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Un po’ di Rivoluzione

Stormningen_av_vinterpalatsetOggi esattamente cento anni ci separano dalla Rivoluzione d’ottobre, ovvero dall’avvenimento che da qualunque parte lo si voglia guardare, è innegabilmente quello che ha determinato e informato di sé tutta la storia successiva. Eppure questo centenario, in un ‘epoca che ha eletto il futile, il formale e il vuoto rituale mediatico a sua regola di vita, passa praticamente sotto silenzio quasi fosse meno di una qualsiasi festa della nonna o della torta glassata, di una qualche ricorrenza volgarmente commerciale o persino meno di una quelle giornate della terra o dei buoni sentimenti ecologici fatte apposta per fingere un’attenzione e una che non ci sono affatto.

E non parlo solo dei media che sono di fatto in mano ai nemici di quella rivoluzione o di qualunque altra non sia provocata ad arte da essi stessi: languono anche i convegni, mentre per quanto riguarda il livello storiografico non è uscito nulla di interessante, nessuna nuova lettura dell’evento, quasi solo ristampe di vecchie cose. Va bene che ormai gli storici di parte comunista sono diventati una sorta di specie in estinzione che proprio per questo temono di perdere i caratteri originari e dunque sembrano evitare come la pesta ogni tentativo di portare nel secolo attuale i valori e il pensiero di quella rivoluzione, ma anche quelli che dovrebbero essere di area vagamente progressista, ancorché “liberale” che è la password inevitabile per entrare in ogni ambiente, non osano parlarne perché nel mondo attuale non è permesso discutere di comunismo, ma solo, se proprio bisogna toccare l’argomento, di demonizzarlo. E magari di far lievitare come se fosse pasta di pane le purghe di Stalin, fino a numeri assolutamente ridicoli (ricordo perfino un 100 milioni sparato da uno dei tanti sguatteri americo – liberisti), oppure di analizzare quante chiacchiere e deformazioni abbiamo dovuto subire sulle condizioni di vita nell’est europeo, ovvero in Paesi da sempre poverissimi grazie alle autocrazie zariste, asburgiche e ottomane, che non erano poi così terribili tanto da dare vita a una sorta di sentimento, di sehnsucht che va sotto il nome di Ostalgie e per converso di Westalgie, ossia di rimpianto per ciò che al di là della cortina di ferro si credeva dell’occidente e che si è rivelato falso.

Per fare questo il pensiero unico nella sua forma più raffinata che tuttavia poi scende per li rami fino ad arrivare alle peggiori divulgazioni di marca anglosassone per bambini o millennials che sono poi la stessa cosa, ha elaborato a cominciare dalla fine degli anni ’70, ma sulla base di un vigoroso reazionarismo continentale che sprofonda nell’anti illuminismo, una stravagante e sommaria teoria per cui in realtà la rivoluzione d’ottobre non esiste nelle forme che sappiamo, ma è solo l’ultimo atto del giacobinismo e della rivoluzione francese. Detto così sembra una cosa complicata, da studiosi, ma fate mente locale e ricordate quante volte, già partire dall’epoca craxiana, avete sentito parlare di giacobini al posto di comunisti, soprattutto quando questi non esistevano più ed erano solo un bau bau elettorale o come qualunque rivoluzione venga alla fine, esplicitamente o surrettiziamente demonizzata, salvo quelle preparate dal potere globalista. Il fatto è che non ha nessuna importanza quale idea di società, quale obiettivo si ponessero Robespierre, Danton o Lenin e Trozkij a distanza di 130 anni, con in mezzo la rivoluzione industriale e l’esplosione del capitalismo dalle attività mercantili a quelle manifatturiere, l’importante è invece che venga esecrata qualsiasi rivoluzione in quanto capovolge il principio di autorità sostituendo il popolo al dio garante del potere fabbricato dalle elites e successivamente restaurato sotto forma di profitto e mercato.

Proprio questa progressiva desertificazione e pressione ossessiva del pensiero unico non ha consentito se non occasionalmente ed individualmente di capire perché il comunismo reale sia esploso in Russia con la rivoluzione d’ottobre e poi si sia esaurito, senza per questo dover consentire una sorta di resa al reazionarismo dell’egemonia culturale. Anzi la pattuglia di chi si rifiuta di giocare alla storia come se fosse un Monopoli, finisce fatalmente per arroccarsi e per non tenere in considerazione proprio quelle possibili evoluzioni che ci furono nel bolscevismo sovietico e che vennero di fatto sterilizzatate dagli apparati e dalla guerra di accerchiamento dell’Urss condotta in varie fasi dall’occidente capitalista con la sola esclusione della seconda guerra mondiale: la Nep, le riforme di Lieberman in epoca kruscioviana, i fermenti nei Paesi satelliti, Trapeznikov, se si vuole lo stesso Gorbaciov il cui peggior difetto fu quello di non credere egli stesso che fosse possibile ciò che stava facendo.

Si tratta di un vuoto di elaborazione non da poco perché non permette tra le altre cose di comprendere le trasformazioni subite dal comunismo in Cina e in altri Paesi del Sud est asiatico che ora vengono tout court definiti capitalisti semplicemente perché la mancanza di evoluzione del pensiero marxista e l’egemonia culturale neo liberista impediscono di pensare al mercato se non come assolutamente libero e dunque non condizionabile, orientabile, regolabile dalle politiche pubbliche e dagli stati: dove c’è mercato non può esserci comunismo. Tra l’altro anche questo concetto di Stato collegato alla nazione sembra loro indigesto quasi quanto lo è per i neoliberisti. Uno dei risultati di questo immobilismo difensivo che in realtà è un auto rapimento a favore dell’avversario,  è visibile, per esempio, negli imbarazzi verso Putin e la Russia che di certo non sono nè Breznev, nè l’Urss, ma che si trovano ad essere una grande potenza proprio in virtù dell’ammodernamento portato dal comunismo e dove le stelle comete della rivoluzione sono ancora molto amate.

Io però oggi festeggio.

 

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