imagesUna decina di giorni mi ero permesso di insinuare qualche dubbio sul tempismo anti Melenchon dell’attentato a Parigi perpetrato alla vigilia del primo turno delle presidenziali. E questo non solo in base ad un astratto cui prodest, ma anche alla dinamica del tutto anomala dell’evento. Purtroppo non si può dire più di tanto perché, come sappiamo, questi terroristi oltre a farci il piacere di lasciare in bella vista i propri documenti come fossero all’anagrafe, vengono regolarmente uccisi anche quando potrebbero essere facilmente catturati, cosa essenziale per comprendere il fenomeno e dunque per porre basi serie a quella sicurezza che le oligarchie di comando barattano con la libertà.

In realtà non c’è alcun bisogno di avere un animo particolarmente orientato al complottismo per pensare che ci sia un po’ di marcio in Danimarca, avvertendo gli effluvi non precisamente odorosi che provengono dall’area grigia dei servizi  dove nulla è ciò che sembra e dove il confine fra terrorismo, anti terrorismo, geopolitica sono labili e in continuo movimento. Così capita che una “storia fuori dal comune” proveniente dalla procura di Francoforte e pochissimo diffusa dall’informazione ufficiale troppo impegnata a trasformare la realtà per dare vere notizie, emani un breve, ma folgorante lampo di luce su questa palude di cui si può apprendere qualcosa solo dalla Die Welt e in italiano da qualche raro sito come Clarissa. it. Dunque accade che un tenente del 291° battaglione cacciatori della Bundeswehr, di stanza però a Strasburgo perché inserito in una brigata franco tedesca, “dimentichi”, anzi nasconda una pistola nei bagni dell’aeroporto internazionale di Vienna. L’arma viene trovata dagli addetti alle toilettes e consegnata alla polizia, la quale decide di lasciarla dove si trova per intercettare chiunque si presentasse a prenderla. Passa un giorno, passa l’altro dopo qualche settimana arriva a recuperala  il medesimo tenente che fornisce una versione decisamente sconcertante dei fatti: avrebbe trovato l’arma a un ballo di ufficiali tenutosi a Vienna, e di essersene poi disfatto in aeroporto per evitare problemi ai controlli.

Nessuno avrebbe potuto credere a una storia così bislacca, ma la polizia austriaca evidentemente sì, tanto che si limita a elevare una semplice multa per la violazione delle leggi sul porto d’ armi. Tuttavia o per questioni burocratiche sfuggite di mano o perché qualcuno davvero non ci sta a passare per cretino e bersi la storia del ballo, le impronte digitali dell’ufficiale vengono inviate al Bundeskriminalamt, insomma alla polizia federale tedesca la quale scopre due cose interessanti: che il tenente era contemporaneamente anche  tale Daniel Banjamin, profugo siriano registrato nel 2016 come rifugiato presso un centro profughi della Baviera, percependo addirittura il sussidio governativo.  Ora come poteva questo personaggio essere in servizio presso il suo battaglione e risultare presente al centro profughi? Un bel mistero ancora più fitto perché il medesimo tenente era anche in stretto contatto via Wats app con ambienti filo nazisti.

Un doppio infiltrato? Poco credibile non solo per il ruolo di ufficiale in servizio attivo in un’unità operativa all’interno della Nato, ma anche e soprattutto perché il tenente, a parte un alias molto ebraizzante, non conosce una parola di arabo e sarebbe ben poco credibile anche come semplice rifugiato dalla Siria, figurarsi poi come aspirante terrorista in qualche gruppo radicalizzato. Ma la doppia identità potrebbe essere preziosa se i contatti fossero limitati alla distribuzione di armi o denaro, un tramite che non viene mai a contatto diretto con gli utilizzatori finali . Ora tutto questo significa in poche parole che esiste concretamente la possibilità di un mondo sotterraneo nel quale si possono ipotizzare contatti tra forze atlantiche, servizi, polizie e mondo terroristico come del resto si poteva anche intuire da altri fatti, per esempio la provenienza sospetta delle armi utilizzate negli attentati in Europa: nel caso di Charlie Hebdo, come riferito a suo tempo, erano state fornite da un militante dell’estrema destra che agiva anche come informatore dei servizi francesi, cosa sulla quale non si può indagare più a fondo visto che è stato posto il segreto di stato. .

Ma chissà magari Colibaly, l’uomo che si è asserragliato nel supermercato kosher per esservi opportunamente freddato, quelle armi le aveva trovate a qualche ballo di gala, cosa del resto possibile visto che il suo amico più caro, Amar Ramdani oltre che stretto collaboratore di terrorismo era anche l’amante di una agente dei servizi di informazione della gendarmeria francese. Per questo credo che occorra riconsiderare tutto il capitolo terrorismo sotto una nuova e ancora più inquietante luce: quello di un cinico utilizzo non solo geopolitico come ormai appare lampante, ma che sfocia anche in una possibile “gestione” degli ambienti radicalizzati per ottenere il consenso da paura.