Se non si fosse soffocati dall’indignazione, lo spettacolo dell’informazione occidentale occupata a pubblicare foto taroccate della presunta Auschwitz siriana o a farci meditare sul pericolo nucleare coreano, potrebbe divertire: impagabile assistere al dramma recitato da una compagnia di guitti, scritto da idioti, pagato dai grandi fratellini multinazionali. Minacce, costruzione di pretesti, hitlerizzazione avanspettacolari non sono certo una novità, ma le ultime escalation del recitativo occidentale mostrano una natura diversa da quelle del passato: diventa sempre più evidente che le carte del giocatore principale non sono più così buone come al tempo in cui poteva fabbricarle in proprio e dunque si impone un continuo rialzo della posta, appena al di qua del limite della guerra, per impaurire gli avversari più grossi e indurli a passare la mano.
Tuttavia il bluff funziona principlamente con le opinioni pubbliche prese facilmente per il naso dai media che sono così poco interessati a fornire un quadro realistico della situazione che nemmeno la conoscono più, tanto basta recitare il solito rosario con effetti a volte comici, quando il solito Zucconi sulla solita Repubblica scrisse che Clinton aveva offerto riso in cambio della denuclearizzazione: proprio un peccato che la Corea del Nord produca molto più riso dell’Italia con meno della metà della popolazione. Ma insomma veniamo alla questione: intanto la Corea del Nord non ha le capacità di colpire gli Usa con ordigni nucleari perché i suoi missili possono arrivare al massimo in Sud Corea e forse in qualche parte del Giappone, ma questo comunque già da anni: i test per migliorare le prestazioni dei vettori non cambiano per ora questa realtà che non giustifica affatto l’improvvisa fumata anti coreana. In seconda istanza le minacce americane sono facilmente decostruibili: anche il bombardamento e la distruzione delle basi nucleari nord coreane non basterebbe ad evitare una distruzione di Seoul e del Sud Corea, da parte di un esercito del nord armato fino ai denti in termini di mezzi e missili di teatro convenzionali: questo è talmente vero che il nuovo leader sud coreano, nel bel mezzo della crisi ha ventilato l’ipotesi di restituire agli Usa il sistema antimissilistico Thaad, allestito da meno di un anno. Un segnale, costruito su un pretesto formale, per far sapere a Washington che sta esagerando. Insomma è chiaro che una neutralizzazione della Nord Corea non può avvenire senza un grande dispiegamento terrestre, molto pericoloso non solo per la pace globale, ma anche per il prestigio degli Usa che già le hanno prese di santa ragione in quell’area.
Si dice che la pressione in realtà non è rivolta a Pyongyang ma a Pechino dove tuttavia la situazione è perfettamente conosciuta e dove le vere carte in mano a Trump e ai suoi diciamo così “consiglieri”sono ben conosciute: i richiami alla Corea del Nord sono il minimo sindacale per mantenere buoni rapporti con gli Usa, ma sapendo benissimo che si tratta di un gioco delle parti. Ciò che sta a cuore a Washington è creare un certo livello di tensione proprio nell’area che più di altre comincia a mostrare propensione per interscambi che fanno a meno del dollaro. A parte le relazioni con la Russia, la Cina è massicciamente presente in Asia centrale, dove letteralmente costuisce e gestisce le reti elettriche, sta costruendo una nuova via della seta dall’Asia meridionale al Pamir con giganteschi progetti di iinvestimenti in infrastrutture. Questo non significa soltanto un inevitabile aumento di influenza politica, ma prestiti, debiti, assetti economici necessariamente al di fuori del dollaro a cui naturalmente dovrebbero prima o poi adeguarsi le roccaforti Usa, Giappone e Sud Corea.
In poche parole una perdita di influenza americana proprio a partire dalle ragioni strutturali di tale influenza, ossia il dollaro come moneta di scambio universale. Una vera bomba atomica diffusa. Allora si prendono le portaerei e le si mostrano come una bandiera, si minacia la nuora perché suocera intenda. Si, la Cina arriva col suo piano Marshall, porta tecnologia e sviluppo e una nuova geografia di legami, ma i marines sono sempre con i pantaloni al vento, quindi attenti a voi.
Interessante, ed, importante, la polemica tra learco e casiraghi, anche difficile da affrontare, per cui faccio qualche preliminare osservazione
“empirica”
In effetti per una certa fase la globalizzazione capitalistica ha sminuito sempre più il ruolo degli stati (tra anni novanta e primi 2000) Un periodo in cui tutti i governi cedevano funzioni ai privati (soprattutto i grandi trust).
Lo stesso governo usa, pur perseguendo un ruolo di egemonia militare,sembrava usare questa per allargare sempre più la libera circolazione di merci e capitali. La russia era in mano agli oligarchi, e anche il resto del mondo si apriva alla formazione di catene transnazionali del valore egemonizate dai grandi trusts
Ad un certo punto però, in concomitanza con la crisi che si è manifestata con lo sconquasso dei mutui sub-prime, gli stati hanno ricominciato a prendersi un ruolo, stanziando soldi per le proprie banche, imponendo condizioni a stati più deboli per sostenerli rispetto a default (.tipo grecia), o ristrutturando il proprio debito (tipo credo islanda)
La crisi si e estesa tutte le società, ed i governi di usa europa ma anche giappone hanno cominciato le politiche di “alleggerimento quantitativo”, diventando comunque un riferimento per quei capitali che prima sembravano fare a meno del potere dello stato
Gli ultimi sviluppi, tendenza al protezionismo, via della seta, e soprattutto il riemergere di una forza statuale della Russia (a volte di concerto con un maggiore protagonismo della cina),indubitabilmente alludono ad un maggiore peso degli stati
Che si tratti di una ripresa di importanza solo momentanea degli stati ; o un trend che sarebbe quello principale, anche perchè gli stati non hanno mai perso importanza nelle guerre, nella lotta di classe contro le loro stesse popolazioni e nella repressione di queste, in qualche modo è quì che si gioca la differenza tra learco e casiraghi
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Dal mio punto di vista però, non e che il capitale sia qualcosa di diverso o alternativo allo stato, entrambi sono governati dagli stessi gruppi ristretti di persone che controllano l’economia.
Ogni stato ha dei capitali che vi fanno riferimento, per ubicazione, mercati di riferimento, storia e cultura (strutture di potere). I pochi individui che controllano questi capitali controllano pure lo stato a cui questi capitali si riferiscono, per i legami con burocrazie statali (spesso legami parentali), per consolidati legami lobbistici, lavoro comune per insediarsi in spazi anche lontani e controllarne le risorse.
Ad es per l’Italia, senza la protezione del proprio stato di riferimento, l’eni non potrebbe insediarsi in libia, come ancora fa. Si osserva una collaborazione reciproca simile, tra uno stato in genere, ed i i capitali ad esso riferibili, perchè sono le stesse persone che controllano entrambi questi ambiti (capitale e stato)
Poichè a me sembra che sia così, credo che ogni stato, come un tutt’uno con i propri capitali, possa arretrare rispetto a questi, ma mai annullarsi rispetto a questi. Arretra rispetto a questi quando conviene economicamente, quando il lasseiz faire (globalizzazione anni 90), fa aumentare i profitti capitalistici . Ma se con la crisi può essere più conveniente il protezionismo, o l’aiuto diplomatico ed anche armato per insediarsi in date aree, lo stato torna preminente rispetto ai propri capitali, che solo per la fase in corso accettano il suo ruolo preminente e protettivo.
Tanto, sono due facce della stessa medaglia, i politici che contano , i grandi burocrati di stato, le alte cariche militari e perfino ecclesiastiche, sono sovente imparentati tra loro, o sono nelle stesse logge massoniche, e comunque tra stato e capitali di riferimento (industrie, banche, servizi) vale la pratica delle porte girevoli per cui i dirigenti lasciano un ambito per entrare in quell’altro
Al di là che in una fase storica sia preminente l’uno o l’altro (la cosa è mutevole), il legame tra stato e capitale si conserva sempre perchè è come il legame che collega i rami di una stessa famiglia mafiosa
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Sembra a me, ciascuno stato è collegato con i propri capitali sulla base di una sorta di familismo mafioso (per capirci), e questo spiega anche i rapporti tra stati (globalizzazione protezionismo).
Oggi c’e una pax universale di tipo mafioso (globalizzazione), nel senso che gli usa consumano a debito avendo la forza militare. La cina e non solo, vendono agli usa e crescono, ma devono dare i guadagni al brigante principale sottoscrivendone i titolo di stato per consentirgli i consumi (gli usa). L’europa e piazzata da brigante intermedio, vende macchinari industriali a cina india etc, ha un ruolo invidiabile ma comunque subalterno.
Ma dal 2008 subentra la crisi, questa alleanza condivisa (pur con capi, sottoposti e mugugni), non è più stabile, il brigante principale mostra segni di debolezza e non ci sono più lauti guadagni assicurati per tutti.
e come sempre in questi casi emerge qualche pericoloso concorrente outsider, come la russia
Quindi sta iniziando uno scontro paragonabile ad una guerra di mafia.
Ovunque l’ala militare (stato e protezionismo) riprende preminenza su quella imprenditoriale artefice della globalizzazione (mafiosi in giacca e cravatta),
Dopo la guerra di mafia (3 guerra mondiale), e se l’ umanità esisterà ancora, si avrà la pax mafiosa del vincitore, una nuova globalizzazione che di nuovo vedrà dentro ogni stato i mafiosi in giacca e cravatta preminenti su quelli delle pistole e dei pizzini. (fino alla guerra di mafia successiva)
Per tornare al focus della discussione, quando prevale l’ala in giacca e cravatta è la globalizzazione, quando prevale l’ala militare e protezionista ci si avvia ad una ulteriore guerra mondiale. Ma quello che resta sempre vero, è che il rapporto tra capitali e stati di riferimento, è imperituro e ferreo come il legame in una famiglia mafiosa (giacca e cravatta e gruppo di fuoco), ossia stato e capitale, con i loro legami, esisteranno sempre come un tutt’uno e può cambiare solo l’equilibrio intercorrente .
Per cui, stato e capitale sono nati, sono vissuti e moriranno (socialismo o guerra atomica), come due facce di una stessa medaglia , inscindibili ed incapaci di sopravvivere separatamente quali in effetti sono
P.S, c’è un pittore espressionista della repubblica di weimar, forse jawleski o forse otto dix, che raffigura quello che io voglio dire con la unificazione delle elites di stato e capitale, con sublimi dipinti in cui sono raffigurati come casualmente incontrantesi nello stesso bordello vertici militari, dell’industria e della finanza, delle burocrazie statali e politiche, e prelati ai massimi livelli
veramente buona e ben esplicativa, la metafora!
Analisi equilibrata che ricorda quanto diceva lo storico Fernand Braudel:
“Il capitalismo trionfa non appena si identifica con lo Stato, quando è lo Stato” e, soprattutto: “il capitalismo si appoggia ancora ostinatamente su monopoli, di diritto o di fatto, malgrado le reazioni violente che ha suscitato a questo proposito. L’organizzazione continua ad aggirare il mercato”.
Da una parte mi sa che il Sig. Casiraghi abbia ragione, anche se preferirei che avesse ragione Learco. Perchè, altrimenti, tutti coloro (la stragrandissima maggioranza), al di fuori dei circoloni e circoletti oligarchici (che poi costituiscono la stratificazione di casta della democrazia), erano e rimangono pecore. Anzi, filosoficamente anche peggio. Perchè le pecore (suppongo) non si pongono questioni filosofiche, mentre le pecore umane si ostinano a credere che la realtà oggettiva sia quella di Learco, mentre e’ quella del Sig. Casiraghi.
Un esempio immediato e’ la Siria. Dove le zone di “disengagement,” corrispondono all’effettiva spartizione e balcanizzazione della Siria, come da manuale di Ynon per la creazione del “Greater Israel.”
Il che, a sua volta, comporta che quei soldati e piloti russi che hanno lasciato la pelle in Siria per (alla fine), opporsi all’egemonia americo-talmudista son morti per niente.
D. Le istituzioni del capitalismo internazionale (UE, BCE, FMI) dettano le ricette, i governi cucinano le stesse minestre con ingredienti differenti. E’ proprio così? E qual è il ruolo degli stati nazionali in questa fase allora?
R. Il fatto che ci troviamo in una fase di capitalismo globale non significa che gli stati nazionali perdano la loro funzione e il loro ruolo. Anzi, è proprio la globalizzazione ad acuire i contrasti e la concorrenza fra capitali che si avvalgono dell’appoggio degli apparati statali. Gli stati e i capitali sono uniti quando si tratta di attaccare i lavoratori europei, e divisi quando si tratta di spartirsi le risorse e i mercati. Quindi, mentre gli stati deboli e economicamente dipendenti si disgregano, gli stati più forti e imperialisti si rafforzano e sono più attivi di prima a livello internazionale e militare per la conquista di mercati di sbocco ai capitali e alle merci eccedenti e per la spartizione delle materie prime della periferia. Ciò vale anche per l’Europa, in cui si assiste alla crescita delle divergenze e dei contrasti fra gli stati-nazione che la compongono su molti temi, dall’economia, alla sicurezza, all’immigrazione, ecc. Gli stati europei hanno delegato, e in quanto stati sovrani in modo non definitivo, soltanto alcune funzioni di carattere economico, allo scopo di bypassare i parlamenti nazionali e realizzare quelle controriforme generali che altrimenti, senza l’integrazione europea, non sarebbe stato possibile realizzare. Inoltre, bisogna dire che a prendere le decisioni più importanti sono organismi che riuniscono i premier e i ministri economici europei, i quali, ritornati in patria, si nascondono dietro il classico “ce lo chiede l’Europa”. Il fatto più importante è che l’integrazione europea ha permesso l’attuazione del principio della governabilità, cioè la prevalenza sui legislativi degli esecutivi, che, attraverso le leggi elettorali maggioritarie, sono espressione diretta delle istanze del vertice del capitale, quello più internazionalizzato. Il principio di governabilità è stato negli ultimi quarant’anni il leitmotiv dell’azione del capitale. Significativa a questo proposito l’introduzione di Gianni Agnelli a La crisi della democrazia del 1975, che vedeva nella diffusione della democrazia di massa un serio limite al proprio potere e ai propri profitti.
https://www.lacittafutura.it/economia-e-lavoro/globalizzazione-e-decadenza-territoriale.html
“Il fatto che ci troviamo in una fase di capitalismo globale non significa che gli stati nazionali perdano la loro funzione e il loro ruolo.”
Se ci troviamo in una fase di capitalismo globale, è ipotizzabile che gli stati nazionali abbiano già perso la loro funzione e il loro ruolo di guida. A rigore, Infatti, è lo stato nazionale che dovrebbe assegnare una funzione e un ruolo al capitalismo e non viceversa! Il fatto che si consideri il capitalismo ineluttabile, per cui gli stati si devono “adattare” giocoforza alla nuova realtà, è una riprova che l’unico sovrano in campo è il capitalismo che, non a caso, detta legge a tutti gli stati. Il che ovviamente mette in gravi difficoltà i politici e gli specialisti di geopolitica molti dei quali devono ricorrere a particolari arrampicature di specchi per conciliare l’inconciliabile. L’Italia, dopo il 1945, è diventata una colonia americana ma non lo si doveva far sapere. La sovranità degli stati ora è scomparsa ma non lo si deve far sapere. Ho paura che gli specialisti siano soprattutto specialisti nell’arte di far credere che tutto vada bene e che questo sia il migliore dei mondi possibili.
PS Sia la citazione di Learco che la mia risposta erano già state pubblicate qui: https://ilsimplicissimus2.com/2017/04/04/san-pietroburgo-i-complotti-degli-anticomplottisti
Siamo d’accordo sul fatto che l’elite finanziaria globale abbia raggiunto un potere tale da imporre la propria volontà alle classi politiche di una parte del pianeta.
Dire, però, che lo stato nazionale sia un fossile superato mi sembra prematuro.
Gli stati nazionali raccolgono il denaro dei contribuenti, che è stato utilizzato, ad esempio, dall’establishment bancario per ripianare i propri disastri durante la crisi del 2008, garantiscono il controllo del consenso degli abitanti, proteggono il capitale con la propria forza miltare e consentono di attuare un controllo capillare della popolazione grazie ai servizi di intelligence e permettono tramite l’azione dei politici di appropriarsi delle parti migliori del settore pubblico dell’economia.
Bisogna poi considerare che l’elite finanziaria di cui noi occidentali abbiamo esperienza è quella angloamericana, che controlla solo una parte del mondo, perchè la Russia, dopo il periodo di Eltsin, non ha accettato questo dominio e la Cina è inserita nel sistema occidentale, ma non in posizione subalterna, perchè produce buona parte dei beni materiali e sostiene il debito pubblico della potenza egemone acquistando i suoi titoli di stato.
Quindi mi sembra una situazione non così lineare e semplice come potrebbe apparire.
Secondo la citazione di Learco i governi brasiliani di matrice socialista sarebbero stati anti-Stati Uniti. Questa è proprio cattiva geopolitica, anzitutto perché parla in termini di nazioni, che ormai hanno abbondantemente dimostrato la loro non esistenza o, per essere più precisi, la loro non sovranità e assenza di capacità decisionale autonoma, ma poi perché oscura il fatto basilare, centrale e poco oppugnabile che in politica, da secoli, abbiamo a che fare non con nazioni autonome ma con una consociazione di élites nazionali che governano il mondo utilizzando i sistemi politici più svariati che essi stessi hanno messo in piedi e di cui forniscono i quadri e le persone guida per cui chiunque venga scelto, e a qualunque schieramento appartenga, destra o sinistra, farà sempre le stesse cose che interessano ai suoi mandanti, anche quando si dovesse trattare di dichiarare guerra, invadere altre nazioni o rilasciare dichiarazioni minatorie.
Molto spesso basta consultare la biografia dei cosiddetti leader del socialismo, comunismo o alternativismo per scoprire che uno è un economista formatosi in qualche think tank americano, un altro è un massone pentito, un terzo è un massone in piena attività (Mélenchon), un quarto è una creatura di Rothschild (Macron è il delfino di Hollande e il fatto che abbia fondato un partito tutto suo non gli toglie la sua storia di carrierista socialista) e così via.
Su questo sito si leggono spesso gli eventi in chiave geopolitica ma, purtroppo, di geopolitica ancien régime, quella basata sul concetto che le nazioni cercheranno sempre di sopraffarsi per cui occorre che le nazioni più piccole si alleino a una di quelle più grandi per non essere schiacciate. In questo modo si continua a ridisegnare un mondo dove la guerra è indispensabile per risolvere le contese fra le nazioni e la geopolitica si trasforma in giustificazione e incitamento alla guerra. Da questo nasce poi tutta una spasmodica attenzione alle minime perturbazioni di questi “fragili”equilibri che vengono prese sul serio nel senso che si attribuisce ai singoli protagonisti della politica una genuinità di comportamento, che si tratti di Trump o di Kim Jong-un o, ai tempi, di Berlusconi, che non resiste ad un minimo serio esame. La geopolitica ancien-régime si allea però molto bene allo stile tipico del giornalismo moderno, basato sul chiacchierare e far chiacchierare viralmente in modo che il mondo sia interamente ricoperto di superficialità e la verità, o qualcosa che le somigli, non abbia neanche una chance di filtrare da sotto il magma delle cose che “fanno discutere”. Per esempio, chi pensa che Kim Jong-un sia un pazzo sarà probabilmente spiazzato dall’articolo di Wikipedia italiana che ci rivela che “il pazzo” ha studiato alla Scuola Inglese Internazionale di Berna, in Svizzera, e sa parlare coreano, inglese, francese e tedesco. D’altronde, secondo la geopolitica ripensata modernamente, è normale che chi deve interfacciarsi con le élites debba sapere bene l’inglese e, possibilmente, aver studiato nelle più esclusive scuole europee o americane perché solo in tal caso potrà capire non solo la lingua ma anche lo stile di vita delle élites.
Che diremo allora di Renzi o di Tsipras che non sono dei grandi parlatori di inglese? Semplicemente che non possono interfacciarsi direttamente con le élites ma avranno bisogno di intermediari. Forse non è un caso, per esempio, che a Tsipras venne affiancato Varoufakis, detentore di due nazionalità, quella greca e quella australiana.
Circa il grado di “pazzia” cui si può, debitamente o indebitamente, far riferimento quando si tratta di leaders delle nazioni, mi sembra utile consigliare la lettura di questo articolo su Macron che ho trovato su Libreidee:
http://www.libreidee.org/2017/05/abusato-a-15-anni-macron-e-un-pericoloso-psicopatico/
Sempre interessanti le tue disamine!
bisogna però vedere per quanto tempo Temer andrà bene ai brasiliani …
Caro saluto. Antonio
Anche in America Latina gli USA stanno cercando di riprendere il controllo della situazione:
“L’intervento americano nella foresta dell’Amazzonia impone una serie di riflessioni sul ruolo americano in Amazzonia ed in particolare l’asse che potrebbe crearsi con il Brasile. Certamente, la vicinanza di visioni politiche tra Donald Trump e Temer aiuta, e non poco. Il Brasile era, fino a qualche anno fa, un avversario politico degli Stati Uniti che per anni hanno osservato il Brasile sfuggirgli di mano con i governi di matrice socialista. Ora, l’avvento di un leader come Temer, che è stato per anni vicino all’intelligence americana, come ha ampiamente documentato Wikileaks con i suoi cablogrammi, è chiaro che apre le porte a un profondo cambiamento di alleanze all’interno dell’America Latina. Un presidente che è stato informatore degli Stati Uniti ai tempi della presidenza Roussef non potrà certamente mettersi contro il volere della Casa Bianca.”
http://www.occhidellaguerra.it/lesercito-americano-sbarca-amazzonia/