Oggi, prendendo spunto dalla morte di Kohl, mi voglio esercitare in una di quelle decostruzioni delle narrazioni ufficiali che a volte sembrano troppo fantasiose o troppo forzate, ma che comunque contegono un nucleo di verità incontestabile. Parto da una notizia in qualche modo inaspettata che giunge da Berlino: Germania e Austria hanno espresso forti critiche sulle ultime sanzioni statunitensi contro Mosca, dicendo che potrebbero pregiudicare le imprese europee impegnate nella costruzione di gasdotti per portare in centro Europa il gas naturale russo. Impegnate in sostanza a bypassare attraverso il North Stream Ucraina e Polonia, ossia i due Paesi più antirussi per tradizione o per golpe che vi siano sul continente, cosa che come si può immaginare dispiace in maniera eccezionale a Washington.
Ora basta prendere questo fatto, ribaltarlo, tirarne le conseguenze e abbiamo una nuova filigrana di lettura della realtà nella quale l’assalto all’Ucraina, i pasticci in Turchia e successivamente in Iran e Qatar, fanno sì parte della strategia di accerchiamento della Russia per impedire una ripolarizzazione mondiale, ma hanno come importante punto iniziale questioni interne, in pratica il salvataggio delle aziende petrolifere impegnate nel fracking e tutto l’alone di speculazione borsistica attorno ad esse. Com’è noto è stato Bush, petroliere mancato, a promuovere le nuove tecniche estrattive ed è stato Obama a premere sull’acceleratore con la promessa o forse è meglio dire miraggio di far tornare gli Usa fra i maggiori esportatori di greggio, ma soprattutto con l’obiettivo di contenere la crisi con lo svilupppo di una nuova corsa all’oro nero. Disgraziatamente l’estrazione di petrolio con le tecniche del fracking oltre ad essere estremanete pericolosa per l’ambiente, per l’acqua, per l’atmosfera è anche parecchio più costosa rispetto ai normali pozzi, compresi quelli sottomarini e dunque tutto il settore si è in qualche modo sviluppato in una bolla a metà fra borsa e Stato fino a che non è intervenuto un calo drastico dei prezzi del petrolio che ha messo in grossi guai quelli che si erano buttati sulla nuova frontiera, i grandi investimenti subito accorsi e l’ancor più grande alea speculativa attorno ad essi.
Ora però c’è un ulteriore problema: dai pozzi si estrae sia petrolio che gas, ma quest’ultimo rischia di non costituire un guadagno quanto una perdita soprattutto per gli operatori più piccoli, perché l’utilizzo del gas è meno sviluppato negli Usa rispetto all’Europa e il recupero di esso nelle particolari condizioni della tecnica di fratturazione, ne aumenterebbe ancora i costi a livelli limite. Tanto limite che si è creata una situazione assurda nella quale da una parte esiste una sovrapproduzione gasiera, dall’altra gli Stati Uniti continuano a importare dal Canada. Per reggere la baracca del fraking così vitale per la favoleggiata nuova America saudita era ed è vitale trovare dei mercati a cui vendere questo gas e dove principlamente se non in Europa? Disgraziatamente del continente fa parte anche il maggior produttore mondiale di gas oltre che detentore delle maggiori riserve planetarie ossia la Russia che con i suoi gasdotti, può rifornire l’Europa a prezzi molto più bassi rispetto agli Usa che già estraggono a prezzi superiori, ma poi devono liquefare il gas riempire le navi e mandarle dall’altra parte dell’Atlantico. Certo visti gli sprechi anche un prezzo geopolitico può dare un po’ di respiro, ma i Paesi importatori devono comunque spendere miliardi per gli impianti di degassificazione e di trasporto .
Dunque la maniera per poter attuare il proposito è impedire alla Russia di esportare, di metterla in difficoltà, di isolarla e anche di mandare a gambe all’aria quei Paesi che godono di immense riserve di gas ancora in gran parte inutilizzate, ma a portata di gasdotto per l’Europa: volete qualche nome? Il golfo della Sirte, dunque Libia, il braccio di mare tra Cipro e le coste della Siria, il Qatar e l’Iran che già producono abbastanza, ma che hanno immense riserve e che soprattutto insieme potrebbero rifornire il continente europeo e parte dell’Asia senza bisogno di degassificatori. Ma anche la Grecia e l’Egeo sono miniere già accertate e sia pure in misura minore alcuni tratti di costa turca e dell’Egitto. Ora si dà il caso che tutti questi Paesi, oltre alla Russia stessa, siano entrati nel mirino di Washington e degli ascari di Bruxelles con la guerra, tentati golpe, primavere arabe, distruzione economica, minacce per interposti amici importazione di terrorismo e quant’altro. Certo si tratta di apparenti coincidenze che trovano tutttavia un riscontro temporale visto che le vicende elencate sono ominciate insieme al boom del fracking negli Usa tra la fine del 2010 e il 2011, lo steso periodo in cui improvvisamente tutti noi scoprimmo che dovevamo diversificare le nostre fonti, costruire dagassificatori a più non posso e in sostanza comprare dagli Usa a prezzo maggiorato (vedi nota).
Ovvio che non è possibile spiegare tutto solo alla luce di questo, ma le troppe coincidenze ci dicono che si tratta di un elemento importante nella dinamica dei fatti. L’inattesa anche se serpeggiante ribellione sul North Stream della Germania, del resto già avvertita con l’affaire Wolkswagen tramite l’ennesima “agenzia indipendente”, conferma che la pista non insegue miraggi. E che l’unico miraggio è fidarsi dell’estremo occidente.
Nota E’ curioso a questo proposito notare come sia stata la Croazia ad ottenere, dopo una battaglia con l’Italia e la Slovenia, finanziamenti europei per costruzione un degassificatore sull’isola di Veglia. Curioso perché Slovenia e Croazia sono comprese in pieno nel più vasto bacino europeo adatto all’estrazione di olio e gas con la tecnica del fracking e per giunta hanno una situazione antropica di certo più favorevole di altri aree del continente. In particolare entrambi i Paesi possiedono queste risorse lontano dalla zona turistica costiera. Risultato: devastazione delle coste per comprare gas da fracking dallo zio Sam in maniera da essere compiutamente zio Tom.
Ricevo e volentieri diffondo :
Un esempio effettivo di lotta al neoliberismo, in particolare contro Renzi, Del Rio, Furlan
Grande spavento per il regime ed i suoi mass media, a partire dal 16 giugno si batte il ritornello di una necessaria “regolamentazione del diritto di sciopero”. A tale data si è avuto lo sciopero dei lavoratori dei trasporti (aeroportuali, portuali, ferrovie, autoferrotranvieri, logistica e autostrade) che ha avuto un esito complessivamente molto buono.
Sicuramente, il successo è stato maggiore alle aspettative dei promotori, alcuni sindacati di base, che per la prima volta hanno costruito una lotta comune e non separata. Solo a stento, la triade Cgil-Cisl-Uil ha potuto contenere in alcune situazioni il grande malcontento dei lavoratori, quelle dove pesa invece il loro ruolo clientelare. Quindi, non sono in questione le tessere sindacali, bensì è in questione l’unità di lotta dei lavoratori, un’unità trasversale che si sta generalizzando. E spaventa sindacalisti e politicanti di regime.
Lo sciopero è stato proclamato contro l’incombente privatizzazione del trasporto pubblico, in particolare il trasporto di passeggeri (urbano e ferroviario). Il trasporto è tra i pochi settori che vantano ancora una prevalente partecipazione dello Stato o delle amministrazioni locali. E fa gola alle multinazionali del trasporto privato, nonché ai lupi della finanza. Il governo Gentiloni sta facendo di tutto per regalare a costoro questa gallina dalle uova d’oro. Dando un calcio in culo ai lavoratori del settore e agli «utenti» del servizio.
Le male conseguenze della privatizzazione ricadranno infatti su TUTTI: i lavoratori del settore saranno sottoposti a peggiori condizioni di lavoro; i passeggeri, i pendolari in primis, dovranno ingoiare maggiori disagi e tariffe più alte.
La posta in gioco è alta, e spiega l’acido livore scatenato dallo sciopero tra politicanti e sindacalisti, con in testa Renzi, Del Rio, Furlan. E questo livore nonostante lo sciopero si sia svolto nel completo rispetto delle «regole» (sotto, commenti a caldo).
Lor signori, le «regole» le dettano ma le rispettano finché gli conviene. O vi sono costretti.
Sappiamo per brutta esperienza che, tra le conseguenze delle privatizzazioni, c’è la flessibilizzazione del lavoro: l’outsourcing, l’esternalizzazione, ovvero il lavoro in appalto. Un altro bell’affare, dove si sono buttate le cooperative che il lavoro lo gestiscono con criteri mafiosi e con la connivenza della triade Cgil-Cisl-Uil, come si è visto nella logistica e le lotte dei facchini.
Di fronte a questa prospettiva, fa piacere che allo sciopero abbiano partecipato molti facchini, in particolare a Modena e a Piacenza, che affrontano tutt’oggi le gioie del lavoro in appalto .
E fa piacere che a Milano siano scese in piazza (del Duomo!) anche le cameriere di alcuni grandi alberghi, anch’esse sottoposte a condizioni di lavoro schiavistiche, gestite dalle solite cooperative .
Un vento nuovo comincia a soffiare. Il vento caldo delle lotte.
d. e., Milano, 17 giugno 2017.
Come dice la Lombrosa, poi non ci si lamenti del neo-liberismo che vince sempre, se si rimane indifferenti alle lotte , al destino di chi affonda col barcone e muore, allo ius solis negato che serve a creare un a colonia interna di forza lavoro di serie B da peggio sfruttare quale esercito di riserva
l’arroganza padronale la si è vista anche nelle recenti lotte della logistica, un padroncino ha investito con la propria mercedes un facchino egiziano animatore delle lotte che tra l’altro era laureato in medicina nel suo paese.
Rappresentanti dei facchini sono stati arrestati con la scusa di avere preso tangenti alla Levoni, ma l’accorrere di facchini presso le prefetture di molte città ha portato alla loro scarcerazione, poi sono stati prosciolti anche dalla magistrature
E’ evidente che trasporti, stoccaggio, magazzini, facchini, e pulizie, ovvero la logistica, è il settore con più capacità di lotta oggi in italia, si tratta in genere di settori ad alta presenza di immigrati e lavoratori super-precari. Settori fino ad oggi, e sempre più, esternalizzati dalle imprese “produttive”, ma in grado di bloccate la filiera di queste stesse molto più di chi ancora lavora internamente ad esse (operai, impiegati )
La cosa nuova è però che i blocchi effettivi di queste filiere, che gli scioperi nella logistica da qualche anno impongono, ovviamente bloccano pure le imprese “produttive” a capo di tali filiere. Imprese “produttive” entro le quali i lavoratori normali (operai, impiegati) in effetti molto poco riescono a costruire delle lotte, ma una volta che le imprese “produttive” entro cui lavorano vengono bloccate dall’esterno (logistica), allora anche tali operai ed impiegati trovano la capacità di riprendere le lotte (sta avvenendo sempre più spesso)
Ecco la preoccupazione del “partito della Nazione” e dei giornali di proprietà confindustriale, che suonano la grancassa di restringere il già ridottissimo diritto di sciopero, con la complicità di cgil-cisl uil
Da un punto di vista storico, la dinamica non è nuova. Sulla fine dei ’60 una nuova generazione di operai giovani provenienti dal sud, essendo di origine contadina e non integrata nelle istituzioni socialdemocratiche di controllo (partiti. sindacati), ostracizzata dagli autoctoni del nord, intraprese per disperazione una stagione di lotte che poi coinvolse pure la classe operaia tradizionale ed integrata del nord. Quelle che vennero di conseguenza furono le lotte degli anni 70 che costruirono lo stato sociale, i diritti, l’istruzione di massa (non fu il capitalismo produttivo, aspettavate Agnelli e Pirelli stavamo freschi)
Qualcosa di simile anche in Germania, le lotte coeve di giovani immigrati turchi, che fino ad allora avevano nelle fabbriche contratti “razziali” separati e peggiori, trascinarono nella lotta i lavoratori tedeschi socialdemocratici ed irretiti nelle istituzioni della socialdemocrazia repressiva. Anche in germania vi fu una stagione di lotte che produsse importanti miglioramenti e riforme
Ovviamente, i quozienti di oggi sono estremamente lontani da quelli degli esempi riportati, ma è interessante notare come certe dinamiche riprendano a fare capolino, contro chi crede che gli immigrati siano necessariamente nemici. il problema e quando si intende l’accoglienza come una cosa umanitaria e non rivolta ad una coscienza di lotta come ovvero come fa il papa. Non è lo stesso sistema di sfruttamento che costringe l’immigrato a fuggire dalle guerre o dalla miseria imposta da capitale, e che costringe alla precarietà l’italiano o l’europeo?
E’ anche interessante notare come la falsa scienza della economia voglia trovare le leggi di comportamento dei soggetti che operano nello spazio economico, e producono così intere biblioteche che santificano il mercato perchè sarebbe il portato naturale dei comportamenti studiati e ritenuti naturali. Mai che studino il comportamento nella filiera economica dell’immigrato espropriato di tutto ed in grado di coinvolgere nelle lotte l’abitante autoctono (e mille e mille casistiche del genere). Ed i media di regime men che meno parlano poi di queste cose, invece sempre vogliosi di scrivere del nero che violenta (?) e del rumeno che rapina (?)
Come dice giustamente Anna Lombroso questo ius soli è al massimo una sanatoria. Quindi nulla di “grave”…
Ma mentre il PD si vanta ipocritamente di essere civile e si finge di sinistra, il M5S critica in modo nebuloso la norma e mostra il suo vero volto piuttosto rozzo e quasi fascista, la Lega e il resto del becerume non hanno bisogno di spiegazioni.
Nuova linfa al popolo, quello sottopagato e sfruttato. Mi piace, ci vorrei credere e un po’ ci credo.
“che suonano la grancassa di restringere il già ridottissimo diritto di sciopero, con la complicità di cgil-cisl uil”
la triplice sindacale è organizzata in oligopolio, con tanto di RENDITE OLIGOPOLISTICHE A DISCAPITO DEI LAVORATORI, siamo in presenza, in buona sostanza di RENTIER , nel senso sopra specificato, che cianciano del lavoro degli altri, neppure capendo bene cosa voglia dire lavorare, da quelle parti di frequente si vive di rendita.
la rendita oligopolistica nel sindacato, c’è , ed è pagata alle spese del lavoratore , in buona parte, alla salute della tutela effettiva dei suoi diritti, che dovranno forzatamente essere decurtati del peso delle rendite del sindacato, che si manifestano in vario modo.
Volendo fare una battuta, ma non troppo (!), essendoci un oligopolio nel sindacato, ci sarebbe la necessità di un autorità indipendente che verificasse, che detto oligopolio NON PRODUCA DANNI AI LAVORATORI.
@Jorge
@Jorge Grazie per aver diffuso quel comunicato sullo sciopero di venerdì. Un po’ di speranza non fa mai male.
la Germania deve fare una sola cosa per ribellarsi sul serio. Uscire dalla Nato e cacciare le truppe di occupazione. Fino ad allora resterà solo una colonia che deve ubbidire ai padroni, punto.
Adoro le sue lucide analisi. Grazie. Come pure ribadire, ancora e ancora, come the lost hegemon (USA) stanno facendo di tutto, trascinando i suoi servi in crisi economiche, guerre e disastri ambientali, per impedire il prossimo Mondo multipolare.
Le loro azioni sono sempre più pericolosamente illogiche. Il fracking è solo una operazione di losca geopolitica perché non ha nulla a che fare con una politica energetica che dovrebbe puntare a un bilancio energetico positivo, cosa che non è. Il supporto a questa azione geopolitica è infatti solo di tipo finanziario. Ma la bolla è già scoppiata e è stata nascosta. Un pozzo di fracking, oltre a distruggere l’ambiente, FATTO GRAVISSIMO, è una azione energetica senza senso.
All’inizio serve un barile di oil per ottenerne due, il che dura circa un anno e mezzo al massimo, fino a diventare un rapporto negativo.
“all’inizio serve un barile di oil per ottenerne due, il che dura circa un anno e mezzo al massimo, fino a diventare un rapporto negativo”
pazzesco il livello a cui ci stanno portando….