acqua_privataCon Trump l’America è uscita dalla sua auto leggenda e dal mito della sua democrazia per rivelare la filigrana dell’impero diviso tra caste di mandarini legate ai poteri militari ed economici, degenerazione ultima di quel lobbismo che i mentecatti celebravano come suprema incarnazione dei valori democratici. In questa situazione di incertezza e di declino i grandi gruppi della produzione e della finanza, insomma l’elite oligarchica che tira i fili dietro la complessa “machina” della rappresentazione politica, stanno cercando di accaparrarsi il potere reale in vista degli esiti infausti del neo liberismo: guerra globale, rivolte, secessioni, persino rivoluzioni ma anche semplicemente sfilacciamento delle logiche geopolitiche, delle alleanze, dei domini, sovranismo, multipolarità reattiva, insomma tutto quello che potrebbe strappare loro le redini del mondo.

Non basta avere in mano i mezzi di produzione, tra cui il denaro è quello più astratto, ma anche più efficace, non basta nemmeno avere in mano le fonti energetiche per farli funzionare dal momento che queste potrebbero essere messe a rischio, occorre per maggiore sicurezza avere in mano i mezzi vitali. Quelli assolutamente necessari di cui è difficile comprimere il consumo, quelli che al momento garantiscono enormi e sicuri profitti, ma che in futuro possono essere una fonte di ricatto assoluto. E tra questi ne spicca uno in particolare, l’acqua. Sappiamo come da oltre un trentennio le spinte verso la privatizzazione di questa risorsa e della sua distruzione sono state enormi e portate avanti con minacce o semplicemente contro la volontà esplicite delle persone, ma oggi la questione ha assunto un significato e una direzione molto più inquietante, che va molto oltre la distribuzione: da qualche anno i grandi gruppi finanziari e le grandi banche stanno comprando in tutto il mondo terreni su cui insistono falde acquifere, laghi, diritti di sfruttamento,  aziende di distribuzione e controllo azionario in compagnie di tecnologia idraulica.

I nomi sono quelli dei soliti noti:  Barclays Bank,  Blackstone Group, Allianz, HSBC Bank, Goldman Sachs, JP Morgan Chase, Citigroup, UBS, Deutsche Bank, Credit Suisse, Macquarie Bank, Barclays Bank, ma non mancano nomi meno gettonati dalle cronache economiche o meno riferibili alle speculazioni di questo tipo come il magnate come Thomas Boone Pickens, l’ex presidente George H.W. Bush e la sua famiglia, Li Ka-shing di Hong Kong e Manuel Pangilinan di Manila. In molte legislazioni e manco a dirlo in quelle statunitense e britannica la proprietà del terreno è automaticamente quella delle risorse anche se queste possono essere definite beni comuni. Per di più l’azione lobbistica sta inducendo i governi sensibili agli ordini di questi gruppi a impedire ai singoli cittadini di procurarsi l’acqua da soli: per esempio un tale Gary Harrington, dell’Oregon è stato condannato a 30 giorni di prigione per aver raccolto l’acqua piovana in tre pozze situate sulla sua proprietà privata. Così mentre il super ricco  Boone Pickens sfrutta 250 miliardi di litri di acqua all’anno, concedendola preferibilmente alle società di fracking perché lo può fare a un prezzo fino a 60 volte superiore rispetto a quello dell’utilizzo agricolo, uno non può nemmeno raccogliere l’acqua piovana.

E ci sono tutti i sintomi perché questa “filosofia” si diffonda, magari in modo più serpeggiante: per esempio proprio pochi giorni fa gli agricoltori e gli allevatori silani sono stati multati per aver attinto acqua dai laghetti  artificiali vengono sfruttati dalla multi – utility A2A S.p.A. , società lombarda frutto della fusione tra Aem e Amsa , per la produzione di energia idroelettrica: tutti i tentativi della Coldiretti di ottenere dalla Regione un riequilibrio degli utilizzi idrici si sono infranti contro un muro di gomma. A parole si vorrebbe che l’altopiano della Sila non venisse abbandonato, dall’altro si concede l’ultilizzo delle risorse idriche a un’azienda privata che sfrutta centrali costruite con i soldi pubblici a partire dagli anni ’20, di fatto colpendo a morte le attività  agricole. E tutto questo al centro del Parco della Sila.

Sarebbe intressante capire se e in che misura gli emungimenti agricoli possano tradursi in una minor produzione di energia: probabilmente, anzi certamente, l’effetto è stato uguale a zero perché qui non ha  importanza il contesto pratico, quanto invece la volontà di essere i padroni assoluti delle risorse idriche con la svagata e ipocrita complicità della politica locale. Dunque occorre prepararsi anche a questa battaglia contro le multinazionali e le banche prima ancora che ci impediscano raccogliere l’acqua del cielo in un secchio.