Ma la crescita non può essere fermata, questo è l’imperativo degli oligarchi, della politica subalterna ed è il modo per distrarre le persone dalla loro condizione. Consumate e sarete felici, voi valete molto quando comprate e sempre meno quando lavorate, le sirene del marketing che usano le scoperte della neuroscienza per farvi desiderare di tutto, non dormano mai. E ovviamente qualsiasi oggetto del desiderio è ormai progettato per avere una vita media molto breve, vuoi dal punto di vista della funzionalità, vuoi da quello della desiderabilità o dell’usabilità, così che il ciclo non conosca cadute. Ma del resto che senso avrebbe l’esistenza dell’ homo consumatore senza il consumo? Alcune ricerche sembrano infatti dimostrare che il livelli di consumo sono pressoché identici tra chi sostiene di avere una coscienza ecologica, parrebbe comprendere gli impatti sull’ambiente e chi invece non ce l’ha o comunque se frega. Anzi i primi finiscono per consumare anche di più, effetto che va forse attribuito al maggiore reddito di queste persone: il meccanismo che si è instaurato ha una logica propria, che prescinde dalle intenzioni e dalla consapevolezza, come se fossimo posseduti. In qualche modo anche la più meticolosa opera di risparmio e riciclaggio viene prima o poi vanificata da qualche consumo che vale cento volte la monetina ambientale risparmiata. Il problema è che dentro questo sistema i singoli comportamenti non sono in grado di cambiare poco o niente, vengono inevitabilmente trascinati e travolti, è il sistema stesso che deve cambiare.
Secondo una ricerca Oxfam la metà più povera della Terra contribuisce all’inquinamento del pianeta solo per il 10 per cento evidenziando così anche una drammatica disuguaglianza energetica. Che peraltro esiste anche all’interno delle società sviluppate: che ha un reddito familiare medio altro (individuato da Oxfam intorno agli 80 mila euro) inquina 175 volte più di chi appartiene al 10% più povero della popolazione: e dunque gli 830 mila italiani che dichiarano un reddito superiore ai 75 mila euro inquinano più di tutti gli altri. D’altronde una crescita media del 3% all’anno, ovvero quella ritenuta auspicabile da tutti i centri finanziari oltreché dai governi, porta a un raddoppio ogni 24 anni rendendo di fatto impossibile conciliare la visione neo liberista con la sopravvivenza, anche se non tutta la crescita implica la dissipazione di risorse naturali.
Tuttavia queste facce toste del neo liberismo e dell’oligarchia si giustificano e si assolvono con la clamorosa e sfacciata bugia secondo la quale la crescita economica così concepita è essenziale per alleviare la povertà, cosa che non solo è smentita dall’evidenza dell’ aumento di disuguaglianza che possiamo ben sperimentare nella nostra vita concreta, ma persino dai loro stessi “uffici dei numeri”: la Word economic review calcola che il 60% più povero della popolazione mondiale riceve solo il 5% del reddito aggiuntivo generato dall’aumento del pil così che per ridurre e per giunta di poco la povertà occorrrebbe una produzione complessiva uguale a 175 volte quella attuale, ovvero impossibile. In compenso però muovono i loro fili per creare teorie, concetti, illusioni e persino settarismi salvifici che in realtà non servono proprio a nulla se non a dare la falsa impressione che si possa davvero fare qualcosa all’interno di questo sistema economico, e renderne dunque più facile la sopravvivenza nonostante contraddizioni e aporie. Per questo il discorso economico appare ormai fuori persino, in qualche modo astratto e frivolo, una pezza di appoggio per il potere di pochi. Occorre ricominciare dai bisogni reali e non dai profitti per creare un mondo diverso da quello del lusso privato e povertà pubblica, ricchezza di pochi e povertà dei tantissimi: prima ancora di una scelta politica diventerà una scelta di sopravvivenza.