Anna Lombroso per il Simplicissimus
Il fenomeno della trasfigurazione amorosa può verificarsi anche nel contesto della pura speculazione e dell’avido profitto, che si giovano degli accorgimenti della propaganda “acchiappacitrulli” più spudorata.
Basterebbe vedere la pubblicità insinuante di un Hotel della catena Marriott situato nella laguna di Venezia, alla cui cucina potrebbe accedere l’iaspirante vincitore di una di quelle tremende e ferine competizioni tra sguatteri, incapaci di prodursi anche di una besciamella, messi in croce da perversi satrapi masterchef, e che trasforma l’isola, una volta adibita a accogliere e isolare i malati di petto, in un paradiso a un tempo del lusso e della biodiversità, grazie a un miracoloso microclima mai manifestatosi in tempi antichi e che oggi, grazie agli uffici della prestigiosa multinazionale alberghiera, favorisce lo sviluppo di piante rare e preziose. Senza alcun senso del ridicolo, dopo aver cambiato anche il nome dell’Isola da Sacca Sessola, denominazione sgradita in quanto evocativa di contagi e annesse malinconia, in Isola delle Rose, le immagini mostrano la mesta e severa facciate del vecchio nosocomio, convertita, miracoli del Mercato, in desiderabile corpo centrale del sibaritico relais, con tanto di approdo, anche quello mutato da darsena per ambulanze in arrivo peri motoscafi di prestigiosi clienti.
È proprio una mania, un’ossessione che ha colpito il ceto dirigente e imprenditoriale veneziano, la conversione di antiche strutture ospedaliere della città, in non sorprendente sincronia con la fine dell’assistenza pubblica e la implacabile espulsione dei residenti dalla città, in alberghi di lusso, grazie al ricorso altrettanto compulsivo all’istituto magari legale ma non sempre legittimo, di destinazione d’uso. Ormai applicato anche estemporaneamente, vista la facilità con la quale siti archeologici e monumenti storici si prestano a diventare location per convention, cene sociali, pranzi di nozze e sfilate di intimo.
Adesso pare che ci sia un ripensamento a leggere frettolosamente i comunicati che annunciano il provvedimento dell’amministrazione comunale che segnerebbe la fine delle licenze e delle concessioni facili per residence, hotel e B&B. Ma a guardar bene la misura non è poi così draconiana, visto che a decidere sulle autorizzazioni sarà lo stesso comune, caso per caso – a sancire il primato inarrestabile della discrezionalità e dell’arbitrarietà – in nome della solita mistificazione, quella balla stratosferica che parla di interesse superiore e ,che raccomanda di favorire speculazioni, predazioni, saccheggi, espropriazioni, in modo da promuovere crescita, quella che caccia gli abitanti per concedersi a pellegrini dello sfarzo, e dell’occupazione, quella che ci vuole camerieri, locandieri, portabagagli. Il tutto in un posto unico e fragile dove a fronte di 55 mila residenti (in calo rilevazione dopo rilevazione) ci sono 47 mila posti letto a disposizione (in crescita), che, calcolando quelli illegali e sfuggiti al controllo fiscale, supera di gran lunga il rapporto di 1 a 1. E dove sono oltre 10 milioni e mezzo i visitatori del centro storico nel 2016, con una permanenza media di 2,26 notti, più di tre volte dei turisti che si fermano in terraferma.
E comunque il peggio è fatto, a guardare come si sta perseguendo sfacciatamente il disegno di realizzare la perfetta Morte a Venezia, usando come laboratorio proprio il Lido, che grazie all’appoggio entusiastico che la neonata Agenzia di sviluppo per Venezia – voluta dal sindaco Brugnaro e guidata da un lidense come Beniamino Piro – ha dato al progetto appena presentato da Cassa depositi e prestiti, si doterà di due resort di lusso da 300 stanze e 600 posti gestiti da Th Resorts e Club Mediterranée, con oltre mille metri quadrati di spazi commerciali, due piscine a mare di fronte alla spiaggia e un centro benessere che promuoverà – come ha sottolineato Brugnaro – la sua “ vocazione sanitaria” nel solco dell’area prescelta. Perché anche stavolta il sito e i fabbricati son o quelli dell’ex ospedale al Mare.
Ma non basta, si parla di un altro resort nell’ex colonia Enel degli Alberoni – portata avanti da Marzotto e una cordata di imprenditori vicentini – e prende corpo la rinascita dei due hotel Excelsior e Des Bains, quello di Gustav “von” Aschenbach e di Tadzio, grazie al generoso prodigarsi di Manfredi Catella, fondatore e amministratore delegato di Coima sgr, che ha annunciato con gran pompa il via libera all’operazione di ristrutturazione del fondo Real Venice I, oggi fondo Lido di Venezia, con un budget di 250 milioni, quella Coima che vanta la partecipazione di influenti “fondi sovrani”, prima di tutto quello del Qatar, di Abu Dhabi e altri meno o più tristemente famosi.
Agli abitanti del Lido, umiliati, invasi, espropriati, impoveriti di servizi e bellezza dopo alcuni interventi assassini compiuti sulla vegetazione, i viali, le spiagge leggendarie, resterà l’amaro piacere di assistere alla miracolosa trasfigurazione dello sterco del diavolo marchiato Qatar in ambiti, desiderabili e graditissimi investimenti. Perché con buona pace dell’imperatore coi boccoli, dei suoi compagni di merende sauditi, di un’Europa ridotta a ridicolo re Travicello, non c’è da dubitare che, anche in vista delle nuove spese che comporta l’appartenenza all’alleanza atlantica, quelle da erogare in armamenti atti a dimostrare l’indole all’ubbidienza e al servilismo, tutti guardino con grata riconoscenza al munifico erogatore di discutibili risorse, quattrini incriminati, ma che già hanno permesso alla Qatar Holding di comprarsi un intero quartiere di Milano, quello di Porta Nuova, e poi Olbia, Firenze, Porto Cervo, con programmi e progetti che spaziano dall’immobiliare alle banche centri dello shopping a Milano, Firenze, Roma, Pisa e Modena, su 6000 metri quadrati e del valore complessivo di 50 milioni, fino ad arrivare alla moda in una ragnatela di intrecci che ha la stessa griffe: Al Thani, la famiglia reale di Doha che governa il Qatar dal 1850 circa, strapotente e indisturbata anche sotto protettorato britannico.
E dire che ci si preoccupa tanto per l’invasione di immigrati e profughi che arrivano sui barconi, superano monti e scavalcano muri, che ci si spaventa per la loro fede religiosa incompatibile con valori democratici, che ci si turba per la presenza di irregolari extracomunitari poco inclini all’integrazione e molto a prestarsi a azioni trasgressiva e criminali, quando invece siamo diventati noi i veri vu’ comprà che si svendono coi beni di fami9glia anche l’antica dignità.
un paio di anni fa giravo per venezia e dopo aver mostrato ad amici esteri l’area dell’arsenale, ovvero della prima fabbrica della storia con i suoi 20.000 salariati , volevo anche mostrare ad essi la famosa frìtola veneziana. Ma neanche un solo bar aveva questo famoso quanto piccolo dolce veneziano, solo focacce simil-genovesi….
L’ha ribloggato su Redvince's Weblog.
il senso civico in itaGlia:
https://comedonchisciotte.org/forum-cdc/#/discussion/97788/hanno-ucciso-mauro-leremita-che-aveva-rinunciato-al-caos-moderno-per-vivere-felice-tra-i-boschi
Non vado più a Venezia dal 2005, dopo averci vissuto dieci anni di fila negli anni ottanta. Venezia non apparteneva più ai veneziani già allora. Mi ricordo, 1986 circa, di essermi prodigata con altri cittadini per impedire che due persone piuttosto anziane, oltre i 75 anni, fossero cacciate dalla loro casa in affitto. Nel campo c’erano in bella mostra le loro povere cose e loro, seduti sopra con grande dignità, lui piangeva e lei parlava piano, in dialetto.
Nulla da fare, hanno dato loro una casa a Mestre.
Già negli anni ottanta era un misto mare Venezia. Pochi veri abitanti che ivi lavoravano e producevano (perlopiù nei settori turismo e amministrazione, anche perchè le attività produttive di Murano e Burano erano già tracollate), molti anziani e molti di loro poveri. I prezzi di affitto delle case erano astronomici: turisti e studenti, studenti e turisti. Nella metà degli anni ottanta un posto letto costava anche mezzo milione di lirette al mese. E si poteva essere anche in otto e con un bagno solo e uso cucina.
Poi i costi del cibo: un litro di latte costava il doppio a Venezia, rispetto a Mestre. E alle nove di sera però, tutto chiuso, niente bar o luoghi di ritrovo, un solo cinema. E d’autunno e d’inverno ti potevi godere la città, finalmente silenziosa. Sembrava un mortorio, ma era meglio di quello che ho visto crescere dopo: VENICELAND.
Bastava coprire Venezia lagunare alla fine del ponte della Libertà, con un grazioso copricapo da circo e sopra la scritta, rutilante con luci piroettanti. Dentro non c’era più vita vera ma rappresentazione. In quegli anni, in coda alla Ferrovia a Santa Lucia, ascoltai con disappunto due ragazzotte USA dirsi e garantirsi che Venezia era tutta finta, che gli abitanti erano comparse e che nessuno avrebbe mai desiderato abitare in quel posto buio e puzzolente (certe volte la bassa marea poteva infastidire).
Una mia conoscente si urtò a tal punto che gliene disse di tutti i colori, massimamente “grezzi americani ignoranti a voi basta tirare un hamburger che va tutto bene”. Le due impaurite dalle ferocia di un essere di 45 chili arretrarono e rifecero la fila.
Sono almeno 20 anni che il cambio di destinazione d’uso è un business a Venezia. Sono almeno 20 anni che non fai tempo a girarti che ti trovi un B&B in casa, a Venezia. Spariti i negozi di prima necessità, sparite le attività produttive, solo bar e vendite di focacce genovesi alte 5 cm (quindi non proprio focacce genovesi) e bicchieri di plastica pieni di frutta andata a male, con gelati alle polverine, e i pochi ristoranti, costosissimi, con cuochi pakistani o cingalesi o asiatici.
Poi i cinesi che hanno acquistato tanti edifici in spazi storici e splendidi per poi usarli per vendere le loro paccottiglie, da Rialto a San Marco era un disdoro di borse, vestiti e scarpe di bassissima qualità, dove una volta c’erano i negozi più chic di Venezia (così chic che io mi limitavo a guardarli, ma era un bel vedere). I vetri di Murano fatti in Cina che si rompono al primo sguardo ma ovviamente costano un centesimo.
E poi è diventata sporca.
Troppi turisti, troppi e sempre in tutte le ore e tutti i giorni. Vestiti come se fossero a Rimini, seduti ovunque a bivaccare e a fare altro (i bagni a Venezia erano molto rari).
Che ci vado a fare in quella Venezia oltraggiata e violentata?
E chi ha votato in questi oltre 30 anni i sindaci e le giunte?
Io no, ma comunque il mio voto cosa avrebbe cambiato? Erano sempre loro, i predoni, destra o sinistra non cambiava, che con il tempo sono diventati solo predoni senza nemmeno più un mezzo pensiero al capolavoro umano che è Venezia lasciata coprire da ingiurie e sporco.
Cara Dani, per anni ho pensato di godere di un immenso privilegio: nata a Venezia vivo a Roma. Oggi vivo la pena di avere familiarità con due laboratori dell’oltraggio. E ti dirò che provo quasi compassione per i forzati del turismo che arrancano per calli e campo, spaesati e frastornati in un posto così estraneo e anomalo. Tanto che ritrovano forza e vigore solo quando tornano ai torpedoni di Piazzale Roma e del Tronchetto… la bellezza non può salvarci più
Grazie Anna. Vivere tra due laboratori dell’oltraggio deve fare soffrire e molto. Gli arrancatori arrivano a Piazzale Roma e al Tronchetto come se avessero affrontato i viaggi di Auschwitz e dopo li rinchiudono in opulenti autobus, ermeticamente chiusi. Dai finestrini traspaiono visi allucinati come l’urlo di Munch. Un tempo, dopo aver visto la poesia leggera e minuta di Venezia, i visi mostravano gioia e rispetto.
Però non sono d’accordo sul fatto che la bellezza non ci salverà.
Le nostre parole la trattengono ancora.
Non dobbiamo mollare, ancora.
un paio di anni fa giravo per venezia e dopo aver mostrato ad amici esteri l’area dell’arsenale, ovvero della prima fabbrica della storia con i suoi 20.000 salariati , volevo anche mostrare ad essi la famosa frìtola veneziana. Ma neanche un solo bar aveva questo famoso quanto piccolo dolce veneziano, solo focacce simil-genovesi….