Anna Lombroso per il Simplicissimus

In questi tempi di eclissi dell’utopia in favore della realpolitik, dell’eroismo sopraffatto dalla doverosa cautela, comportamenti, atteggiamenti e sentimenti  normali assumono fattezze epiche.

È il caso della condizione di genitori in questi giorni rivendicata dalla corporazione dei procreatori che accampano l’esclusiva della preoccupazione per le generazioni a venire, il monopolio della necessità e della responsabilità di guardare lontano, come se un atto naturale consumato senza nessuna competenza e preparazione e poi lo svolgersi dei giorni potessero fossero capaci di suscitare da dentro lungimiranza, ragionevolezza, buonsenso, spirito di servizio e indole alla solidarietà e al pensare e all’agire in nome dell’interesse generale dei contemporanei e dei cittadini futuri. E dire che in molti si sono via via convinta che i rami secchi invece  liberi da condizionamenti personali, sviluppino una più elevata capacità di misurarsi col  domani di tutti e non solo della progenie.

Subito dopo i fatti di Manchester le televisioni hanno intervistato più di una coraggiosa madre che si vantava con orgoglio di aver sfidato la paura e il rischio, accompagnando  figlie adolescenti ad un concerto a Milano: non si può cedere all’intimidazione, dicevano, non vogliamo  certo che i nostri figli cambino le loro abitudini e  rinuncino alle  libertà, quindi siamo qui ad accompagnarli. C’è da auspicare che si resti solo sul terreno del ridicolo, che una, peraltro non remota e improbabile entrata in guerra nella sua prima fase più tradizionale non ci faccia assistere alla partenza di laureati alla Bocconi, di masterizzate alla Luiss, di manager dell’accoglienza o reduci da viaggi formativi in pizzerie londinesi, che vanno al fronte accompagnati da mamme e papà trepidanti , altro che “torna con lo scudo o sullo scudo”. C’è da augurarsi, ma è altamente improbabile, che tutte le prove di abnegazione e audacia dei genitori contemporanei si limitino ad andare  a prendere a scuola se piove, alla balera se sono le tre di notte, ai concerti della Antonia Grande.

Quelle mamme intrepide che hanno sfidano il pericolo e il timore per accompagnare le figlie in modo che non si privino di un concerto, peccato non averle viste scendere a manifestare perché la loro prole viene privata dell’istruzione pubblica, della assistenza medica, del dentista con l’irrinunciabile apparecchio per i denti, contro il Jobs act che nega loro un lavoro appagante e giustamente remunerato con relative  prospettive di crescite e di carriera, per un ambiente sano e una condizione abitativa dignitosa, per reclamare al tutela di un territorio oggi esposto a saccheggio e trasandato, o, nell’ipotesi, quanto mai realistica, che facciano già parte di riservisti che potrebbero essere chiamati alle armi in una di quelle spedizioni “umanitarie e esportatrici di democrazia, contro le guerre di conquista e razzia cui ci chiamano i detentori del nostro desiderabile stile di vita occidentale. Proprio quello  che hanno esportato colonizzando anche il nostro immaginario e i nostri sogni e le nostre aspettative, mostrandocelo come il migliore dei mondi possibili, mentre dietro all’iconografia di festosi consumi e domestico benessere si   nascondono nuove e vergognose miserie, quell’arrampicarsi funesto e instancabile da cavie in gabbietta per pagare mutui,  fatture e bollette, quel consumarsi di dissapori feroci vissuti in ambienti confinati perché se è difficile l’amore, lo è ancora di più non volersi più bene.

Mette  paura constatare quali strade percorra la paura molto solida e come e dove venga indirizzata verso obiettivi e con motivazioni che non lasciano dubbi sul fatto che se esistono davvero un complotto e  una macchinazione sono quelli organizzati per ottenebrare giudizio e ragione, sicché  la pietas è un esercizio intermittente e discrezionale  che fa piangere per i bambini di Manchester e non per quelli di Baghdad, Aleppo,  né  tantomeno per quelli naufragati, che, nel caso di fossero salvati, avrebbero invaso i nostri Rio Bo rubandoci pane e lavoro,  per aizzare diffidenza e rancore verso paurosi stupratori di differenti etnie, per nutrire il timore nei confronti di un terrorismo barbaro e bestiale, distogliendoci da quello in abiti occidentali, legale e autorizzato, mosso dal totalitarismo economico e finanziario, che comunque, anche quello, bombarda, uccide, affama e fa  suicidare proprio come kamikaze senza il paradiso delle urì.

Viene da pensare con una certa nostalgia ai pericoli e alle paure di generazioni passate: mica solo della guerra fredda, dell’atomica, delle invasioni marziane. Pure quelle continuamente rammentate, fare il bagno dopo pranzo al mare, le vipere in montagna, la bibita gelata che fa venire la congestione, le mosche e il tifo, la crema nel cannolo che fa venire la salmonella, le gran sudate dopo una corsa e la mortale aria di fessura, il sangue dal naso e innumerevoli tremendi contagi e contaminazioni.

È che, allora, madri apprensive a padri assenti intanto conquistavano, dopo la Costituzione che la Boschi voleva smantellare per combattere cancro e terrorismo, lo Statuto dei Lavoratori e l’articolo 18, la scuola dell’obbligo, l’assistenza sanitaria, il divorzio, il più amaro dei diritti, quello che toglieva l’interruzione di gravidanza dai territori del crimine e della clandestinità, il servizio civile, tutti quei beni comuni cui ci stanno facendo rinunciare in ossequio alle menzogne della post verità e  in nome della post libertà.