jeremy-corbynLa cosa migliore che mi sia capitata questa settimana è essermi accorto di un grave errore commesso parlando delle elezioni britanniche: fidandomi delle posizioni che c’erano state al momento del referendum sul Brexit, immaginavo che Corbyn, l’unico vero vincitore delle politiche della setttimana scorsa, fosse rimasto sulle blande posizioni favorevoli al Remain, il che naturalmente poneva non pochi interrogativi sul senso da dare alle elezioni inglesi e sulla sincerità nel Labour nel proporre una nuova grande stagione di interventi pubblici e di nazionalizzazioni, nel quadro però di un’Europa che di fatto li vieta, presa com’è dall’ossessione privatistica.

La cosa mi è parsa così strana che mi sono andato a leggere qualche discorso elettorale di Corbyn e ho scoperto che in realtà il leader laburista, senza che queste informazioni giungessero al lettore e tanto meno al telespettatore, aveva già fatta propria la linea del Brexit fin dall’inizio della campagna elettorale, sostenendo che il Regno Unito può star meglio al di fuori della Ue e ribadendo questo concetto in tutte le occasioni anche se distinguendosi nettamente dal brexit xenofobo e proponendo logiche diverse rispetto al blocco dell’immigrazione che era nei sogni dei conservatori. La direzione principale delle sue proposte ha battuto invece sul salvataggio del sistema sanitario pubblico che i conservatori vorrebbero cancellare e l’intervento dello Stato nell’economia che sembra essere il babau di Bruxelles:  “ci impegneremo anche a rimpatriare i poteri da Bruxelles, per permettere al governo britannico di sviluppare una vera strategia industriale, essenziale per l’economia del futuro”.

In questo modo tutto ha più senso: non si è trattato di un ripensamento popolare rispetto alla Brexit, ma di un ripensamento della sinistra inglese in merito al feticcio europeo che – le parole sono quelle di Corbyn – di fatto rende minimi gli spazi per le politiche sociali, impedisce ai governi di intervenire ponendo come barriera le norme sugli aiuti di stato e nel complesso ostacola ogni possibilità di riprendere il controllo del mercato attraverso i contratti collettivi’ diffondendo così “l’ uso senza scrupoli del lavoro interinale e del finto lavoro parasubordinato“. Corbyn con la sua vittoria ha colto due piccioni con una fava, perché da una parte ha sconfitto lo sgradevole e petulante blairismo che si era impadronito del Labour come uno spirito maligno, ma per la prima volta nella sinistra fonda una nuova equazione: ossia la Ue come principale ostacolo alle politiche sociali e di sviluppo.

Tutto questo  dimostra che la sconfitta politica della May non ha nulla a che vedere con un ripensamento dei britannici sulla Brexit, così come è stato detto, ma invece ha tutto da spartire con la possibilità di ritornare a fare politiche sociali, salvandole dalla devastazione neo liberista.  La priorità del Labour nei negoziati con la UE rimarrà il pieno accesso al mercato unico europeo, ma nel quadro di un recupero di sovranità da Bruxelles per riportarla a Londra, così che  il governo possa intervenire a favore delle industrie che navigano in acque incerte. La difficoltà della sinistra ad abbandonare il feticcio europeo, anche quando esso si è dimostrato totalmente funzionale per non dire prezioso alla lotta di classe alla rovescia, è dimostrata anche dal fatto che i più noti esponenti dell’area progressista inglese, quelli che di solito vengono letti anche fuori dai confini, hanno quasi nascosto sotto il tappeto questa parte del discorso di Corbyn, mentre la stessa cosa è a ccaduta per quelli dello schieramento avversario che evidentemente non avevano alcun interesse a farlo: dopotutto la May voleva sfruttare il Brexit per fare il pieno di voti e poi gestirlo chissà come.

Da notare che su questa linea la vittoria è arrivata anche con il boicottaggio dei giovinastri blairiani che hanno inzeppato il partito e come grazie a questo la Gran Bretagna si trovi a rappresentare un’evoluzione politica positiva rispetto alla Francia conquistata da Macron proprio grazie all’esitazione di parte della sinistra sull’Europa neo liberista e al passo indietro compiuto dalla Le Pen nelle ultime due settimane. Per non dire dell’ Italia dove i pasticci parlamentari e informatici dei Cinque Stelle ormai entrati nella stanza dei bottoni, hanno del tutto disilluso l’Italia ribelle e dove sarà molto difficile ricostruire un’opposizione che di certo non può nascere da rottami e rottamati del Pd, nè dai bottegai della destra.