matteo-renzi-187044Mi fa quasi pena il povero Matteo che dopo una stagione di splendore artificiale si dibatte come un pesce spada nelle stesse acque in cui era stato fiocinatore: ciò che prima era celebrato come baldanzosa aggressione al “vecchio” in favore del nuovo adesso appare sconsiderato e azzardato, mentre il poverino cerca scompostamente di apparire come una sorta di tribuno popolare che si batte contro gli stessi poteri che lo hanno innalzato al trono. In realtà però nulla è cambiato: Renzi Matteo da Rignano è sempre quello lo stesso personaggio, superficiale, tracotante, disacculturato ma ignaro di esserlo e cialtrone a 360 gradi persino negli affarucci opachi di famiglia, tanto da venire condannato per aver tentato, nei tardi anni ’90 di fregare gli strilloni che aveva ingaggiato per vendere in strada la Nazione. Non erano i tempi di una Cassazione  costretta ad assolvere il guappo ricorrendo persino alla scusante del cretino.

In quella occasione il buon babbo Tiziano lo allontanò da ogni gestione intuendo che la carriera di contaballe della  politica era più la più adatta al figlio. Anzi gli si adattava come un guanto visto che l’assenza di idee se non quella guicciardiniana del proprio “particulare”, lo rendeva polivalente e ogni tempo, general pourpose come direbbe lui stesso. Disgraziatamente queste virtù di mercenario intrinseco, risultato della convergenza tra parrocchia, provinciale spirito di clan con vista cappuccio e dell’assenza politica di una generazione, vengono notate prima da Berlusconi il cui gruppo editoriale si avvale anche dei servigi delle aziendine di babbo Tiziano (a questo si deve la sua partecipazione alla Ruota della fortuna con vittoria compresa nel pacchetto che col senno di poi potremmo anche immaginare come  pagamento in nero) quando l’aggressivo e arrogante giovanotto diventa presidente della provincia di Firenze navigando nella acque limacciose del cattolicume politico con le sue confluenze e affluenze. Il buon Silvio, mai immaginando ciò che gli sarebbe accaduto successivamente, comincia a fargli fa da garante colà dove si puote, in quel paese dei campanelli dove la socialdemocrazia traditrice, pasticcia e ordisce con i poteri forti. Così qualche anno dopo da sindaco insediato a Palazzo Vecchio e da inventore della rottamazione, raccoglie i frutti di questo battage facendosi candidare alle primarie del Pd nientemeno che da Tony Blair , dalla Morgan Stanley  e dalla Merkel tramite la sua ministra del lavoro. Non potrebbe partecipare alla elezioni per la segreteria, ma il Pd ormai spappolato e confuso, obbedisce prontamente, cambia lo statuto e accoglie il neo caimano nella stanza dei bottoni.

Purtroppo non ce l’ho fatta a sorvolare su una carriera più volte raccontata nei suoi termini reali, ma mai ascoltata e tuttavia proprio questo mi aggancia al tema iniziale: Renzi non è cambiato affatto, ma lo è invece il discorso pubblico ad essere mutato nei suoi confronti: gli aedi di ieri si sono trasformati negli scettici o negli accusatori di oggi e non per i tanti infortuni e le troppe schifezze che abbiamo visto in questi ultimi anni,  ma perché  si ritiene che Matteo Renzi abbia svolto così bene il suo compito di prendere per il naso gli italiani, che oggi raccoglie dappertutto malumori e ostilità. Da strumento prezioso per diffondere parole d’ordine vuote e permettere i massacri sociali senza resistenze, è diventato inutile, anzi pericoloso. La data fatidica di questo passaggio è stato il 4 dicembre dell’anno scorso, quando è fallito il suo tentativo di manomettere la costituzione, palesando la sua perdita di credibilità. Da allora lo stesso conglomerato di potere ha ordinato di passare dall’esaltazione alla critica dei caratteri renziani: in questo modo, la supposta foga di cambiamento è diventata insolenza e sfrontatezza, l’abilità manovriera è stata degradata a capacità di menzogna, mentre le sceneggiature da statista della mutua messe in piedi sulle banche, sul babbo, adesso persino su Bankitalia,  non incontrano più critiche favorevoli al bottegino dei grandi giornali.

Renzi è sempre Renzi, ma sembrano due persone diverse a dimostrazione dell’importanza della comunicazione e della sua capacità di creare di cambiare i personaggi. Una possibilità amplificata dall’inesistenza della politica e dal rilievo che assumono le facce. Tra una settimana alle elezioni siciliane quasi sicuramente il Pd e il fritto misto che ha aggregato (non oso pensare su cosa) rischia di arrivare al terzo posto o addirittura al quarto e a quel punto il fuggi fuggi dalla barca sulla quale erano accorsi torme di clientes per aiutare il vincitore sarà inarrestabile, anzi è già cominciata con le dimissioni di Grasso.

Renzi diventerà prima un reprobo poi un incidente e infine apparirà lontano come un ricordo mentre  il suo compito di carceriere sociale sarà preso da qualcun altro, da qualcuno ancora vergine di maledizioni. E magari Baricco, ex poetino di corte del guappo, eterno Holden a gettone e chiosatore di Proust, gran traduttor dei traduttor di Benjamin ( quelli che gli acculturati alla Renzi pronunciano Uolter Bengiamin non sospettando che sia tedesco) , tornando a casa una sera e affondando stancamente il cucchiaio nella ribollita andrà alla ricerca del tempo della Leopolda. Che è tutto e sempre di più tempo perduto.