teschio-rossoImprovvisamente l’ossessiva e malata offensiva di stampa contro il Venezuela si è placata, Maduro è uscito dal mirino di chi ogni giorno si strappava i capelli contro la sua presunta “dittatura” ed esaltava gli squadroni della morte degli oppositori con un’inversione ridicola e canagliesca insieme per cui assalti e attentati erano pura democrazia, mentre i referendum e gli appuntamenti elettorali venivano fatti passare per armi improprie. Ma da quando si è capito che la via della violenza è fallimentare che l’80 per cento della popolazione dei barrios sta con il chavismo, tutta la saga venezuelana è scomparsa dall’informazione mainstream come se la fata turchina avesse dato un colpo di bacchetta magica e lasciando le opinioni pubbliche con in bocca il sapore delle bugie, buono per le prossime occasioni. Ovvio che questo può accadere solo se l’informazione è costruita, eterodiretta. cementata attorno a tesi precostituite, in una parola sostanzialmente falsa e sponsorizzata dal potere.

Ma il caso venezuelano di comparsa e sparizione a comando di notizie non è certo il primo, ce ne sono in abbondanza sin dalla fine della guerra del Vietnam, quando cominciarono le censure sulle stragi americane, ed è divenuta prassi dalla fine degli ’80  da quando cioè la concentrazione della comunicazione in poche mani ha fatto del giornalismo e dell’informazione un’ arma di guerra nel senso più ampio della parola comprendendo guerre armate, guerre ideologiche, guerra di classe al contrario, guerra piscologica ai governi non graditi, gestione dell’informazione sul terrorismo e via dicendo. L’esempio di scuola è quello delle armi di distruzione di massa dell’Irak che fu  appositamente costruito per conto di Washington da Blair e dai suoi servizi con l’operazione Mass Appeal. Ma a fatto compiuto, quando la tesi divenne impossibile da sostenere, si trasformò la bugia delle armi in una nobile invasione per la democrazia e i diritti umani, impostando di fatto uno standard poi utilizzato in serie. Menzogna, invasione, export di democrazia.

L’informazione contraffatta e il giornalismo parodistico hanno però bisogno oltre che di menzogne pure e semplici, di tendenziosi ritagli sui numeri, di parole contraffatte, svuotate del loro significato originale e riempite spesso con il loro contrario, di etichette politiche disoneste, di false metafore come, ad esempio, guerra al terrorismo, una deformazione che spesso rende persino superflua la segretezza assoluta: che importa infatti se da qualche parte trapela che l’amministrazione Bush mise a punto il piano Bilbao per rovesciare il legittimo governo del Venezuela?  Pochi comunque ci baderebbero in mezzo a una canea di accuse verso l’unico Paese produttore di petrolio che utilizza  i suoi ricavi petroliferi a beneficio delle classi popolari, vero motivo poi dell’accanimento del mondo non libero, ma liberista. Insomma come disse il giornalista scozzese Claud Cockburn, “non dobbiamo credere in niente prima che sia ufficialmente negato”.

In tutto questo sono calati come un fulmine globulare Internet e la rete che nonostante  i tentativi di condizionamento risulta più difficile da domare rispetto all’informazione tradizionale verticale e attraverso la quale, come fosse un samizdat, balugina qualcosa attraverso la coltre dell’informazione ufficiale. E’ fin troppo ovvio che il potere nella sua accezione più vasta non veda l’ora di ridurre al silenzio, a gattini e tresche amorose, questo strumento che quanto meno suggerisce l’esistenza di molte più cose in terra e in cielo di quelle stampate o riferite dai mezzimbusti. Ed ecco perché alla periferia dell’impero, cioè in Italia, dove in sostanza l’opposizione è ormai totalmente marginale visto che il mileu politico è interamente salito sulla barca del potere, c’è un progetto pilota per censurare concretamente l’informazione attraverso web: un progetto che non prevede discussioni parlamentari, contro la libertà, contro la Costituzione stessa grazie al quale l’Agcom avrà la facoltà di impedire l’accesso alle comunicazioni in rete, il che implica tecnicamente la facoltà, anzi l’obbligo per i provider di seguire e memorizzare la navigazione dei cittadini volta ad impedire la fruizione di contenuti. Lo vuole l’Europa naturalmente, ma queste operazioni vengono sperimentate laddove è possibile  trovare i farabutti politici più conclamati. I kapò ai quali far fare qualsiasi cosa.