calendaAnna Lombroso per il Simplicissimus

Il conflitto di interesse si dispiega in almeno due forme: c’è quella più rozza ed esplicita, quella di Berlusconi, preclaro esempio diventato un’antonomasia, quello della Boschi, quello cioè di uomini .. e donne di stato e di governo che grazie a leggi e misure su misura tutelano rendite e profitti  personali,  carriere e privilegi.  E ce n’è uno che apparentemente non produce  immediate ricadute dirette, in termini di guadagni e soddisfazione di ambizioni e arrivismo individuale, ma non meno deplorevole ed esiziale. È  quello che caratterizza i fan sfegatati di una ideologia che ispira comportamenti e azioni al servizio dell’establishment e contro il popolo, quelli del vero ceto dirigente che comanda, una  oligarchia di finanza, multinazionali, gruppi di pressione e lobby che usa i governi e i parlamenti come solerti impiegati ai suoi ordini.

Dunque su ILVA sostengo la lobby del carbone contro quella del gas e su Tap quella del gas contro quella del carbone. E quei poveracci della lobby del petrolio? con la iattanza spocchiosa che distingue i prodotti di quella fucina di giovanotti viziati e maleducati della compagine governativa, quel salottificio di moscardini tracotanti coi deboli e supini agli ordini dei forti,  il ministro Calenda esce dal grigio e compassato anonimato del passato, così consono  al suo blasone dinastico, e rivela l’intento di assumere un ruolo strategico nel “dopo”, auspicato da quella élite di elevati ragionieri prestati all’Europa, ma perfino da Bersani che a suo tempo lo “candidò” a premier rispettabile e presentabile nelle grazie di rottamati anziani quanto vendicativi, e pure dal Cavaliere, e ci mancherebbe.

I petrolieri sono tranquilli, il ministro preferito dai lobbisti, a vedere la lista di incontri, abboccamenti – trasparenti e dichiarati, per carità, confronti e dialoghi, non li ha certo trascurati, pensando alla accertata simpatia per le trivelle, conforme alla tradizione “ambientalista” del Pd rivendicata da Renzi nella quale splendono come gemme i fondi per le grandi opere della corruzione a discapito del risanamento e consolidamento del territorio, il trattamento speciale e le licenze concesse a Eni e Enichem nel contesto delle fake news sulla promozione delle rinnovabili o l’infame Decreto legislativo 104  che rende la valutazione di impatto ambiente un “affare” riservato,  oggetto contrattazione e negoziato  tra imprese e governo.

Che carriera la sua. Famiglio tra i prediletti di Montezemolo alla Ferrari tanto da diventare tanto  suo assistente e direttore dell’area strategica e affari internazionali allorché quest’ultimo fu presidente di Confindustria, tra il 2004 e il 2008. Abbonato a tutte le stagioni del teatrino neo lib dei think tank, non se ne perde uno: lo si nota nell’organigramma di Italia Futura, associazione politica fondata nel 2009 che annovera tra gli entusiasti Gianfranco Fini, Enrico Letta e Andrea Riccardi,  poi firmatario di spicco  nell’ottobre 2012 del manifesto   Verso la Terza Repubblica, insieme a uno dei più accaniti affossatori del lavoro, l’allora segretario CISL Raffaele Bonanni  e alla sacerdotessa della precarietà Irene Tinagli. Una presenza quella che lo conduce a candidarsi con Scelta Civica, senza successo, però. Ma poco male, l’enfant prodige evidentemente merita un risarcimento, così Letta lo nomina vice ministro allo Sviluppo e poi Renzi lo fa stare sereno, ma davvero riconfermandolo a aggiungendo al suo carnet anche la delega al Commercio Estero. È in quella veste di promettente agente alle vendite, che il virulento atlantista si fa riconoscere durante una missione a New York, quando invita alcuni investitori in qualità di mecenati a aggiudicarsi a prezzi stracciati qualche settore del comparto industriale italiano approfittando del momenti favorevole e si spreca come ultrà di TTIP e Ceta. Sarà parso troppo perfino a Renzi? Fatto sta che tra i due, il rampollo di buona fam9glia romana e il provincialotto rifatto dell’hinterland toscano, non scorre buon sangue e il premier  lo promuove per rimuoverlo  spedendolo a ricoprire l’incarico diplomatico prestigioso quanto futile di  Rappresentante permanente presso l’Ue, da dove lo richiama Gentiloni all’atto di formare il governo in qualità di irrinunciabile figura di spicco.

Si dice che covi in animo il segreto proposito di accreditarsi come il Macron de noantri, che ritenga di aver pazientato abbastanza e ora voglia spiccare il volo verso più alti destini che combinino premierato e leadership. E infatti ad onta   del carisma di “uno straccio umido” (come si disse di un altro notabile comunitario) , di fattezze indistinguibili come si addice a quel Gotha di “tecnici” che pensano di interpretare sobrietà, severità e competenza vestendosi come gli esattori del gas di una volta, l’uomo è invitato in veste di star in tutti in talk.

E poi ci si lamenta della svolta populista che minaccerebbe una democrazia invecchiata senza diventare adulta. Ma come non comprendere chi guarda a   questo personale di governo, come a nemici, che hanno tradito scegliendosi un ruolo di cravattari e tagliagole, di sciacalli e iene, della fatta di quella dirigenza europea che ha perpetrato nei confronti della ribellione greca la più atroce, feroce e ottusa  vendetta e che qui meditano di fare altrettanto per punirci del nostro No.  Qui, dove il grande freddo di una crisi prevedibile e manovrata per stabilire l’egemonia di un impero contro le democrazie, ha colpito di più, impoverendo e declassando persone, lavoro e prerogative, trasformandoli in schiavi, in precarietà senza valori, in elargizioni arbitrarie, tanto che dovremmo essere grati del minimo concesso in forma di “buoni”, mancette e morte dignitosa in presenza di vite senza orgoglio e decenza.