Auguri della Presidente della Camera dei deputati ai dipendenti

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Basta, faccio autocritica: esiste davvero un complotto mediatico contro la presidente della Camera. Dev’essere così per forza, perché i giornali e i talkshow con tutta evidenza omettono di informarci su quotidiane battaglie dell’On. Boldrini per la parità di remunerazione nel lavoro, per le tipologie di contratti anomali: part time, precariato, caporalato, che interessano soprattutto le lavoratrici che si vorrebbe convincere  si tratti di opportunità e non di capestri e ricatti legali, per i tagli operati su assistenza e welfare che comportano l’inevitabile espulsione dal mondo del lavoro delle donne, per la riduzione dell’accesso a diritti conseguiti con battaglie di anni a cominciare dalla tolleranza del fenomeno dell’obiezione di coscienza e così via.

Si deve trattare davvero di una congiura volta a consolidare la percezione della separazione e della distanza siderale della politica, delle sue cerchie e dei suoi addetti a vario titolo, dalla “politica della vita”, se invece quotidiani e talk show ci danno conto di una diatriba interna alle cosiddette caste e corporazioni. Nel caso in oggetto si tratta  dell’insurrezione delle dipendenti della Camera contro la determinazione della loro Presidenta di imporre la declinazione di genere “al femminile” delle mansioni svolte e dichiarate sul bag, il cartellino plastificato insieme a foto e nome: funzionaria, archivista, etc..

In particolare si sono ribellate le numerose dipendenti che svolgono incarichi di segreteria parlamentare e che, scopriamo oggi, hanno in passato ingaggiato cruente battaglie infine vittoriose,  per imporre trionfalmente  di essere definite “segretario parlamentare” al maschile. Protestano con l’appoggio dei sindacati interni perché le nuove regole redatte con la collaborazione del Comitato pari opportunità, costituirebbero un grave passo indietro verso definizioni discriminatorie: «non appare superfluo ricordare – hanno scritto in una lettera inviata alla Boldrini – che la denominazione al maschile del termine segretario scaturisce da rivendicazioni sindacali volte a superare una concezione riduttiva di una professionalità che, fino ad allora, veniva associata alla funzione di persona tuttofare», rivendicando come la loro lotta del passato  le abbia affrancate da una innegabile condanna alla subalterna gregarietà.

Pare si sia adombrata e molto la Presidenta, che mediterebbe di introdurre finalmente a Montecitorio il “diversity management”,  colpita crudelmente nella sua personale volontà pedagogica di imporre il rispetto della differenza di genere anche alle più riottose, e che andrebbe magari estesa a chi proprio non lo vuole esercitare:  mondo di impresa, sindacati e partiti, ancora alle prese con le annose quote rosa e con la generosa integrazione di femmine diversamente maschi, che non si può dire altrimenti di prestigiose icone, che combinano civettuole attitudini muliebri con una invereconda indole alla sopraffazione, al sopruso, alla tracotanza virile.

Beate, viene da dire, le esodate, le disoccupate, le precarie, da sempre declinate al femminile che non sembrano avere quel problema. È d’uopo però informare le privilegiatissime dipendenti della Camera toccate da una insperata fortuna – probabilmente non è sempre frutto di meriti e qualità- e la loro Presidenta il cui sguardo pare essere affetto da una inguaribile miopia –  che il riscatto e il riconoscimento che lavoratrici, precarie, madri, cuoche, infermiere  e consulenti part time, pensionate strozzate dai debiti, risparmiatrici di banche infedeli, contadine sottoposte al racket dei caporali, sono altri, che la loro rabbia è pari a quella degli uomini, disoccupati, esodati, sottopagati, ma con un bel po’ di collera in più,  lo scontento per il tradimento di altre che vivono in condizione di immeritata intoccata superiorità, gratificate da privilegi inalienabili e spesso indegnamente conseguiti per appartenenza, dinastia, censo,  quando i diritti di troppe  e troppi sono ridotti a elargizioni arbitrarie  o ridotti a memoria della lotta di un tempo sempre più lontano.