Nel 1405 un enorme flotta di 317 navi, grandi tre o quattro volte quelle europee del tempo e 28 mila soldati, partì dalla Cina al comando dell’Ammiraglio Zheng He per un viaggio di esplorazione a largo raggio che in sette successive spedizioni toccò tutto il sud est asiatico, il Giappone, l’India, l’Arabia, il corno d’Africa, il Mar Rosso e senza mai fare conquiste, anzi favorendo la pace in alcune regioni e spesso liberando i mari dai pirati. Di quel viaggio si narrano leggende fantastiche come quelle che Zheng He avrebbe scoperto l’Australia e l’America e tesi storiche più credibili come quella che fu proprio dalla grande flotta arrivata al Mar Rosso che si diffusero alcune tecnologie ancora sconosciute in occidente come la stampa a caratteri mobili, a differenza della polvere da sparo che era giunta in Europa con i mongoli che già l’avevano usata nei tentativi di invasione del Giappone.
Insomma questa grande armata di mare diventò, anzi fu concepita fin dall’inizio, come una grande via della seta galleggiante, prima che il Paese di Mezzo si richiudesse su se stesso visto che i Paesi visitati erano tutti più arretrati della Cina stessa. Sono basate invece tre piccole caravelle che prese insieme non facevano una nave di Zheng e arrivate nel continente americano per scatenare secoli di guerre e stermini, schiavismo a livelli mai prima conosciuti, feroci colonialismi e predazioni di ricchezze le cui conseguenze durano ancora oggi e che ci inducono per questo a pensare di essere il mondo e non parte del mondo. Proprio queste due storie parallele di navigazione illustrano come meglio non si potrebbe l’impermeabilità della Cina alle nostre teorizzazioni, paradigmi, modi di pensare che applicate al grande Paese non funzionano o appaiono contraddittorie, insufficienti, ambigue come per esempio la questione se l’ex celeste impero possa essere considerato comunista o capitalista. Oppure tutte le considerazioni sulla rivoluzione culturale che noi trattiamo come se si trattasse di un giro di vite del regime e non invece di una battaglia contro le resilienze mandarine, quelle concrete più che ideologiche: senza questa lotta la Cina non avrebbe conosciuto il formidabile sviluppo successivo.
Dunque è questa difficoltà di comprensione che deriva da una pervicace tradizione a considerare tutto secondo i nostri parametri che ci rende difficile comprendere cose che da noi appaiono impossibili anzi in totale contrasto fra di loro e finiscono per sorprenderci sempre. Cito come esempio il fatto che in vent’anni il Paese si è trasformato da grande inquinatore (per conto terzi visto che la produzione industriale serve per almeno il 70% alla bulimia dell’occidente liberista), a sviluppatore delle più avanzate tecniche agricole ecologiche e di produzione energetica pulita. Il rapporto fra alto e basso, tra sudditanza e libertà è molto diverso da come si è configurato da noi, così come è molto diverso il rapporto fra le varie aree dell’immenso territorio nel quale da tremila anni si è sviluppato un sistema di scrittura ideogrammatica che consente la comprensione comune senza gli imperialismi linguistici (e dunque anche le tensioni che questo provoca) che hanno attraverso l’occidente e che lo attraversano tutt’ora in maniera soffocante. Un compito che da noi, sia pure nell’ambito delle scritture fonetiche, è stato svolto per secoli dal latino come linguaggio della cultura e della scienza, una volta che era divenuta lingua morta e dunque scollegata dal potere.
Naturalmente ci sarebbe materia per scrivere altro che un post, ma in ogni modo anche le scarne considerazioni fatte in precedenza sono sufficienti a intuire che tutte le iniziative geopolitiche e finanziarie collegate alla nuova via della seta, si sviluppano secondo un modello diverso da quello occidentale che prevede sempre e comunque centri di comando e colonizzazioni seguendo uno stampo molto simile alla dialettica servo – padrone di Hegel, ma vuole essere piuttosto un allargamento progressivo e in qualche modo partecipativo del centro. Qualcosa del genere anche se di natura più blanda e sfumata l’occidente lo ha conosciuto solo con l’espansione romana di età tardo repubblicana e primo imperiale che di fatto è rimasto un unicum la cui nostalgia è durata millenni e vanta decine di imitazioni, compresa l’ultima, quella dei barbari dell’estremo occidente.
Per questo l’iniziativa cinese avrà successo, come ha avuto successo la penetrazione in Africa così diversa dal modello armato al quale non sappiamo più rinunciare e dal quale vogliamo prendere le distanze nella schizofrenia del sangue e delle lacrime di coccodrillo della filantropia. Ma francamente uno dei modi per uscire dal declino di civiltà cui stiamo andando incontro è proprio la molplicazione del mondo, la nuova multipolarità che avrà il suo centro nel cuore del pianeta, in quello che gli inglesi consideravano il luogo strategico supremo e che invano hanno tentato di conquistare. E’ così che la storia finalmente avrà lo spazio per muoversi oltre il la galera del pensiero unico.
si può guardare:
https://www.pandoratv.it/conversazione-con-sofia/
e qui:
Non mi sento di attribuire intenzioni propagandistiche all’autore dell’articolo. Certo non sappiamo quanti prigionieri ospitino le carceri cinesi. Civiltà il cui linguaggio e’ basato su tonalità e la cui scrittura richiede la conoscenza di molti complessissimi segni, invece di 30 o 40 lettere, sono talmente differenti da non poter essere giudicate con il nostro metro. Il loro “successo” e’, a mio avviso, il prodotto di una cultura, non di un’ideologia.
Per contrasto, ci sono 2 milioni emmezzo di ospiti nelle prigioni americane. Il tutto tramite un circuito vizioso dove molto influiscono le correnti oscure-ma-non-troppo che stimolano le percezioni culturali di massa. Percezioni che da una parte attribuiscono agli etno-europei la colpa di tutto per via della schiavitù – anche se una buona parte della popolazione incarcerata e’ oggi ispanica. E dall’altra (mi riferisco alle varie organizzazioni il cui obiettivo, nominalmente, e’ di studiare come migliorare lo stato socio-culturale delle minoranze), fanno poco per non dire niente. Se si escludono i lauti salari ricevuto dai rispettivi direttori (di minoranza) e personalità impiegate in posizioni di spicco (persino un presidente).
D’altra parte, 73% delle nascite afro-americane sono fuori di matrimonio, 70% dei nati crescono in unità familiari senza presenza paterna e si alimentano tramite il “welfare.” Il tasso di riproduzione e’ molto alto. Alcuni (pochi) leaders afro-americano ogni tanto ne parlano, ma e’ piu’ conveniente e “politically correct” dare la colpa ai “bianchi.”
Quando la polizia uccide un criminale afro-americano, tutti i media ne parlano a iosa. Le statistiche dicono che per ogni crimine di bianco contro negro, ce ne sono 27 di negri contro bianchi, compresi molti casi di stupro.
Le uniche organizzazioni, formidabili nell’asserire la propria supremazia, sono quelle giudaiche. Oltre a essere ricchissime (quasi il 50% dei miliardari americani e’ giudaico), hanno escogitato un sistema esteso dal centro alla periferia, fino alle ultime cellule, vene e arterie del sistema educativo. Per esempio, alla Harvard University la maggior parte dei “graduate students” – 70% – sono giudaici (come da loro pubblicazione “Hillel)”. E questo non per particolare merito scolastico. Ma il sistema di accettazione alle università cosiddette “ivy league” – da cui escono le elites in tutti i campi, specialmente politici e accademici, e’ tale da favorire le “minoranze”.
Per quanto riguarda i negri, la cosiddetta “affirmative action” e’ arrivata al punto che tra due candidati, anche se il bianco e’ piu’ qualificato, viene preferito il negro. Vedasi il tasso di impiego per esempio nel Postal Service.
Niente di male, ma, oggi come oggi, la discriminazione razziale e’ un mito, anche se e’ utile per altri obiettivi. Ho osservato personalmente casi (settore ospedaliero), quando la direzione vorrebbe licenziare un impiegato per obiettivi motivi di negligenza, con possibili conseguenze negative su pazienti, ma esitano a farlo per timore di cause legali per “discriminazione razziale.”
Ritornando ai cinesi, poco e’ noto di quello che fanno in Africa, ma almeno non bombardano, almeno che si sappia.
articolo abbastanza ridicolo e, come quasi sempre su questo blog, propagandistico. la lettura benigna della colonizzazione cinese dell’africa, poi, fa rabbrividire. per la libertà dal pensiero unico beh, basta chiedere ai non si sa quanti prigionieri politici nelle galere cinesi
qui in itaGlia, tutto bene:
http://www.malagiustizia.org/
L’ha ribloggato su terzapaginae ha commentato:
Ma francamente uno dei modi per uscire dal declino di civiltà cui stiamo andando incontro è proprio la molplicazione del mondo, la nuova multipolarità che avrà il suo centro nel cuore del pianeta, in quello che gli inglesi consideravano il luogo strategico supremo e che invano hanno tentato di conquistare. E’ così che la storia finalmente avrà lo spazio per muoversi oltre il la galera del pensiero unico.