blackfridayfights_trans_NvBQzQNjv4Bq2oUEflmHZZHjcYuvN_Gr-bVmXC2g6irFbtWDjolSHWgIo che sono un compratore a volte compulsivo in presenza di qualche nuovo balocco della tecnologia, questa settimana mi sono astenuto da qualsiasi acquisto per evitare di partecipare all’ennesima manifestazione della subcultura del capitale che diventa segno di sottomissione quando è insensatamente importata di peso per cercare di vendere fondi di magazzino solo suppostamente scontati e di diffcile smercio, conferendo loro l’aura benedicente e propizia delle numinose american things. Certo tutto è travolto e coinvolto nel mercato e nelle mille feste di mamma, babbo, zio, fidanzato, cane e gatto per tenere sulla corda l’animo dei desideranti e impedirgli di vedere a fondo la propria condizione dando loro l’esca per indebitarsi ad ogni occasione o accettare qualunque cosa pur di procurarsi beni di fatto inutili e dunque per rimanere sottomessi. Ma l’ importazione di una abitudine americana, ormai lontana dai vecchi fasti persino dove è nata, visti i tempi di vacche magre e di crescita dell e – commerce, è talmente insensata e ridicola nel nostro ambiente, appare così acchiappacitrulli, da far venire i brividi. E’ l’apice della sudditanza psicologica.

Anche perché nel nome stesso di friday sono implicati significati ancestrali e derivazioni non molto lontani da ciò che implica la disgraziata scadenza commerciale, cosa questa irresistibile per il mio pallino etimologico che mi preparo ad infliggervi. Ora bisogna sapere che friday, come del resto freitag in tedesco e fredag nelle lingue scandinave, deriva dalla dea Frija  (da noi Freia) , moglie di Wotan o Odino, posta come analogo di Venere che dà il nome al giorno nelle lingue romanze, ossia in qualche modo derivate dal latino, anche se la dea nordica rappresenta anche la ricchezza, la seduzione e la guerra. Ora – detto per inciso – a  nessuno sfugge che sia la stessa derivazione dei vocaboli libero e  libertà in tutte le lingue di origine germanica, il che già crea una bella cesura simbolica con il nostro mondo mentale e la nostra parola che ha la stessa radice di libro (dal vocabolo libens volonteroso ) e che in sostanza ha a che fare più con l’attività, il lavoro e la convivenza che con istinti basici: se vogliamo la scritta Arbeit macht frei che campeggiava all’ingresso di Auschwitz era la cosa meno germanica di tutto l’insieme, oltre che la più lontana dall’orrore che incarnava. Poiché nell’osco umbro (parlato in realtà in tutto l’appennino centrale fino ad arrivare in Calabria e più vicino per certi versi alle radici sanscrite) libero si diceva freis  possiamo suppore che la separazione dei significati tra le varie famiglie di lingue indoeuropee del ramo occidentale si sia formata a cominciare da  3000 anni fa e abbia dato origine da una parte alla straordinaria invenzione dello stato e della legalità in ambito romano e a quella delle libertà personali in ambito germanico in una cornice ancora magmatica e tribalistica, messe in rilievo da Tacito: due corni tra i quali si aggira in sostanza ancora oggi tutto il discorso politico, sia pure nelle forme determinate dalle modalitàm e dai caratteri strutturali delle successive rivoluzioni industriali.

Comunque sia, tornando all’argomento principale, il nome della dea Frija derivava dalla radice indoeuropea *prei che vuol dire voler bene o esprimere sottomissione, la stessa da cui deriva la nostra preghiera, ma attraverso il latino precarius che appunto vuol dire ottenuto grazie a speciali richieste di intercessione agli dei che implicavano il rimanere in piedi con le braccia tutte tese verso l’altro sopra la testa e il palmo delle mani unito come in un esercizio per gli addominali. Non si fa fatica a immaginare come si trattasse di una preghiera assai precaria che giustamente ha dato origine a due vocaboli che apparentemente non c’entrano nulla l’uno con l’altro. Ma di certo il mondo è così piccolo che tutto si tiene anche a distanza di millenni e così abbiamo il black friday che è l’ennesima caramella commerciale sventolata sulla faccia di una precarietà del lavoro e dei diritti ormai tematizzata come moderna e inevitabile. D’altro canto bisogna dire che gli italiani sono geniali nell’importare e farsi condizionare dal peggio, mentre il meglio viene scartato e finisce nella raccolta indifferenziata. Indifferenziata come il mondo omologato e conformistico che molti considerano come ideale e nel quale il lavoro non rende più liberi, ma finisce in Friday.