telefono-a-gettoni-20120721091804La rete è uno strumento potentissimo, ma sembra anche avere dei vuoti incomprensibili e uno di questi è tutto ciò che riguarda lo storico dei prezzi correnti sia in euro che in lire degli ultimi cinquant’anni: è quasi impossibile avere un panorama sufficientemente preciso e organico, salvo qualche notizia disaggregata ed erratica che viene fuori dalla memoralistica di qualche blog. Certo sarebbe spiacevole far balenare alle nuove generazioni come dagli anni ’50 in poi il potere di acquisto dell’italiano medio sia salito costantemente fino a circa la metà degli anni ’80  e poi sia cominciato a calare dapprima lentamente poi con passo sempre più deciso, man mano che la precarizzazione e le privatizzazzioni avanzavano: ogni egemonia culturale  ha bisogno della sua mitologia e dunque non sarebbe molto saggio mettere in luce come mercato, privato e concorrenza non siano la panacea di tutti i mali nè quel sentiero luminoso che si favoleggia.

E’ sempre arduo confrontare due epoche sia perché i metodi di calcolo dell’inflazione o del costo della vita sono legati  a visioni e interessi politici, sia perché un qualunque bene acquista un valore diverso a seconda degli anni: per esempio se nel 1980 una Fiat 126, la macchina più piccola del panorama automobilistico italiano costava 7 stipendi medi di un metalmeccanico, oggi la versione base di una delle auto meno costose impegna almeno 10 mesi ( senza tenere conto delle spese di rateizzazione)  dello stipendio medio di un operaio assunto a tempo indeterminato  che secondo le statistiche supera di poco più i 1300 euro mensili. Ovviamente il bene in questione è più evoluto rispetto a quello di 37 anni fa, ma mentre allora rappresentava un punto di arrivo, il possesso della sospirata e mitica automobile, oggi invece dimostra la necessità di arrangiarsi. Per non dire del fatto che il tempo indeterminato, una volta nella normalità delle cose oggi è diventato un un miraggio.

Ma in questa ricerca mi sono anche imbattuto in decine e decine di pagine che inneggiano alla concorrenza come fattore di caduta dei costi telefonici. Anche qui un confronto diretto con il 1980 è arduo perché allora non c’era telefonia mobile, si poteva telefonare solo da casa, dalle cabine stradali, dai locali pubblici e dagli uffici e tutto era gestito da un’azienda di stato, ovvero la Sip. Tuttavia chi voleva un telefono in casa doveva corrispondere un canone trimestrale di 3,5 euro con uno scatto alla risposta di 0,03 euro che nel caso delle telefonate urbane non era temporizzato, cioè si poteva  stare anche tutta la giornata al telefono e pagare solo 3 centesimi. La teleselezione era più costosa: uno scatto durava solo 2,83 minuti e ognuno veniva dal 12 ai 38 centesimi a seconda delle distanze. Le stesse tariffe erano anche applicate al trasferimento dati che già cominciava a nascere sotto forma di fax o di vero e proprio dialogo tra computer anche se solo nelle grandi aziende più evolute o in quelle della comunicazione.

Non esistendo cellulari e tantomeno wi fi, o internet o social media la telefonia era radicalmente diversa, sicuramente indispensabile, ma non centrale nella vita delle persone e per molti era in qualche modo era ancora un lusso sul quale si poteva risparmiare con il duplex o utilizzando  le 41 mila cabine telefoniche sparse per il paese. Tuttavia le tariffe praticate erano di gran lunga le più basse dell’Europa occidentale dove generalmente operavano imprese private in concorrenza tra loro. Con tutto questo la Sip (comprese anche le ruberie politiche) nel 1980 fece un utile di 3295 miliardi corrispondenti  a più di 8 miliardi di euro di oggi, impiegava a tempo pieno e indeterminato 73240 persone, si permetteva di testare la fibra ottica nella zona di Torino e di Roma (1977) di lanciare per prima al mondo (1976) le schede prepagate.

Anche successivamente con l’avvento dei primi sistemi di telefonia mobile Rtms ed Etacs la Sip adottava una tariffa massima, dalle 8, 30 alle 13 di 633 lire al minuto, che scendevano a 412 dalle 13 alle 18, 30, fino ad arrivare alle 245 dalle 22 alle 8 del mattino successivo. Si trattava di costi alti tanto per un sistema che diventò ben presto uno status symbol e che tuttavia era ancora marginale. Ma nel ’93 con l’introduzione del sistema europeo della concorrenza le tariffe fecero un grande balzo in avanti arrivando per Telecom Tim che era succeduta alla Sip, alle 1950 lire (più di un euro) al minuto e alle 1940 per Omnitel per cui si passò dalle tariffe più basse del continente a quelle più alte. Chiaro che lentamente le tariffe sono calate, non per l’Europa o la cosiddetta concorrenza, (concetto astratto di cui spesso di parla a vanvera per la sua apparente semplicità, ma considerata una pura utopia da molti grandi economisti tra cui Keynes) quanto per l’assorbimento graduale dei costi di ammortamento e sopratutto per l’ evoluzione tecnologica e culturale della telefonia mobile che ha spostato la redditività su fattori diversi rispetto al puro costo per unità di tempo delle chiamate. Il cui onere, peraltro, è diminuito per i gestori enormemente di più che per i clienti.

Insomma la mitologia e la narrazione corrente sfruttano  la naturale evanescenza della memoria per dare verosimiglianza a concetti  grossolani e abusati dei quali siano vittime e attori inconsapevoli.