Anna Lombroso per il Simplicissimus

«È stato un terremoto fortissimo, apocalittico, la gente urla per strada e ora siamo senza luce, vi prego lasciateci lavorare…. è venuta giù anche la facciata della chiesa,  si è  spaccato il terreno…».  Parlava così il sindaco di Ussita Marco Rinaldi dopo la nuova forte scossa delle 21 e 18 del 26 ottobre quando decise di dichiarare il comune di 400 anime e le frazioni “zona rossa” implorando gli abitanti di andarsene per non rischiare la pelle:  « sono crollate tante, troppe case. Il nostro paese è finito». E ieri ha comunicato con una lettera di dimissioni che sono finite anche le speranze di ricostruirlo quel paese. La sua è una scelta irrevocabile che trae origine da un decreto esecutivo del Gip di  Macerata  che ha ordinato il sequestro del camping «Il Quercione», dove dopo le scosse  erano state posizionate 5 mobil house e un prefabbricato in legno, che conservano mobili e pochi beni di abitanti ospitati da mesi  da amici e parenti o in strutture alberghiere, che anche là casette di legni promesse non sono mai arrivate. Il motivo della decisione dle Gip? Le strutture del campeggio, peraltro già sottoposto a sanatoria,  sono state realizzate in un’area protetta all’interno del Parco dei Sibillini e quindi in area non edificabile. «Ma tutta Ussita è in area protetta – ha detto Rinaldi – questo significa che la ricostruzione non si farà mai».

Si susseguono nel silenzio generale gli schiaffi appioppati senza vergogna né ritegno ai paesi colpiti dal terremoto: riffa per l’attribuzione delle casette fantasma, assegnate tramite estrazione dal bussolotto resa necessaria dall’impotenza dichiarata a “”contrastare fenomeni di corruzione e malaffare”, ordinanze di demolizione e sanzioni comminate a chi ha cercato di arrangiarsi dotandosi di camper comprati coi risparmi e considerati abusivi perché non congrui alle linee guida ricostruttive indicate dalla gestione commissariale, ritardi inspiegabili perfino nella rimozione delle macerie a mesi e mesi di distanza come hanno denunciati i sindaci accorsi a esprimere solidarietà al primo cittadino di Ussita, il rinvio al mittente di camper abitativi e scuole prefabbricate frutto della mobilitazione di comuni, enti, cittadini e organizzazioni umanitarie.  Per non parlare di scelte strategiche che avrebbero dato la priorità al restauro di chiese e edifici monumentali, gli stessi che dopo le prime scosse non erano stati messi in sicurezza, decisioni che fanno sospettare che il Centro Italia investito dal sisma sia condannato allo stesso destino di città d’arte, la conversione in musei a cielo aperto, in parchi tematici svuotati di attività e abitanti, offerto alla rete delle multinazionali del turismo, a cominciare da quello religioso. Un dubbio questo che ha già avuto troppe conferme: i quattrini stanziati sono irrisori e offensivi rispetto a altre destinazioni scandalose ad esempio in esposizioni principesche, armamenti fasulli, crociate, air force one, contributi per l’appartenenza alla Nato, salvataggi di banche criminali e così via, la nomina di un commissario “dalla faccia pulita” grazie a una selezione del personale basata su criteri mediatici più che su una esperienza di successo delle cui gesta abbiamo avuto informazione quando ha dichiarato  impotenza e inadeguatezza, il ripetersi non casuale di quanto era avvenuto in Emilia Romagna dopo il sisma del 2012, con l’abbandono alla solitudine, alla neve, alla rovina di piccole imprese, aziende agricoli e allevamenti, quel tessuto produttivo di straordinaria qualità che ha nutrito a ragione il mito della cultura alimentare e gastronomica italiana.

Tutto congiura nel far temere che non si voglia arrestare un processo che rischia di diventare  il più grave e irreversibile problema demografico-territoriale  del nostro Paese  dove ormai quasi il 70% della popolazione si addensa lungo le aree costiere e la Valle padana, mentre il centro si svuota, colpito e minacciato dall’eventualità che si possano verificare  altri eventi catastrofici con danni incalcolabili non solo in vite umane, non solo per la perdita di cultura, memoria  e paesaggio, ma per le ripercussioni sull’economia nazionale. Allora bisogna diffidare dei richiami alla “massa in sicurezza” come se ricostruzione e prevenzione si esaurissero in strategie e opere ingegneristiche e come se lo Stato potesse limitarsi alla funzione di ente erogatore e come se la politica potesse ridursi a organismo di controllo burocratico degli interventi.

Nelle geografie da ricostruire invece, non solo non si sono portati i cantieri provvisori, non solo non si sono attratti investimenti, non solo non si sono instaurati regimi eccezionali di sostegno e facilitazioni per mettere in grado la popolazione di riprendersi e ricrearsi   il tessuto produttivo, nuove relazioni sociali, servizi, oltre a nuovi modelli abitativi da affiancare alle ristrutturazioni, ma si sta favorendo l’esodo, l’espulsione, la frattura con le memorie di ieri e le speranze di domani, da ficcare in una borsa prima dell’esilio.

Viene buono per il ceto dirigente più imbelle e malavitoso che abbiamo espresso in questa nostra amara e iniqua contemporaneità, usare le denunce degli amministratori locali e attribuire la colpa alla burocrazia, perorando la causa di una auspicabile e generalizzata semplificazione. Peccato che quella che si augurano quelli che vivono davvero uno stato di emergenza sia diversa da quella di chi intende le crisi e le urgenze come occasioni favorevoli per eludere controlli, smantellare organismi e poteri si sorveglianza e vigilanza, introdurre regimi e misure eccezionali, generare diffidenza nei confronti del controllo e della gestione pubblica per promuovere il passaggio all’egemonia del settore privato, delle rendite speculative, dello strapotere finanziario.

Basterebbe in fondo non chiamarla più semplificazione, ma buonsenso, basterebbe attribuire ai sindaci invece del Daspo che serve a lusingare istinti da sceriffi, le competenze per sottrarsi alle cravatte del pareggio di bilancio e per investire nella riappropriazione del territorio e dei diritti di cittadinanza, assistenza, istruzione, assetto urbano, incoraggiamento di attività sostenibili.

Qualcuno nei giorni, lunghi e interminabili, del sisma nel Centro Italia, ha ricordato che dopo il terremoto che colpì Calabria e Sicilia nel febbraio del 1783   lasciando dietro di sé uno sciame sismico che durò anni, il re di Napoli, Ferdinando IV, prese una iniziativa che oggi parrebbe sovvertitrice, trovando il tacito consenso del papa di allora, Pio VI: grazie a alcune ordinanze speciali sotto forma di  dispacci reali abolì gran parte dei conventi e monasteri esistenti in regione, confiscò i beni immobili di proprietà degli enti ecclesiastici incamerando  il patrimonio ecclesiastico nella “Cassa sacra” da impiegare   grazie alla messa in vendita dei beni, per finanziare l’opera  di ricostruzione, “profittando, come scrissero gli storici dell’epoca per  formare un nuovo sistema di cose… e un piano generale del suo ristoramento” .

E chi l’avrebbe detto che avremmo finito per invidiare i sudditi dei Borboni?