a84565829fdb462e82f789e1ffaf0914-0007-kUU-U432901209464559F4F-593x443@Corriere-Web-SezioniLa comparsa di Trump in carne e parrucchino sullo scenario medio orientale ed europeo, la sua richiesta di aumentare le spese militari ai disgraziati prigionieri della Nato peraltro obbligati a nuovi remake di “Guerra al terrorismo” e “Boia Iran”, ma contemporameamente una certa reticenza sui principi di reciprocità dell’alleanza atlantica, sembrano suggerire un cambiamento di scenario inaspettato nel presidente che col suo America First si dice voglia ribadire la volotà di fare del XXI° secolo, il secolo americano. Pian piano, mentre i giorni scorrono si comincia a comprendere come in realtà Trump e la sua elezione stiano a testimoniare l’esatto contrario, ovvero la consapevolezza che il dominio pressoché assoluto degli Usa, cominciato negli ultimi due decenni dell’Ottocento e protrattosi fino ad oggi, salvo la parentesi della guerra fredda, non è più sostenibile.

La canea anti trumpiana suscitata dallo stato profondo e dalla visione neo liberista della globalizzazione, traduce tutto questo nei termini grotteschi e grossolani di un presidente agente di Putin, ovvero nei termini comprensibili da masse infantilizzate e opportunamente impaurite, ma è evidente che le difficoltà del capo dell’impero nascono proprio dal fatto che lo scontro con la Russia da quando è cominciata la rinascita di Mosca, non è seriamente proponibile e men che meno uno con la Cina. Trump accontenta lo stato profondo quando si tratta di pasticciare con l’Arabia Saudita, Israele e il Medio Oriente, fa la faccia feroce con la Corea del Nord, ma rappresenta una parte dell’elite, forse la non la più influente, forse non la più ricca, ma certamente quella più numerosa e quotata in Main Street, che non ha più interesse in un dominio unipolare e assoluto ormai imposibile al quale sacrificare un’enormità di risorse e men che meno è disponibile a una guerra il cui effetto finale, ammesso e non concesso, che il pianeta sopravviva, incoroni definitivamente l’Asia come centro del pianeta.

E questo naturalmente mette in crisi i vassalli europei che scioccamente si sono lasciati trascinare non solo nelle avventure militari inerenti alla cosidetta guerra infinita contro il terrorismo, ma anche nell’assurda confrontazione diretta con Mosca: li mette in crisi perché da una parte non riescono a rinunciare al servaggio della Nato, oneroso e spesso indignitoso, ma che tuttavia per le oligarchie continentali è la vera garanzia di continuità, assediate come sono dai popoli in fermento, dall’altro si rendono conto che l’alleanza atlantica è sempre più uno strumento che serve per l’America e non certo per l’Europa. Non che in passato fosse diverso, ma è diverso il contesto: il rifiuto trumpiano di citare l’articolo 5 del trattato per il quale l’attacco a un Paese dell’allenza è come un attacco a tutti, mette le elites europee di fronte a una realtà priva di quelle ipocrisie moralistiche che sono andate in metastasi dopo la fine dell’Unione sovietica. Per non parlare di Paesi come la Polonia che respirano e vivono di Nato, anzi di Amerika come fosse il senso della loro esistenza. Oltretutto ciò fa perdere le opportunità offerte da un mondo multipolare le quali vengono buttate al vento e di cui sta approfittando per ora solo la Germania che da una parte ha fatto la prima della classe quando si tratta di sparare contro la Russia, ma sotto sotto è ritornata a fare affari sottobanco con Mosca. Ormai comincia a chiarirsi il punto: non si può fare più affidamento sugli Usa  come un tempo, nè aspettarsi di far convivere in uno spazio di reciproco interesse il capitalismo multinazionale europeo e quello americano, per la semplice ragione che la coperta è diventata troppo corta. I limiti di una ideologia basata sul profitto infinito, su una globalizzazione basata sullo sfruttamento e un mercantilismo che rischia di perdere i propri clienti, ossia la domanda aggregata, sono rimasti per lunghi anni nascosti dietro il sistema del dollaro protetto dalla potenza militare, ma sono ormai palesi.

Qualche avvisaglia di tutto questo c’era già stata al tempo di Obama, ma con Trump è stata ufficialmente accesa una miccia che porta alla santa barbara e le prime febbri già si avvertono con l’incontro organizzato a sorpresa fra Macron e Putin  dopo le carognate compiute da Hollande nei confronti della Russia, fatto che ha spinto la Merkel ad abbandonare ogni indugio e ad affermare in un comizio a Monaco di Baviera che “ i tempi in cui potevamo fare completo  affidamento sugli altri sono passati da un bel pezzo, questo l’ho capito negli ultimi giorni. Noi europei dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani”. In qualche modo ci troviamo di fronte ad una presa di realtà in un occidente che vorrebbe continuare ad essere centrale e assolutamente dominante, ma non è lo e più. Ed è aznche espressione della paura di un’elite continentale ultracapitalista, che ha costruito l’Europa come appendice del potere unipolare americano e che oggi comincia a vedersi mettere da parte dall’impero, divenuto troppo debole per poter pensare di distribuire i profitti ai dipendenti e che anzi chiede loro di mettere mano al portafogli per sostenere l’azienda, naturalmente comprando americano. America first significa proprio questo.