Stamattina leggevo su un noto sito della sinistra un articolo sui destini del sistema universitario italiano e sullo sconsiderato intendimento del renz berlusconismo di trasformarlo all’americana ovvero “da una parte università semi-private di ottima qualità per una ridotta élite e dall’altra un’università pubblica di scarsa qualità per tutti altri”. Tutto condivisibile se non fosse che l’ottima qualità di tali atenei americani privati o semi privati è una cosa che è diventata vera a forza di ripeterla, ma che prescinde da qualsiasi prova concreta. Né possono dare lumi le varie classifiche, internazionali di nome, statunitensi di cognome che – come ammettono i loro stessi compilatori – giocano su molti fattori del tutto estranei alla didattica tra i quali figura l’entità degli stipendi dei docenti, del personale amministrativo e dei servizi di sicurezza, il numero delle attrezzature sportive, la qualità delle strutture abitative, il costo di birra e hamburgher e via dicendo oltre a fondarsi su un meccanismo di voto anch’esso sostanzialmente basato esclusivamente sulla fama.
Si tratta di un giudizio autoreferenziale che col tempo è divenuto anche un lucroso business dell’istruzione attraverso il sistema dei master, ma che in realtà è garantito solo dalla potenza americana come forse sa chi ne ha esperienza diretta, mentre a giudicare dall’enorme numero in Usa di ricercatori che provengono da sistemi universitari diversi si direbbe che il sistema non è poi così buono, tanto che all’interno viene ferocemente criticato. Ma questo è uno tanti esempi del passaggio definitivo tra una civilizzazione europea che comprendeva anche l’estremo occidente americano e una civilizaazione americana che comprende delle varianti europee, un processo iniziatosi alla fine della grande guerra, divenuto stringente dopo la seconda, conclusosi con Maastricht. E’ fin troppo evidente che in queste condizioni il progetto Ue non poteva avere un proprio spazio ideativo e una coerenza agli ideali espressi in precedenza, limitandosi ad essere una sorta di imitazione americana, come del resto qualsiasi cosa a cominciare dai partiti, per andare alla comunicazione o all’espressione artistica, a quella cucina greve per finire persino alle categorie atletiche. E naturalmente si impone anche la lingua americana in quanto portatrice dei valori che devono essere diffusi e funzionale ad essi.
Quest’ultimo elemento agisce in molti modi: è prima di tutto una dimostrazione di sottomissione a un modello per cui accade che a Science Po, il noto istituto di studi politici di Parigi il 60% degli insegnamenti venga impartito in inglese, senza alcuna ragione al mondo se non forse quella che molti concetti del pensiero unico neo liberista troverebbero qualche difficoltà ad apparire credibili in altri contesti semantici nei quali sarebbero oggetti concreti e non semplici “segnalibri” linguistici e andrebbero perciò incontro a un rapido deterioramento: basti pensare che il corso sulle politiche culturali in Francia al Po è denominato Cultural Policy and Management che significa tutt’altro ovvero indicazioni pratiche sulla cultura e sulla sua gestione che comprende già un’idea mercatista di cultura. Ma l’imperialismo linguistico serve anche come viatico alla scomparsa di concetti pericolosi, a usi eufemistici per coprire il disagio sociale, o rendere meno evidente il comando e le sue responsabilità e non ultimo a vendervi robaccia con slogan senza significato reale i quali, espressi nella lingua delle vittime del consumo, apparirebbero palesemente come prese per i fondelli.
Una delle conseguenze di tutto ciò è che le classi colte europee di prima della guerra conoscevano solitamente due o tre lingue del continente e potevano operare un dibattito reale e diretto, mentre adesso conoscono solo l’inglese, parlano dentro una bolla culturale che li estranea e per giunta in una lingua che non fa più formalmente parte dell’unione. Se non si parte da questo ci si può stupire – è solo un esempio fra mille – che diversi Paesi europei siano stati costretti a stipulare con gli Usa un accordo per cui essi devono dichiarare al fisco americano tutti i conti detenuti da cittadini e imprese a stelle e strisce, ma non viceversa perché questo sarebbe contro le leggi degli States. Nemmeno ci si chiede più dove sia finita la reciprocità.
Quindi quando si sente turibolare l’Europa in realtà assistiamo all’encomio di qualcosa che non esiste più, di un’ appendice del pensiero unico senza capacità reale di essere qualcosa al di fuori di esso, di un’Europa incattivita e in cattività. in cattivitàhut up.
Mi piacerebbe lasciare un commento più decoroso e articolato, ma purtroppo, per esigenze di tempo, posso solo introdurre un ulteriore spunto, che spero pertinente.
La mercantilizzazione del sapere (già in stato avanzatissimo in tutta Europa) è una delle linee guida principali europee. Insieme a una iperburocratizzazione, che ha, di fatto, fortemente limitato, se non annullato, la libertà di ricerca.
È interessante, per esempio, leggere ciò che scrive Gerhard Stapelfeldt, che parla di “avvento del pensiero conformista” (Aufbruch des konformistisches Geist).
Quel poco di presidio democratico che nell’università italiana è rimasto va ovviamente spazzato via al grido di “facciamo come la Germania”, dove il 90% della ricerca è condotta da precari (come puntualmente riportato dal BMBF). Ma si sa che quando non si ha la sicurezza del futuro si è liberi come gabbiani…
Infatti nelle università tedesche non si discute più di nulla: si cita, si pubblica e si giudica a testa bassa. A volte ironizzo dicendo che, in caso di attacco atomico su Berlino, solo l’1% dei miei colleghi universitari tedeschi sentirebbe l’esigenza di interrompere l’attività accademica.
O dobbiamo fare come l’Inghilterra, sulla cui situazione universitaria si è ben espressa la Priyamvada Gopal dell’Università di Cambridge,
raccontando le punizioni vessatorie inflitte agli studenti che protestavano per gli aumenti delle tasse universitarie (consiglio la visione su YouTube di un suo intervento intitolato “Neoliberal Academia”).
Ovviamente la classe accademica nostrana, ben ricompensata con incarichi ed onorificenze, finge di ignorare lo smantellamento finale in corso. E noi, pecoroni, a chiedere che finalmente anche da noi ci sia la meritocrazia.
Meritocrazia!
Meritocrazia!
Peccato che, nonostante la rima, non vada affatto d’accordo con la democrazia e con la necessità di formare teste pensanti.
http://ilpedante.org/post/appunti-di-meritocrazia
” e’ questa la meritocrazia. Il suo unico e vero premio è la promessa di non ricevere il castigo, almeno fino al giorno successivo”
E’ congruente con il capitalismo, un sistema di carenza che abbrutisce costringendo a vendere la propria forza lavoro. Un sistema di carenza che abbrutisce e limita la potenziale creatività di ogni essere umano. Al capitalismo decadente o entropico non serve niente di meglio
…. potrei raccontarne delle belle, riempiendo (purtroppo) troppe pagine. Ma scegliendo “fior da fiore,” basti dire che la qualità e la nomea di un’università yankee si misurano prima di tutto, dal potere di vincere della squadra universitaria di football (americano). Perciò, nelle università piu’ “prestigiose” tra i “docenti” piu’ pagati c’è l’allenatore della squadra.
Ricordo ancora lo shock internalizzato quando, chiedendo informazioni a proposito di una certa università di cui era stato alunno, l’interlocutore si lanciò in un’apologia dell’associata squadra (di football), durata lunghi minuti.
Va da aggiungersi la sfacciata pretesa e pantomima che gli atleti della squadra siano lì per studiare – infatti godono di ‘borse di studio’ e trattamento da sceicchi del golfo.
Ovviamente il raccolto riflette il seminato. La classe politica rappresentata dai circa 550 congressisti e senatori USA è preciso specchio della cultura delle università cosiddette “ivy leagues.” Un’arroganza sfacciata verso quelli al di fuori della cerchia, siano persone o paesi. Una prosopopea oltre l’immaginabile – l’ “eccezionalismo americano” ne e’ espressione, ma non la peggiore.
Quanto alla superiorità dell’istruzione esiste un’intera enciclopedia di esempi di crassa ignoranza su aspetti del sapere (o conoscenza che dir si voglia), che nell’Europa prima dell’americanizzazione, si davano per scontati alla fine delle medie.
Esempio classico. Bush 2 era un laureato di Yale e aveva notevole difficoltà ad esprimersi – tant’e’ vero che ne nacque persino un vocabolario di ‘bushismi’ – strampalate e involontariamente esilaranti espressioni dove grammatica, sintassi e significato se ne andavano ciascuno per conto proprio.
Inoltre…. cora omnes, sed tacendum, istruzione, curriculum e massiccio appoggio finanziario, sono sotto stretto controllo talmudista. Chi appena osa dire qualcosa che solo nell’ombra possa suggerire un pensiero dubbio su Israele, e’ ostracizzato – e nei casi peggiori, eliminato.
Esempio. Il senatore Sessions, l’altro giorno, durante una “deposizione” al Congresso, ha usato il termine “Jewish AIPAC” (dove AIPAC sta per “American Israel Public Affairs Committee” – di gran lunga la lobby piu’ influente). Immediatamente dai media sono grondate critiche al senatore per avere usato l’aggettivo “jewish.”
Chi e’ interessato può leggere il blog su cosa e’ successo al veramente coraggioso congressista Jim Traficant. (Death of an Unsung Hero, http://wp.me/p2e0kb-1Yt)
Ultimo fattore in lista, ma non in importanza, i costi. Un’universitella neanche di quelle famose e pompose, costa 50-70 mila dollari all’anno – il che a sua volta crea un mercato nei prestiti studenteschi, che molti non riescono a pagare. Naturalmente il dean si becca salari milionari con compensazioni in proporzione per i soliti leccaculi (accademici) del suo entourage.
Non stupisce che un carattere di fibra umana e morale come il Berlusca sia alfiere e promotore del sistema educativo “mericano”
quella dei prestiti agli studenti è una ulteriore bolla, tali prestiti vengono cartolarizzati e diventano la base di pacchetti di investimento finanziario, più volte venduti e rivenduti con un enorme effetto leva, quando la bolla scoppierà la leva si tradurrà in altrettanta distruzione. E pure a grappolo, poichè quei pacchetti di investimento finanziario finiscono dappertutto nel mondo, come del resto tutte le varie forme di debito che vengono cartolarizzate. La cosa ha già oggi una dimensione superiore all’antecedente del 2007 che iniziò con i subprime, e va ulteriormente avanti, siamo in effetti seduti su una bomba atomica