euro-morto-vivaLa moneta unica è un morto che cammina e quelli che giacciono nelle nostre tasche sono già destinati a perdere valore e scomparire alla fine di una lunga agonia. Ma come emerge dalla discussione che si va sviluppando nell’europa carolingia, tra Francia e Germania e chiarita, sistematizzata da Vincent Brousseau ex economista della Bce, una volta fervente europeista, oggi leader dell’Upr francese tutto questo non avverrà con un’esplosione nucleare, ma con un sussurro appena avvertibile ai piani bassi, quelli dell’uomo della strada. Secondo quanto ipotizzato già nel 2014 dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che tra due anni, finita l’era Draghi, sarà quasi certamente il successivo presidente della Bce,  tutto potrebbe svolgersi per via burocratica senza una cesura netta: basterebbe rendere obbligatoria una garanzia sugli scambi che passano attraverso il Target,  ossia il sistema che regolamenta tutte le transazioni in euro. Non ha importanza se questa garanzia viene data in titoli di stato, oro, dollari o altri valori,  ma il fatto è che dopo 16 anni di euro e di disastri per gli ex Paesi a moneta debole, privati della loro più affilata arma di competizione,  questa garanzia verrebbe richiesta praticamente per tutte le transazioni delle banche centrali del sud vero il nord e non viceversa, ma anche per i trasferimenti privati nella medesima direzione.

 

Un bel giorno potreste comprare qualcosa su Amazon da un negozio tedesco (o se è per quello olandese, finlandese, austriaco , finlandese eccetera eccetera)  e vi verrà detto che al prezzo dovete aggiungere una certa cifra in garanzia, magari pochi euro: niente di drammatico, ma questo significherà in sostanza che l’euro degli italiani, vale meno dell’euro dei tedeschi o degli altri e così via in misura diversa per gli altri Paesi. Quando poi saranno le banche centrali a non poter dare nulla in garanzia ( il valore dell’oro non rappresenta che una frazione minima del complesso delle transazioni) la fine della moneta unica sarà decretata e tanto varrà tornare alle monete nazionali per evitare di avere valori diversi sulla stessa divisa, tanto più che tali valori diversi saranno già definiti dalle organizzazioni finanziarie. Del resto i Paesi forti sono ormai terrorizzati dalla prospettiva di dover sostenere i debiti degli altri con cifre colossali che l’economista Sinn calcola in oltre mille miliardi per la sola Germania. Dunque quando Wiedmann salirà al posto di Draghi sarà praticamente inevitabile  che questo meccanismo sia introdotto e cominci a funzionare.

In fondo si dovrebbe essere contenti del fatto che le contraddizioni senza scampo e gli enormi scompensi della moneta unica, del resto utilizzati a fini politici, vengano finalmente ribaltati. Ma il problema è che tutto questo se pensato e attuato dieci anni fa o anche solo sei o sette quando la crisi ha fatto emergere in maniera drammatica le assurdità strutturali dell’euro e l’eterogeneità politica dei suoi fini, sarebbe stato relativamente facile intraprendere il cammino dell’uscita morbida, anzi quasi insensibile perché la struttura produttiva ed economica dei Paesi più deboli non era ancora del tutto compromessa, le sofferenze bancarie ancora contenute e contenibili, la politica non ancora completamente in mano ai poteri globalisti, alle loro filosofie e antropologie. E invece la Germania, in perfetta armonia con i poteri finaziari, ha fatto di tutto pur di salvare l’euro, costringendo anche alla firma di trattati capestro che arrivano a incidere persino le carni vive delle costituzioni: questo perché l’euro era ancora un grande affare per Berlino e una grande illusione per troppi. Ma oggi che si tratterebbe di pagare le conseguenze di 20 anni di accumulazione appare molto più conveniente disfare la tela sulla quale si era giurato. Con una differenza non da poco però perché in pochi anni le strutture sociali ed economiche dei Piigs sono state scompaginate, una gran parte delle imprese comprate, le banche commissariate e in attesa di essere risucchiate dalle sorelle del nord, le battaglie sociali annullate e represse: questo vuol dire che il vantaggio competitivo del cambio, non agirà subito in funzione di concorrenza ai prodotti tedeschi o di altri Paesi forti e da fattore di riequilibrio delle bilance commerciali,  ma saranno necessari molti anni prima che possa avere i suoi effetti nella ricostruzione di Paesi diroccati al loro interno e che probabilmente sono anche in procinto di dividersi in spezzoni. Questo nel migliore dei casi, perché allo stato attuale è molto più probabile che il sud Europa divenga semplicemente la fabbrica a basso costo di Berlino & C.

Anzi questa sarebbe il risultato certo della svendita neo liberista attuata dalle classi dirigenti locali che in fondo non chiedono altro che essere preservate nella loro corruzione, se non fosse che nel mondo globale stanno avanzando nuovi e giganteschi soggetti su cui giocare per uscire dall’aria viziata del piccolo e protervo conglomerato liberista che si chiama europa e del suo padrone a stelle strisce.