Anna Lombroso per il Simplicissimus

Sento l’obbligo di informare la signora Serracchiani, che per sua fortuna non deve mai essersi trovata in analoga circostanza, che lo stupro è un crimine abbietto, odioso, infame, sempre e comunque, che sia commesso da uno “straniero”, oppure da un vecchio amico dei genitori, accolto e trattato come un affettuoso zio dalla famiglia della giovane vittima, o da un amico di Facebook che pareva inoffensivo, o da un giovane professionista incontrato sui campi di sci, o dal marito che pensa di avere il diritto di punire la moglie per il delitto di lesa virilità, o da uno spensierato ragazzo, di borgata o pariolino, che  condisce con un po’ del suo “eros” le bellezze locali offerte insieme al Chianti a una turista, o di un coetaneo che intende in questo modo l’iniziazione sessuale, magari in compagnia del branco che fa i selfie.

Stia pur certa la Serracchiani:  in quel momento non fa differenza che le mani che ghermiscono, frugano, picchiano, offendono siano bianche e curate o nere e sporche, che quelle ingiurie sibilate, quel “taci o t’ammazzo”, siano pronunciati nell’idioma di Dante, di Shakespeare o in lingue gutturali e ignote, che tanto la minaccia si capisce lo stesso, sia che chi compie l’oltraggio appartenga alla superiore civiltà occidentale, magari intriso dei valori cristiani, quelli di patria e famiglia provvisoriamente rimossi come in occasione di escursioni del turismo sessuale, oppure da qualcuno che appartiene e si riconosce in una tradizione, un sistema politico e pure in una fede considerati incompatibili con le nostre mature democrazie.

“La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre – ha sostenuto la governatrice del Friuli Venezia Giulia, esponente di punta del Pd – ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese”. E ha aggiunto:  “in casi come questi riesco a capire il senso di rigetto che si può provare verso individui che commettono crimini così sordidi. Sono convinta che l’obbligo dell’accoglienza umanitaria non possa essere disgiunto da un altrettanto obbligatorio senso di giustizia, da esercitare contro chi rompe un patto di accoglienza. Per quanto mi riguarda, gesti come questo devono prevedere l’espulsione dal nostro paese, ovviamente dopo assolta la pena. Se c’è un problema di legislazione carente in merito bisogna rimediare”.

Degas, Le Viol

Ci  sono reati contro la persona, la sua integrità e la sua dignità, per i quali sorge il dubbio sulla funzione rieducativa del carcere. Personalmente darei l’ergastolo agli stupratori, locali e non, ma sono altrettanto persuasa dell’efficacia di  comminare  una multipla galera a vita ai rei extracomunitari, svizzeri e finlandesi compresi.

Siamo d’accordo: quel delitto varrebbe sempre e comunque l’espulsione, quella dal consorzio umano, e l’esilio nella giungla dove certe belve meritano di tornare. E siamo d’accordo che italiani e stranieri devono essere ugualmente puniti per le loro colpe, cosa che avviene anche se con differenti modalità e diversa severità, e non solo per gli immigrati che popolano le nostre prigioni, ma anche per i concittadini oggetto di una giustizia disuguale che, è ormai quasi stantio ripeterlo, condanna e penalizza dando la preferenza ai poveracci, mentre riserva trattamenti di riguardo a grandi corruttori, imprenditori assassini, evasori eccellenti, banchieri speculatori, devastatori del territorio e dell’ambiente, ladri matricolati compreso qualche rappresentante imposto al popolo in liste bloccate di fedelissimi.

Ma arriva tardi la governatrice “semplicemente democratica”, come ama definirsi, nell’inseguimento dei più beceri impresari del sospetto e della xenofobia un tanto al chilo:  ci hanno già pensato a ufficializzare la differenza per legge, configurando  per gli stranieri una giustizia minore e un ‘diritto diseguale’, se non una sorta di ‘diritto etnico’ quando sono state introdotte significative deroghe alle garanzie processuali comuni, non giustificabili in alcun modo con le esigenze di semplificazione delle procedure di riconoscimento della protezione internazionale, abolendo, proprio in sede di procedure di espulsione, l’appello  ammesso persino per le liti condominiali o per le opposizioni a sanzioni amministrative.

Memore del successo sia pure parziale della famosa campagna di Colonia, che aveva raccolto il consenso bipartisan di quelli impegnati a  difendere le “nostre donne” secondo una ideologia parimenti proprietaria e patriarcale dal rischio di contaminazione sessuale da parte di ferini negri e bastardi islamici, molto più allarmanti, per via del codice genetico, dei consorti femminicidi nostrani, la  delicata sosia di Amélie  Poulain – così è stata definita dai suoi fan – si difende dicendo che si è limitata a pronunciare dalla sua tribuna privilegiata quello che in tanti pensano.

Beh, a proposito di differenze, il suo mandato e il suo incarico di “eletta” dovrebbero consigliarle di non fare concorrenza al partito delle ruspe, rompendo un patto fondamentale quanto quello di accoglienza. Quello che dovrebbe legare in un vincolo di fiducia, ragione e solidarietà il popolo  e i suoi rappresentanti, cui corre l’obbligo di dare il buon esempio, di contribuire alla propagazione di pensieri e convinzioni che alimentino la coesione sociale, di spegnere i fuochi accesi dalla diffidenza e dall’inimicizia, se, come si pensava un tempo, la classe dirigente di un paese dovrebbe essere la selezione dei migliori e non dei peggiori, intenti a promuovere rifiuto arcaico, timori ancestrali, violenze irrazionali, così come a dichiarare guerre di conquista, a partecipare a pulizia etniche e grandi saccheggi a fini commerciali.

Non è il suo il “meraviglioso mondo” cui hanno aspirato e aspirano donne e uomini che vogliono giustizia  senza differenze,  uguaglianza senza gerarchie, libertà senza rinunce né per sé né per gli altri, imparzialità senza vendetta, diritti senza graduatorie.