lead_960Cosa sia il neo liberismo lo dimostra l’ultima riforma fiscale messa a punto da Trump: quasi dimezzamento delle tasse alle imprese che scenderanno dal 39% al 20%  e aumento invece per quelle dei poveracci che finora pagavano il 10% su un reddito di 7500 dollari l’anno e adesso si troveranno a dover pagare il 12%. E’ proprio in queste due cifre che si situa l’immoralità profonda di una visione sociale. Poco importa che per i redditi singoli gli scagioni dovrebbero essere portati da 7 a 4 con modesti vantaggi per le classi medie  (poi bisognerà vedere che ne sarà delle attuali detrazioni) via via più consistenti quanto più alti saranno gli imponibili, realizzando in tal modo una sorta di progressività al contrario. I massimali rimarranno tuttavia  invariati e pari al 35%  massimale per un reddito massimo di mezzo milione di dollari e del 39,6% da questa cifra all’infinito per le tasse federali ovviamente: comunque la differenza tra singoli cittadini e imprese diventerà enorme.

Non importa nemmeno che Trump nella sua ottusità da miliardario continui a pensare che agire solo sull’offerta possa favorire la crescita quando ormai c’è la dimostrazione del contrario praticamente dovunque, Usa compresi quando con  Reagan la crescita del pil si trasformò immediatamente in debito pubblico in parte tenuto in piedi, come sappiamo, manu militari – proprio in questo senso che si devono intendere le sparate presidenziali sulla potenza statunitense: nessuno osi toccare i meccanismi che ci permettono di avere un debito stratosferico senza pagare pegno – in parte assorbite dalla caduta del welfare. I soldi che arriveranno nelle casse delle corporation, aumentate peraltro da nuovi privilegi, prenderanno immediatamente la strada della finanza e delle borse, magari della speculazione sul debito. Tanto più che al di fuori del settore militare e automobilistico le imprese americane producono altrove. E gli 80 milioni di cittadini più poveri non solo dovranno pagare di più, ma si vedranno tagliare servizi e assistenza. Però sono dei perdednti, è colpa loro se non sono ricchi, dunque che crepino.

Ma dentro questa riforma fiscale c’è molto di più: abbiamo parlato di imprese e di singoli cittadini, ma tra questi ci sono differenze che ormai divengono enormi e che fanno realmente pensare alla creazione di una casta di privilegiati; azionisti e manager – spesso remunerati anche con titoli – verranno di fatto sollevati dalla tassazione con l’esenzione totale delle imposte su dividendi e plusvalenze, diventeranno cioè cittadini ricchi e tassati ancor meno che la nobiltà sotto il Re Sole. Ora diamo anche per scontato che si possa ancora pensare a un ruolo salvifivo dell’abbattimento delle tasse alle imprese dentro un mercato stagnante e tenuto in piedi con straordinari aumenti di debito privato che diventa vieppiù inesigibile, ammettiamo giusto per ipotesi che le corporation non vogliano portare in cassa anche gli eventuali sgravi di imposta sui singoli dipendenti attraverso cali di retribuzione, come invece di solito accade, ma la detassazione  dei dividendi e delle plusvalenze che riguarda in concreto o la speculazione finanziaria delle aziende o i singoli azionisti ha un ruolo marginale con la logica centrale della destassazione di impresa come panacea per una crescita reale. E’ in realtà la creazione di una razza padrona per via fiscale.

A questo si deve aggiungere – e di questo abbiamo esempi concreti anche da noi – che i regalini fiscali fatti in presenza di forti riduzioni delle imposte di impresa e di tassazione dei più ricchi, hanno vita breve e vengono ben presto falcidiati dall’aumento del costo dei servizi, dall’erosione del welfare e delle pensioni quando non da altre tassazioni surrettizie o indirette. E per i più poveri che aumentano in continuazione, costretti a lavori precari o episodici persino in tarda età, questo passo del gambero diventa drammatico e annuncia un disegno di radicalizzazione della disuguaglianza. D’altronde quando fare più profitti significa pagare meno tasse questo processo è inevitabile e non li vuole affatto evitare, ma accelerare.