Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ogni tanto il clan al governo, la cupola multinazionale dell’economia, i sindacati della lobby dell’arrendevolezza sono costretti ad accorgersi che c’è un fantasma irriducibile anche se stanco, deriso e  avvilito che si aggira  e che quando si agita e grida può mettere ancora paura: sono i lavoratori in lotta, poco propagandati dalla stampa che ha smesso di dedicare delicati bozzetti al folclore  di operai che protestano sulle gru, infermiere sui tetti, scioperanti sul Colosseo a dimostrazione. Sicché parrebbe confermato che la lotta di classe c’è e è stata anche vinta, purtroppo dal padrone.

Se non fosse.. se non fosse per qualche campo di battaglia dove qualcuno resiste, qualcuno cui dovremmo dedicare solidarietà e aiuto e stati sui social, perché se non siamo Charlie dovremmo invece essere obbligati a essere quelli dell’Alitalia che hanno detto No all’accordo che prevede quasi mille esuberi e la riduzione dell’ 8% degli stipendi del personale volante raggiunto sotto il ricatto dei libri in tribunale e più che mai quell’Ilva che ieri hanno scioperato in 2000 contro l’immondo e inverecondo piano di “ristrutturazione” industriale, presentato dalla cordata AmInvestco (Marcegaglia, Arcelormittal – grande licenziatore internazionale – e Intesa San Paolo), candidata preferita dai commissari e  dal Ministro Calenda per rilevare l’azienda, e che prevede il necessario “sacrificio” di 5-6 mila esuberi, martirio in nome della salvezza dell’impresa, peraltro richiesto anche dalla cordata concorrente che solo sulla carta,  per via di nomi meno indecenti come quelli della claque dei macellai della Thyssen, sembra preferibile.

Così bisogna ricordare a tutti quelli che non scioperano, non vanno in piazza, non protestano perché tanto è inutile, perché tanto su in alto fanno quello che vogliono, che invece non è illusorio e vano mostrare i pugni, riappropriarsi di dignità e volontà, scioperare, manifestare.

E infatti quei 2000 di Taranto hanno costretto il governo a prendere tempo, a rivolgersi all’avvocatura anche in vista di già annunciate ma sottovalutate obiezioni europee in merito a un innegabile conflitto d’interesse che riguarda il fermo di  una delle produzioni dell’azienda in vista dell’importazione di semilavorati realizzati dal più potente competitor: Fos di Marsiglia. Si dice che il piano della cordata  ArcelorMittal sia coerente con la narrazione governativa con molti annunci e molte promesse, ma pochi fatti sia dal punti di vista industriale: senza investimenti formidabili soprattutto nell’adeguamento degli altiforni, sarebbe impossibile conseguire i risultati promessi nella produzione di acciai di elevata qualità. Ancora più mistificatorio sarebbe l’impegno ambientale con la previsione di ben 5 anni di tempo richiesti dalle operazioni di copertura dei parchi minerari, in piena osservanza dell’agghiacciante piano aziendale di risanamento approvato dal Ministro Galletti e l’adozione di tecnologie unicamente mirate alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, aspetto rilevante, ma che non basta alla diminuzione della gran parte degli effetti pericolosi per la salute e l’ambiente.

È poco insomma, ma è già qualcosa che il governo – la fotocopia di quello che ha promosso l’emendamento Tempa Rossa che libera le società dall’obbligo di pagare le compensazioni ambientali necessarie quando si realizzano infrastrutture di elevato impatto ambientale, o die fondi si fondi no per i malati di cancro di Taranto – mostri di aver paura della sua stessa sfacciataggine.

E adesso tocca a tutti, non solo agli operai dell’Ilva in sciopero ieri a Taranto e lunedì a Genova e Novi Ligure, dimostrare che non ci stiamo a subire la pratica divisiva: lavoratori in difesa della “fatica” contro cittadini minacciati dal cancro, e lavoratori che a casa hanno qualcuno ammalato di fabbrica, quella che dà quel pane sudato e intossicato; di non tollerare più il ricatto: occupazione contro salute, di non sopportare più l’alternativa: posto o sicurezza.

Spetta a tutti dire no a fianco dei lavoratori cui resta come unico diritto agguantare un salario,   vendendo la propria forza di lavoro e la propria salute. Che non contano nulla, come è successo anche in questo caso, esclusi dalle scelte, sospesi e licenziati perché così si possano comprare prodotti di terzi, colpevolizzati da chi li critica in quanto “sviluppisti”, disinteressati a una battaglia civile per produrre pulito e ecologico, parole d’ordine che dovrebbero essere ricordate e rinfacciate unicamente  alla proprietà, privata o pubblica, diretta o per azioni, nazionale o multinazionale, e solo ad essa e ai decisori al suo servizio,  come se potessero davvero incidere su decisioni delle quali non sono nemmeno informati. A terribile conferma che il salariato  diventa meno di un cittadino, meno di un uomo libero. A tremenda dimostrazione della rinuncia definitiva della sfera politica, continentale o nazionale, a controllare la potenza totalitaria del capitale, avendo invece scelto di mettersi al suo servizio.

“Cedere”, acconsentire a che vengano immolati 5-6000 lavoratori in cambio del posto sempre meno garantito e sicuro di altri provvisoriamente “salvati”, significa “concedere”. Concedere al governo e alla politica la rinuncia a cercare e adottare soluzioni “altre” rispetto a quella di ubbidire ai comandi, all’avidità padronale accumulatrice e impunita, al dovere di programmare il futuro di una fabbrica e dei suoi lavoratori combinando  innovazione tecnologica con l’attenta previsione e programmazione del ruolo dell’Italia nella produzione dell’acciaio identificando la richiesta in divenire, la qualità del materiale richiesto e i settori di impiego, dall’edilizia alla meccanica, interni e internazionali, prendendolo come occasione per  mettere alla prova  un modello di “valutazione dell’impatto ambientale” preventivo, con la partecipazione dei dipendenti e della popolazione, il contrario delle valutazione effettuate finora a disastri avvenuti.

“Cedere” significa concedere a quella moltitudine di tromboni e cialtroni che non vivono in accoglienti villette nella Terra dei Fuochi, che non respirano la brezza marina intorno all’Ilva di Taranto, di  irridere le nostre arcaiche battaglie “ideologiche” contro la Tav, la Tap, contro le operazioni pensate e realizzate per favorire malaffare e corruzione della cupola internazionale, penalizzando un Mezzogiorno sempre più ridotto a vittima consacrata in attesa che anche tutto il resto diventi Sud, diventi colonia, diventi schiavo  e tutti noi asserviti e ubbidienti. Si, je suis Taranto.