Da qualche tempo molte aziende del tonno in scatola, accomapagnato dai turibuli di organizzazioni come Greenpeace legate a una impossibile visione di ecologia senza cambiamento di paradigma produttivo, vi fanno pagare parecchio di più per il tonno cosiddetto sostenibile, ovvero quello pescato a canna, dizione sotto la quale è presumibilmente compresa anche la pesca con reti a circuizione. Ma basterebbe fare due più due per capire che cercare di vendere la stessa quantità di tonno in scatola di prima se non ancora di più ancora più non ha assolutamente nulla nè di sostenibile, nè di responsabile dal momento che proprio l’eccesso di pesca di questa specie (4,2 milioni di tonnellate l’anno) sta depauparndo i mari: non è certo aggiungendo al normale saccheggio uno sfruttamento che teoricamente dovrebbe essere meno oneroso per la biosfera, che può cambiare la situazione.
Ma, come dire, la nuova tonnara non si trova in mare, ma sulla terra ferma dove la crisi ha reso dispobile manodopera a costi bassissimi che può stare ore a buttare l’amo e a pescare, beninteso nel mezzo di un banco di tonni individuati con tecnologie sofisiticate e mantentuti assieme con trucchi che fanno credere ai tonni di essere in presenza delle loro prede preferite. Uno via l’altro insomma, senza sosta. Qui non siamo affatto nel vecchio e il mare o nelle immagini di intere giornate perse alla ricerca di una preda: siamo alla pesca industriale nella quale è stato reintrodotto l’uomo da quando esso costa meno di un tonno. E da quando è molto più conveniente comprare o affittare pescherecci più piccoli, svenduti dai piccoli capitani rovinati dalla pesca industriale, piuttosto che fabbricare nuovi grandi mattatoi di alto mare che del resto costerebbero molto e servirebbero a poco vista la progressiva diminuzione della materia prima: si tratta di sfruttare risorse minori che sfuggono o non sono convenienti per i pescerecci – fabbrica di altura. Il fatto che con l’amo non vengano pescati squali o altro tipi di pesce è del tutto marginale nella depauperazione degli oceani, tanto più che il pescato a canna o con reti a circuizione cattura animali mediamente molto più giovani ed è dunque maggiormente dannoso in prospettiva, ma rappresenta un buon pretesto per premderci all’amo. Noi abituati ad automatismi mentali indotti ci caschiamo come pere cotte: ci è impossibile comprendere come la mattanza con tutto il suo sangue e la sua violenza fosse in realtà il tipo di pesca più sostenibile, essendo stagionale e dunque seguendo i cicli riproduttivi: la tradizione di inscatolare il tonno nasce proprio dalla necessità di rendere disponibile l’alimento al di fuori della stagione di migrazione di questi pesci. La morte e la devastazione non ci colpiscono se sono apportate con metodi che sembrano asettiti e questo vale anche per gli uomini.
Naturalmente quella dei tonni è solo un ‘allegoria, una metafora per un mondo in cui si può monetizzare la parvenza della sostenibilità e responsabilità, in cui tutto si degrada a slogan e trucco commerciale o politico. Pensate a come è stato facile mettere nel sacco i francesi usando la canna della Le Pen o come il gruppo dirigente Cinque stelle sia stato giocato inducendolo prima a entrare nel clan dell’inciucio del Tedeschellum, una trappola allo stato puro e una volta preso all’amo, lo ha indotto a sconsiderati contorcimenti sullo ius soli che invece di rimediare al danno lo hanno aggravato. Ma ampliamo il panorama e vediamo come alla paura indotta dagli attacchi terroristici si contrapponga una totale atonia per il rogo della Grenfell Tower che è l’innegabile risultato del terrorismo di mercato e di stato, visto che la strage è stata causata da un pericoloso abbellimento deciso solo perché i ricchi non fossero disturbati dalla vista di un edificio per poveri. Non aiuti, non affitti più bassi, ma soldi pubblici spesi per fare di un edificio di proprietà pubblica una sorta di forno sulla cui pericolosità si erano invano speso un comitato di inquilini che aveva quasi esattamente previsto ciò che poi è accaduto.
Forse più che dei terroristi di origine molto incerta devremmo avere paura degli stati e dei partiti neoliberisti che fanno responsabilmente i loro morti. Ma siamo tonni, siamo già in scatola.
Salve, da non poco tempo seguo questo blog, ma solo adesso mi sono deciso ad inviare commenti. Trovo estremamente rigorosi gli articoli di Simplicissimus e di Anna Lombroso, ed estremamente interessanti i commenti, forse mi è scattata la molla ad intervenire leggendo i commenti basati sulla cultura scientifica che ho letto recentemente. Anche io penso che gli economisti non abbiano nessun rigore, e siano assolutamente privi di attitudine scientifica, anche se vengono continuamente proposti come esperti dai mezzi di comunicazione. Mi sembra molto esplicativo il principio dell’entropia riferito al decorso della società in cui viviamo e l’idea di una legge del profitto per unificare i tanti problemi che si ammassano su di noi, altrimenti sembrerebbe di vivere da qualche anno in un mondo assurdo ed incomprensibile. A differenza di Jorge però, credo che l’entropia sia per sua natura quasi per niente reversibile e non ho nessuna fiducia nel futuro che si prospetta, non tanto per noi ma per le nuove generazioni. Sulla presa in giro dei tonni pescati con la canna, ed il commento di Jorge, basta dire che il consumismo ci costringe ad acquistare prodotti programmati per cessare di funzionare dopo un tempo predeterminato, oppure che il consumo di prodotti alimentari che arrivano da altri continenti per un malinteso risparmio dei consumatori, significa solo aumentare i costi sociali di dispendio energetico. La stessa cosa osservata per le emissioni della telefonia mobile con le sue reti plurime, un costo sociale per la salute assolutamente non in relazione con i benefici finora poco evidenti che la concorrenza tra gestori dovrebbe portare ai consumatori. Continuate così.
Walter Montemarano
Salve anche a lei, preciso che io non credo che l’entropia sia facilmente reversibile, ma che anzi non lo è, pertanto ci vuole il cambiamento complessivo del sistema. A ritenere reversibile l’entropia, magari è chi crede di tornare indietro, mettiamo, al capitalismo keynesyano.
il criterio della sostenibilità, non può convivere con il capitalismo che deve espandere sempre la propria produzione . Cosa questa evidente anche per quanto riguarda un ormai non più possibile capitalismo “Keynesiano”, il deficit spending serve proprio per espandere i consumi.
E’ evidente chela tecnologia costa molto, ed aumenta la produttivita, fai la stessa quantità di merci con un minore tempo di lavoro. Quindi, per essere prodotta, una singola unità di prodotto abbisogna di un minore tempo di lavoro di lavoro, ed il suo prezzo si abbassa data la concorrenza tra capitalisti : ma al contempo ci sono da remunerare spese tecniche propedeutiche alla produzione che sono cresciute.
Il gioco vale la candela solo se puoi vendere una quantità di merci molto maggiore che prima, solo così recuperi le spese propedeutiche e magari fai ancora qualche profitto, in effetti ciò può avvenire appunto perchè l’unità di prodotto costa meno, ha un mercato maggiore quindi ne produci e ne vendi di più
Ma ciò significa dover produrre una quantità sempre maggiore di merci, spesso inutili, che inondano il pianeta di quantità insostenibili (altro che sostenibilità, è il contrario come quantità, inquinamento etc)
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In termini generici, è il principio per cui conviene abbassare il prezzo delle merci, così ne vendi di più e fai più soldi.
Tecnicamente, se produci merci con meno tempo di lavoro, abbisogni di meno operai, la base lavorativa sfruttata si riduce e con essa i profitti. Ossia, per il capitalista c’è meno tempo di lavoro preso a gratis sulla pelle della forza-lavoro, quello che eccede la semplice sopravvivenza del salariato, non se ne è mai visto uno che si sia arricchito col proprio produttivissimo lavoro.
Ergo, puoi aumentare tale base lavorativa ed i profitti, solo aumentando la produzione, ma cosi il pianeta è subissato da merci sempre maggiori e più inutili di prima. Diminuisce il saggio di profitto ma recuperi sulla massa dei profitti, oggi però con la tendenziale fabbrica automatica tale recupero è impossibile, crisi definitiva.
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Ecco perchè il capitalismo, seppur non fosse in crisi definitiva, e pure nelle sue (defunte) versioni progressive o keynesiane, è incompatibile con una economia sostenibiile, per il suo proprio meccanismo deve produrre sempre di più ed all’infinito in barba ad ogni criterio di sostenibilità e qui la finanziarizzazione non c’entra niente.
Quando i corifei del capitale dicono il contrario, e parlano di economia soatenibile dicono balle, come per i tonni pescati a canna invero aggiuntivi e non alternativi a quelli presi a strascico.
Recentemente, per degli interrogativi di salute, ho avuto modo di interessarmi al problema dell’elettrosmog, il fatto che ci siano 3 o 4 gestori di telefonia mobile significa 4 reti di antenne per comunicazione ad alta frequenza, con aggravio dei rischi per la salute anche perché tali reti si ostacolano a vicenda costringendo i gestori ad aumentare progressivamente la potenza delle emissioni. Laddove, con una sola rete pubblica, i volt per metro di inquinamento da elettrosmog a sarebbero di molto inferiori.
Cioè, danni per la salute ( in buona misura certificati) a fronte di vantaggi zero per la tasca dei consumatori, ci sono voluti quasi trenta anni perchè le aziende di telefonia equiparassero i costi delle telefonate internazionali a quelli nazionali, pur essendo le spese del servizio perfettamete identiche (e si poterebbebbe di molto estendere il discorso)
“o come il gruppo dirigente Cinque stelle sia stato giocato inducendolo prima a entrare nel clan dell’inciucio del Tedeschellum, una trappola allo stato puro e una volta preso all’amo, lo ha indotto a sconsiderati contorcimenti sullo ius soli che invece di rimediare al danno lo hanno aggravato. ”
chi vuole, legga:
http://www.telejato.it/home/cronaca/forello-gioca-dazzardo/
ma in certe trappole si cade facilmente quando non si ha un criterio conduttore di fondo, tranne una generica onestà, che è solo una pre-condizione