Piramide-del-capitalismo1Alle volte c’è da davvero l’impressione di vivere nel mondo di Escher dal quale si può uscire solo entrando e viceversa, nel quale si sale scendendo i gradini e si precipita andando verso l’alto, una immensa trappola emotiva ed intellettuale. Pensate solo che un sito americano, noto per l’iconoclastia nei confronti dei santini liberisti, ZeroHedge, scopre più o meno con due o tre secoli di ritardo, che l’economia è “ottimizzata” per il capitale e il profitto non per la distribuzione dei redditi. E ciò accadrebbe perché i soldi “finiscono nelle tasche di pochi grazie ai meccanismi creati dall’accesso asimmetrico alle informazioni, alle posizioni di potere e al credito”. Tutte considerazioni e obiezioni che potevano già essere fatte ad Adam Smith visto che la base di ogni dottrina economica parte da un mondo etereo e immaginario in cui lo scambio è al fondo simmetrico  quando al contrario non lo è mai, in nessun caso. Però non voglio impancarmi in questioni teoriche e portare il discorso sulla finanziarizzazione che aggiunge al capitalismo classico un nuovo tipo di plus valore che consiste essenzialmente nel produrre beni finanziari costruiti sui debiti peraltro necessari alla maggioranza delle persone per comprare qualsiasi cosa che non sia l’essenziale e rimanere avvolte nell’incubo escheriano.

Proprio pochi giorni fa sono uscite delle statistiche francesi che ovviamente non hanno trovato posto nella grande stampa e che vanno rabbrividire: nel 2016 i disoccupati nell’Esagono sono aumentati al galoppo: ci sono ormai 4 milioni e 800 mila disoccupati invisibili, cioè quelli che non sono iscritti all’insieme delle liste di disoccupazione e 6 milioni 600 mila (ho tralasciato i rotti) di disoccupati visibili o salariati occasionali, mentre sono state chiuse 407 fabbriche. Ebbene in questa situazione i quaranta maggiori gruppi francesi quotati in borsa hanno realizzato 56 miliardi di profitti, pochissimi dei quali vanno ad alimentare l’economia del Paese, sia perché il 45% dell’azionariato è formato da investitori stranieri (quasi tutti fondi pensione americani) e dunque se ne vanno via al volo, mentre il resto finisce in operazioni finanziarie dirette. Però non basta mai perché ogni cosa viene mette in atto (Macron è un esempio di scuola) per umiliare il lavoro e aumentare in maniera spaventosa il divario tra i pochi ricchi e le masse sempre più povere.

E’ la degenerazione di un sistema  entrato ormai nella sua definitiva fase di instabilità, nella quale tutto può succedere, compreso il tentativo delle elite di giocare il tutto per tutto, ma il cui dna originario presentava già tutti i segni e le precondizioni  per portare a questo esito autodistruttivo. In realtà sono state proprio le lotte sociali a impedire che il cortocircuito si verificasse in tempi molto più brevi, in qualche modo a tenere in vita il capitalismo frenandone i bassi istitinti, ma da quando la mediaticità è divenuta il modo di essere occidentale, la forza dell’egemonia culturale ha finito per sterilizzare ogni opposizione e ha fatto delle vittime i più convinti assertori del sistema o al massimo li ha trasformati in nichilisti sociali, in desideranti il cui orizzonte naturale è il consumo, facendo aggio sulle condizioni reali. Ma nemmeno se ne accorgono: qualche giorno fa un pilota Ryanair miracolosamente fattosi intervistare per appoggiare le proteste del personale contro il trattamento schiavistico e i grami salari dell’aria low cost, ha avuto il mal gusto di far baluginare la tesi per cui “vecchi” se la sono passata  bene, mentre i “ggiovani” ( tra cui lui ovviamente) ne pagano le conseguenze, mostrando non solo di ripetere a pappagallo tesi risibili e mitologie da bar, ma di replicare gli stessi ragionamenti sulla base dei quali lo sfruttamente viene legittimato, ovvero che la competitività si fa sulla pelle di chi lavora: i vecchi si sono conquistati la pensione o un salario decoroso o un lavoro stabile perché credevano che fosse giusto, perché volevano un mondo migliore, ma dopo di loro una generazione di perdenti ha vissuto pensando di essere nel migliore dei mondi possibili. E ancora fanno fatica a compredere che i beni di consumo più costosi sono la noncuranza e le illusioni.