cia“La strategià è valida oggi come lo era nei tempi antichi e nel Medioevo o nel 1943. La stragrande maggioranza degli scrittori politici e degli oratori usano ancora il metodo di Dante: a seconda del grado di occultamento richiesto (sia dalle circostanze che dalle persone), la scissione tra significato formale e reale è più o meno assoluta”. Chi ha scritto queste parole non è un critico della Divina Commedia o del De Monarchia, ma un uomo della Cia, tale  Brian Crozier che operò nel corso di mezzo secolo in quasi tutti i teatri, dall’ Africa, all’Europa, all’Afganistan per destabilizzare governi e delegittimare politici considerati non abbastanza anticomunisti, svolgendo in privato anche una lucrosa attività di consigliere per i regimi di Franco e di Pinochet. Ma in questo contesto le sue gesta hanno poca importanza, sebbene il suo zampino possa essere ipotizzato anche in alcune oscure vicende italiane, quanto le sue parole e la sua dichiarata ammirazione per James Burnham, autore di The Machiavellians, un personaggio che da leaderdel movimento trozkista americano, finì per essere un “pubblico intellettuale” dei movimenti conservatori e maestro dei neo con, una parabola purtroppo molto comune.

Questo Burnham con la sua distinzione tra discorso politico formale e quello vero, dove il primo tende a nascondere il secondo e alla radice di tutto coacervo di concetti che  ma che attraversano e formano tutta la storia americana del dopoguerra, dal maccartismo per finire al political correct. Che è anche una storia di dissimulazione e di creazione di verità apparenti o formali, che ancora continua, anzi è divenuta ossessiva con il moltiplicarsi delle guerre e delle conseguenti narrazioni che la conquista totale dei media da parte delle oligarchie elitarie ha reso pesante come un sudario. Ma adesso tocca spiegare il brano di Crozier riportato all’inizio e inserirlo in un contesto intellettuale e forse le parole dello storico Christopher Lasch, scrite nel 1969 sono la loro chiosa più chiara: ” lo stato moderno è un motore di propaganda che alternativamente produce crisi per poi dichiararsi l’unico strumento in grado di risolverle. Questa propaganda, per avere successo, richiede la cooperazione di intellettuali, non come propagandisti a contratto o come funzionari statali, ma come ‘liberi’ pensatori capaci di vigilare nel proprio campo e di garantire standard accettabili di responsabilità all’interno delle varie professioni”.

Praticamente questo corrisponde ai una sigla apparentemente misteriosa, PSB D-33/2, che sta per Psychological strategy board (il resto è solo numerazione per il protocollo) nel quale – siamo nel maggio del 1953 – la Cia, dava il via alla sua battaglia anticomunista su un piano molto diverso da quello del semplice spionaggio dell’apparato nemico, ma su quello della creazione di tesi e verità per condizionare le evoluzioni politiche dei Paesi sia amici che nemici:  si tratta di creare “movimenti intellettuali a lungo termine con l’obiettivo di spezzare le linee di pensiero dottrinale mondiali”  e di  “indebolire il fascino intellettuale della neutralità predisponendo  i suoi aderenti allo spirito occidentale”. Naturalmente  in questo contesto il documento della Cia insiste sul fatto che occorra servirsi delle élite dei vari Paesi investiti da questa illuminante scia di pensiero perché questo “aiuterebbe a dissimulare l’origine statunitense del programma, così che possa apparire un’idea locale”.

In poche righe di 60 anni fa ecco il panorama di ciò che vediamo oggi: le narrazioni incredibili e distorte, la creazione di mitologie inesistenti, il tentativo di censurare la libera espressione delle idee, certe sospette dissidenze remunerate, l’arancionismo, la strana distribuzione dei nobel per la pace, la resa progressiva della politica politicante. La cosa era talmente repugnante che all’interno della stessa Cia e dell’amministrazione ci furono delle voci di dissenso, in particolare quella di  Charles Burton Marshal che considerava questa lotta al totalitarismo condotta attraverso la creazione di un “ampio sistema dottrinale in tutti i campi del pensiero umano dall’antropologia all’arte, dalla sociologia alla metodologia scientifica”, il peggiore totalitarismo possibile. Tuttavia a leggere con attenzione il documento (qui per i più curiosi) e anche le produzioni dell’ambiente culturale nel quale nasce, si vede bene come tutto questo poggi sull’enfatizzazione del ruolo delle elites  che non è solo profondamente americano, ma prende spunto dal pensiero prefascita e fascista europeo, da Pareto, Sorel e Mussolini anche sarebbe stato troppo audace, a guerra finita da poco, metterci anche il nazismo. E non si è fermato nemmeno di fronte alla commedia di false internazionali create negli uffici della City di Londra. Nessuna meraviglia se nel 2016 l’amministrazione Obama abbia potuto varare il Disinformation and Propaganza Act, con il relativo “ufficio della verità”

Ci vuol poco a vedere come questo elitarismo di fondo sia anche all’origine della costruzione europea che alla rappresentazione simbolica e rituale di elezioni per un parlamento che conta zero, ha sempre affiancato l’esclusione sostanziale dei popoli dalle decisioni che contano. Ma ci vuole ancor meno a osservare come il neoliberismo, ovvero il capitalismo estremo nella sua fase nascente, abbia trovato già pronti i canali per la sua diffusione a vasto raggio.  E oggi , con i media conquistati, compresi quelli dedicati all’intrattenimento, dire e far credere anche le cose più assurde e incoerenti cose assurde è diventato il correlativo oggettivo del “Manifesto per la libertà”, esempio perfettamente dantesco della scissione assoluta tra realtà e discorso pubblico.