evolution_08orig_mainNelle pieghe delle notizie che giungono dal mondo ce n’è anche una che farebbe la felicità dei guerrafondai di civlità se essi stessi non fossero così arretrati da confluire nelle tesi del nemico: il governo turco si appresta a eliminare la teoria dell’evoluzione dai programmi scolastici. Effetto della cultura dell’Islam non più temperata da laicismi sociali? Senza dubbio, ma in realtà effetto in generale di una visione presente in tutte le religioni positive monoteiste. Una ricerca di Science del 2006  in 25 Paesi, rivelò che solo il 30% della popolazione turca accettava la teoria dell’evoluzione, classificando il Paese all’ultimo posto della lista, tuttavia preceduto a poca distanza dagli Usa classificatisi penultimi: i risultati nel complesso evidenziarono il fatto che più cresce la popolazione diciamo così consapevolmente secolarizzata e più aumenta il credito nell’evoluzione.

Non è certo una sorpresa: sebbene da un punto di vista astratto l’evoluzione possa tranquillamente essere incorporata e in diversi modi nelle varie teologie come del resto è avvenuto con le rivoluzioni astronomiche, tanto che uno degli evoluzionisti più in vista del secolo scorso fu il gesuita Teilhard de Chardin, da un punto di vista psicologico le cose cambiano di parecchio visto che a Dio viene sottratto il miracolo della vita e dunque in qualche modo la legittimazione a ordinarla per tramite delle chiese, il che non è un inconveniente da poco per il potere delle stesse. Così, come in ogni circolo vizioso che si rispetti, tutto questo ci riporta al punto di partenza, perché la massima parte delle considerazioni in cui si radicano le pretese identitarie ha un’origine religiosa o la prende a pretesto, funge da alibi presentabile.

Il problema è che ormai da almeno una settantina di anni la teoria evolutiva non è più una dottrina che dispone di schiaccianti  prove indiziarie, ma è divenuta una scienza operativa: la scoperta del Dna ha illuminato meccanismi che prima sfuggivano e hanno dato inizio a pratiche che in qualche modo la dimostrano e che sono ormai letteralmente pane quotidiano per tutti visto che – per esempio – la quasi totalità dei cibi che arrivano sulla nostra tavola sono frutto di incroci di tipo tradizionale o da laboratorio, irradiazioni, tecniche genetiche mirate. Al di là di qualsiasi considerazione tutto questo illustra non solo i meccanismi di base delle mutazioni, ma anche  che esse non sono soltanto una possibilità, ma una necessità degli esseri biologici.

Non è proprio che sappiamo tutto, anzi ben poco, il panorama della comprensione è ancora immenso tuttavia è piuttosto stravagante il fatto che l’evoluzione sia ancora un sorta di tabù per le religioni organizzate o per quelle posizioni di analoga anche se inconfessata radice che si riferiscono a un’idea di natura immobile e platonica (ma spesso tradotta in termini disneyani) la quale prende corpo in certe futilità naturiste che alla fine valgono quanto i diktat creazionisti di Erdogan. Quindi qualsiasi guerra di civiltà o di cultura ha poco a che vedere con le diversità delle religioni, ma con una diversità di atteggiamento fondamentale nei confronti del mondo: i confini non si tracciano sull’atlante ma in noi stessi.

A questo proposito va però detta una cosa fondamentale: la teoria dell’evoluzione ha ben poco a che vedere con il darwinismo che col tempo ne è invece divenuta una sorta di derivazione ideologica ben accolta e anzi alimentata dal capitalismo. Darwin, insieme a Wallace, è quello che ha avuto l’idea iniziale della selezione naturale, ma viste le conoscenze dei suoi tempi non poteva che focalizzarsi esclusivamente sugli individui su cui gravava tutto l’onere e l’onore di essere i più adatti o i più forti, vincitori o perdenti per volontò naturale, il che si accordava con psicologica perfezione alle tesi di Adam Smith e di quel liberalismo che si avvierà di li a poco con l’affermazione della teoria neoclassica dell’economia a diventare liberismo. La lotta e la vittoria del migliore erano manna per quel mondo che così poteva giustificare e la disuguaglianza come fatto naturale. Oggi le cose appaiono molto più complesse, dovendo rispondere a meccanismi genetici digitali del tipo 0 – 1 e non più di tipo analogico come era naturale pensare al tempo di Darwin, ma soprattutto si comincia a comprendere che i meccanismi che coinvolgono l’evoluzione riguardano le specie o addirittura i gruppi di specie e non gli individui sebbene essi ne siano i portatori visibili, che insomma il mondo della vita non è una sorta di lotteria atomistica, ma somiglia molto di più a un’opera corale, che è l’insieme che costruisce gli individui non il contrario, esattamente come come avviene nelle società umane, cosa così evidente da essere difficilissima da scorgere.