Quando ero bimbo, un secolo fa, Babbo Natale alias Santa Claus era solo un dio minore degli splendori natalizi: tutto era ancora focalizzato sul presepe, sui suoi sfondi stellati, su quell’improbabile, ma affascinante pastorizia da tratturo e al massimo levitava sotto forma di carta stagnola e cioccolato appeso ai rami dell’albero assieme alle palle traslucide e alle prime lucine intermittenti. Del resto i regali li portava la Befana o al massimo Gesù bambino in quelle case dove si poteva esagerare e tutti, anche i più piccoli credevano al Bambino o alla vecchia dell’Epifania, e sapevano o intuivano facilmente che Babbo Natale era un’invenzione. Ed era meglio così perché nelle rare apparizioni il vecchio barbuto tirava fuori un Oh Oh Oh che metteva i brividi, che non apparteneva al personaggio panciuto e bonario cucitogli addosso: aveva come vedremo un’altra più vera e più inquietante natura. Soltanto dagli anni ’70 in poi Santa Claus è diventato il monopolista del Natale man mano che esso si trasformava da ricorrenza religiosa e momento mistico o se si vuole ancestrale rito di passaggio tra la morte della natura e la promessa della sua rinascita, a culto commerciale ovvero a epicentro della modernità ludica ed inerte al tempo stesso.
Certo con tutto quello che succede, con tutto quello che c’è da dire e si dovrebbe gridare sembra ozioso perdere tempo e spazio per parlare di queste cose, ma in realtà la presa di potere di Babbo Natale è l’esempio quasi perfetto ancorché laterale più che marginale dei meccanismi del’egemonia e delle strade maestre: innanzitutto è un caso di scuola, per giunta familiare a chiunque, della strategia del pensiero unico che prende un elemento culturale, sociale, politico e senza minimamente cercare di cancellarlo o di sopprimerlo, lo lascia intatto da fuori, ma lo svuota da ogni significato originario per poi usarlo ai suoi fini. In questo senso la democrazia sta facendo la fine del Natale. Poi, come vedremo, alla celebrazione della divinità viene inopinatamente sostituita l’adorazione di uno spirito del male che appartiene a tradizioni lontanissime ed estranee, profilandosi come emblema di un imperialismo culturale costruito a insaputa delle sue vittime e più omogeneo al sistema di valori e di memi sui ci attualmente si regge il potere. Non c’è dubbio, come vedremo, che il Natale di oggi è più affine al demonianco che non al divino. Infine, come correlato, tutto questo è utile a mostrare come siano sciocche e superficiali le paure identitarie che immaginano guerre di civiltà e temono conquiste dell’Islam, mentre non si accorgono di essere già state svuotate come zucche di Halloween, di avere ben poco da difendere se non forme senza sostanza. Anzi per ironico sberleffo della storia si pongono come presidio al nido del cuculo.
Partiamo dunque dal Babbo Natale storico, l’omone gioviale vestito di rosso che come tutti sanno fu inventato nella sua iconografia attuale dalla Coca Cola sullo stampo delle immagini prodotte nelle seconda metà dell’Ottocento dal disegnatore di origine tedesca Thomas Nast, una specie di fotoreporter del tempo che usava la matita al posto della macchina fotografica ancora di là da venire. Per inciso a lui dobbiamo anche parecchia dell’iconografia garibaldina, avendo seguito la spedizione dei Mille per l’ Illustrated London news, ma la sua opera di addomesticamento di Babbo Natale, non è del tutto casuale visto che Nast la cui famiglia era dovuta emigrare a causa delle idee socialiste era anche fortemente anti cattolico e probabilmente la sua interpretazione bonaria di un personaggio per molti versi oscuro era già diretta a una sostituzione sassone del natale tradizionale. Le precedenti iconografie erano davvero diverse e spesso inquietanti come quella che compare nell’ immagine a sinistra perché in realtà avevano un’origine molto diversa da quella della narrazione costruita nell’Ottocento. Secondo quest’ultima Santa Klaus non sarebbe altro che San Nicola, noto nel medioevo per i suoi miracoli in soccorso di fanciulle e per elargire doni ai bambini. Ma solo agli inzi del 17° secolo in Olanda nacque ufficialmente il mito di Sinter Klaas e i bambini olandesi iniziarono la tradizione di appendere le loro calze al caminetto la sera del 5 dicembre per celebrare la memoria del vescovo. Quando gli Olandesi nel 1626 fondarono in America la colonia di Nieuw Amsterdam (divenuta poi New York) portarono anche questa usanza peraltro abbastanza recente e peraltro combattuta dal rito protestante . Ma essa non ebbe immediatamente fortuna e diffusione: bisognerà aspettare il 1809 quando il saggista americano Washington Irving e la sua satira popolare sulla nascita di New York intitolato A Knickerbocker History of New York, perché Babbo Natale, trasformatosi nel frattempo in Santa Claus, entrasse a pieno nella cultura popolare con i suoi caratteri essenziali come ad esempio la slitta volante (anche se era ancora un carro trainato da un cavallo), la discesa dal camino o l’abitudine magica di riempire una calza con i doni. Anche la data di arrivo era spostata alla notte di Natale, facendo del vecchio una creatura tipicamente americana che si cementerà irrimediabilmente nel pantheon delle american things una ventina di anni dopo con la celebre ( e peraltro orrenda) poesia di Clement Clarke Moore, The Night Before Christmas.
Certo è un po’ difficile concilare tutto questo con un santo del cattolicesimo e infatti non ce n’è alcun bisogno perché per il momento diciamo che San Nicola non c’entra proprio nulla, se non nelle assonanze del nome, come origine di Santa Claus, tanto più che non abbiamo alcuna traccia della sua esistenza reale e la stessa Chiesa 1969 decretò la rimozione della festa di San Nicola dal calendario romano cattolico, unitamente a quella di altri 40 santi, a causa dell’assenza di prove certe in merito alla loro esistenza. Come vedremo nella prossima puntata per trovare degli indizi più consistenti occorre rivolgersi alla mitologia nordica.
Altri interessanti collegamenti storici tra la figura — reale — del santo anatolico e le sue distorsioni folcloristico-mitologiche, sia pre che post-cristiane, si possono apprendere dalla lettura (a partire dalla pagina 40) di un saggio di Alfredo Cattabiani, “Calendario — le feste i miti le leggende e i riti dell’anno”, che è reperibile in versione pdf a questo indirizzo web:
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/varia/calendario.pdf.
A ulteriore conferma di quanto da me scritto nel mio precedente commento riguardo la realtà storica della figura di san Nicola, ritengo utile la segnalazione di questo articolo:
http://www.acistampa.com/story/ecumenismo-nel-2017-obbligatoria-la-memoria-di-san-nicola-4813
In quel testo, tra l’altro, si legge:
“Con una circolare indirizzata a tutti i vescovi il 9 novembre scorso in ricezione del competente Decreto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti del 4 precedente, il presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco, ha stabilito che a partire dal 6 dicembre 2017 diventerà obbligatoria la memoria della ricorrenza di San Nicola vescovo, che è attualmente facoltativa.”
“tanto più che non abbiamo alcuna traccia della sua esistenza reale e la stessa Chiesa 1969 decretò la rimozione della festa di San Nicola dal calendario romano cattolico.” (cit.)
Ammetto di non sapere nulla di questo decreto ecclesiastico risalente al 1969.
Adesso, però, sul sito “santiebeati.it” ho trovato un resoconto biografico, relativo alla persona del santo vescovo Nicola, che è davvero molto dettagliato e pienamente convinto della sua reale esistenza storica nella Chiesa dei primi secoli cristiani.
Riporto qui di seguito uno stralcio di detta, corposa (degna del prospero vecchione su slitta), biografia:
La Patria di San Nicola
San Nicola nacque intorno al 260 d.C. a Patara, importante città della Licia, la penisola dell’Asia Minore (attuale Turchia) quasi dirimpetto all’isola di Rodi. Oggi tutta la regione rientra nella vasta provincia di Antalya, la quale comprende, oltre la Licia, anche l’antica Pisidia e Panfilia.
Nell’antichità i due porti principali erano proprio quelli delle città di San Nicola: Patara, dove nacque, e Myra, di cui fu vescovo.
Prima dell’VIII secolo nessun testo parla del luogo di nascita di Nicola. Tutti fanno riferimento al suo episcopato nella sede di Myra, che appare così come la città di San Nicola. Il primo a parlarne è Michele Archimandrita verso il 710 d. C., indicando in Patara la città natale del futuro grande vescovo. Il modo semplice e sicuro con cui riporta la notizia induce a credere che la tradizione orale al riguardo fosse molto solida.
Di Patara parla anche il patriarca Metodio nel testo dedicato a Teodoro e ne parla il Metafraste. La notizia pertanto può essere accolta con elevato grado di probabilità.
Si puo’ considerare la beatificazione laica di Santa Claus come un altro successo del “cultural marxism” della Frankfurt School.
Del resto dal 1989, negli USA (bisogna pur procedere per gradi,),ogni segno o simbolo di tradizione cristiana e’ bandito per legge da ogni luogo pubblico – ivi compresi crocifisso e presepio. In compenso, dal 12 al 20 Dicembre un’enorme candelabro “menorah” e’ eretto sul prato della Casa Bianca.
E’ tempo di “hannukah,” festival judaico che commemora l’eccidio perpetrato dai maccabei contro i greci e quei giudei che si erano loro assimilati, colpevoli di corrompere la purezza della razza.
cultural marxism della Coca Cola, visto che la laicizzazione del “santo” è opera loro? Quanto ai maccabei, più che razzisti erano molto più simili ai talebani, sedicenti custodi di un’ortodossia religiosa nata da una concezione della religione bacata.
Il consumismo, che tutto divora, Chiesa compresa, come ben scrisse Pasolini in un articolo sul Corriere della Sera sui jeans Jesus oltre 40 anni fa, riesce a sorprendere con i suoi effetti boomerang.
Bene l’ha scoperto il signor Hans, un austriaco di 35 anni, che di mestiere fa il Santa Claus. Mentre stava correndo al lavoro è stato fermato da due sospettosi poliziotti che applicavano una legge di ottobre scorso. Tale legge impedisce a chiunque di coprirsi il viso in pubblico e Hans girava con una preoccupante barba bianca che impediva di vederne i connotati.
Ai poliziotti deve piacere Santa quanto piace a me (zero via zero).
Si è così passati, in un nanosecondo, da “santa Claus” a “santa Burqa”…
https://www.rt.com/news/413424-austria-santa-fine-burqa/
P.S. sto cercando di formare ronde pacifiche (ossimoro vero in questo caso) per prendere a fiondate i disgustosi babbi natale con scala esposti lungo tutte le strade e città italiane.
I cinesi che li producono massimamente, ringraziano questa idiozia, il buongusto si distorce. E a proposito di consumismo e buongusto che dire dei cinesissimi Gesù su croci piene di luci natalizie, nuovi alberi di natale?