alluvione-livorno-6-459x420Lo so bene che è banale e persino noioso, ma mentre si ciancia di terrorismo e sicurezza per accreditare una repressione che ha tutt’altri scopi, ci sono otto morti per una pioggia intensa, ma non eccezionale e comunque non è più eccezionale visti gli andamenti climatici che estremizzano gli eventi meteorologici, come si sa da parecchi anni ormai. Come si è sperimentato sulla pelle di tanti. Ma non è solo questo, nell’epicentro di Livorno: la rete ferroviaria ligure è rimasta praticamente bloccata per un’intera giornata, mentre a Roma dove sono caduti appena 68 millimetri di pioggia in 8 ore (non potendomi più fidare dei dati ufficiali, riferiti spesso sull’onda dell’immediata convenienza del potere e dei poteri, mi sono dotato di pluviometro) molte stazioni della metro si sono allagate, segno che sono state progettate e costruite con superficialità e con la mente ad altro rispetto all’efficienza. Insomma il Paese è diventato di straordinaria fragilità dopo decenni di incuria, di cure sbagliate, di interventi pensati più per la convenienza degli aggregati di potere che per l’efficacia, di abusivismo legalizzato e palazzinaro che costruisce dove non è prudente e persino dove non si potrebbe, di inefficienza e di carenza di mezzi come risultato delle stravaganti e a volte paradossali razionalizzazioni, dei licenziamenti di massa, degli sprechi folli per grandi opere inutili, di sperperi in ogni settore compreso l’acquisto di armi altrettanto superflue. Tutte cose che si toccano con mano, ma sulle quali i tenutari di bordelli istituzionali hanno ancora la faccia di asserire buona fede e nascondersi dietro giustificazioni.

E’ inutile cercare responsabilità che comunque hanno radici profonde e lontane nel tempo: la responsabilità di una situazione che coinvolge l’intero sistema Paese come direbbero i manager d’accatto di cui siamo rigoglioso territorio di coltivazione e produzione, anzi coinvolge un’intera mentalità nata dal connubio tra antichi vizi e vacua modernità neo liberista, la stessa  che ha presieduto alle grottesche cronache di un’intera giornata tutte giocate sull’enfasi della cronaca spiccia affrontata da gente che non ha la più lontana idea di ciò che riferisce in italiano stentato, sulla tentazione subliminare di attribuire tutto  a una situazione eccezionale e irripetibile, sui penosi giri di avvoltoio della politica più deteriore, scialba per non dire ridicola che si rimpalla responsabilità, ma appassiona ancora un popolo che sa solo essere tifoso e soprattutto sulla desolazione di un fatalismo ormai inevitabile, privo di reale senso del bene comune, teso in realtà a convincere le persone che non ci si può fare nulla perché il Parlamento, l’Europa, i mercati non consentono, anzi nemmeno concepiscono di trovare le risorse necessarie a sistemare i territori. Semplicemente perché non sono ancora del tutto monetizzabili.

Alla fine è solo piovuto, forte, ma non più di questo, al punto che non si è potuto ricorrere nemmeno a quell’ancora di salvezza, a quella panacea di tutti i mali che va sotto il nome di bomba d’acqua e di fronte alla quale la responsabilità di qualsiasi incuria va a farsi benedire. Cinquant’anni fa, invece della devastazione a 360 gradi che vediamo e alla piccola strage da nubifragio, sarebbe soltanto piovuto perché almeno le cose essenziali ancora si facevano e non c’erano case nello sprofondo. Ma cinquant’anni fa di fronte a un terremoto che spazza via interi paesi nessuno avrebbe avuto la faccia di tenere intatte le macerie per più di un anno, di intervenire con colpevole ritardo, di non ricostruire proprio nulla  e addirittura di beffare la gente facendo carte false e totalmente opache per erigere un supermercato di una nota multinazionale, in una delle zone disastrate, spacciandolo come intervento risolutivo a favore della popolazione: chi lo avesse proposto sarebbe stato appeso per i pollici. Ora invece ci si gira i pollici sperando semplicemente, ma inutilmente che non accada nulla e soprattutto che non accada a noi.