angela-merkelNon è difficile riconoscere nello scricchiolio della politica tedesca rimasta al palo dopo le elezioni, anche quello dell’Europa neo liberista che per vent’anni si è appoggiata sul pilastro della Germania e sull’alleanza diffusa centro destra – centro sinistra come garante dello status quo mercatista: una volta indebolita questa struttura portante, sia dal punto di vista statuale che da quello politico, gli scollamenti e le crepe ormai visibili ovunque sono destinati ad allargarsi. Ne è un segno anche l’ interessata e volontaria cecità del mainstream che attribuisce il guaio vuoi ad errori di comunicazione, vuoi a falle del sistema elettorale fino a ieri osannato, secondo i dettami dello stile minimalista. Ma l’impossibilità di fare un governo che non sia una riedizione funambolica della grande coalizione ha la sua radice concreta proprio nel crescente euroscetticismo, quello rappresentato dall’Afd, certo, ma anche quello derivante dalla consapevolezza che i vantaggi dell’euro e dei trattati fatto firmare ai paesi deboli si vanno esaurendo lasciando il posto a possibili riequilibri alle aree devastate dalla moneta unica come temono i liberali. Con in mezzo gli orfani del welfare e dei buoni salari, i precari e i minigiobbisti, immensa massa di manovra di fatto senza partito e potenzialmente disponibile sul mercato del voto.

Paradossalmente, ma non del tutto inaspettatamente, le contraddizioni e l’euroscetticismo emergono con più forza proprio nel Paese che da questa cattività ai mercati, alla finanza e ai loro strumenti aveva tratto maggiori vantaggi. La vicenda dell’immigrazione, nonostante il fatto che i padroni del vapore le abbiano attribuito il ruolo di causa efficiente nei risultati del voto rimane marginale: gli stessi liberali per accettare un governo “giamaica” avevano stabilito un tetto massimo non superiore ai 200 mila ingressi all’anno che è comunque una bella cifra su cui non credo che la Merkel si sia intestardita. Al contrario i liberali chiedevano ciò che la cancelliera era molto in imbarazzo a concedere, ovvero una stretta di vite drammatica verso i Paesi con debito pubblico alto, senza più concessioni e flessibilità per negarsi a qualsiasi possibilità di una condivisione dei rischi. E’ evidente che qui si sono scontrate la visione di un’Europa carolingia a guida tedesca e con i Paesi del sud ridotti a colonie di lavoro a basso costo e basso contenuto cognitivo ma il cui peso aggregato avrebbe favorito la proiezione globale della Germania e una visione invece che considera pericolosa questa strategia, molto incerta negli esiti, dipendente comunque dalla geopolitica Usa e con tutta probabilità destinata  a fallire o a rovinare i cittadini tedeschi con esborsi stratosferici per compensare i debiti altrui .

Nulla di tutto questo rassomiglia a ciò che potrebbero essere definiti gli ideali fondativi dell’Europa ben presto dati in pasto prima alla guerra fredda e successivamente al neo liberismo, testimoniando così un fallimento sostanziale, ma rappresenta anche la crisi del modello elitario e oligarchico che era stato costruito abusivamente sulle ceneri delle speranze: in un modo o in altro l’unione continentale diventa matrigna persino dove aveva prodotto vantaggi a fronte di una catastrofico disequilibrio continentale. Il problema è che tali vantaggi sono andati soltanto alla razza padrona mentre i cittadini hanno subito la mattanza delle pensioni, la crescita esponenziale della precarietà, l’arretramento del welfare, la caduta salariale, l’arrivo in massa di “eserciti di riserva”. Per ogni miliardario in più centomila poveri in più: un sistema del quale si è fatta garante anche la socialdemocrazia, accettando qualsiasi compromesso e addirittura facendosi protagonista dell’erosione del welfare.  E’ fin troppo chiaro che se questo modello diventa instabile nelle sue strutture portanti vuol dire che stiamo entrando nelle fasi terminale di questa impropria unione continentale e persino della moneta unica che è stata lo strumento principe della lotta di classe alla rovescia: l’oligarchia di comando è finora stata in grado di tenere testa l’euroscetticismo nelle periferie via via impoverite e persino di sopportare l’uscita della Gran Bretagna che del resto non si era mai integrata davvero, ma è molto difficile che possa resistere nel momento in cui i suoi punti di ancoraggio entrano in fibrillazione.

Di certo per i Piigs, ma anche per la Francia una prospettiva “liberale”, rappresentata concretamente da Jens Weidmann, attuale presidente della Bundesbank e futuro governatore della Bce, deciso a stroncare qualsiasi aiuto diretto e indiretto ai Paesi meno virtuosi , significherebbe un suicidio, compreso ( ed è un elemento tutt’altro che secondario) quello delle classi dirigenti locali, finora prone in ragione dei propri interessi o delle proprie incapacità. Dunque la fase di incertezza nella quale è entrata la politica tedesca è destinata a entrare in risonanza con il resto del continente e già s’intuisce l’arrivo della tempesta.  Dalla Giamaica ovviamente.