questo la vicenda del Sole non è soltanto una vicenda di giornali e giornalisti nell’età delle peste, è un apologo che presenta a tutti la sua morale e il suo senso e del quale dovremmo fare buon uso, molto più dei salmi padronali stampati sulle sue pagine.