287084c7f87e356285607f14971d2ff3-kP2-U11002377527992YDH-1024x576@LaStampa.itNon se lo aspettavano né i ministri di malavita, né il governo della ricettazione globale, né i sindacati della resa con mugugno e mancetta, né l’informazione magliara o semplicemente cretina che recita il rosario della competitività senza nemmeno rendersi conto di quello che dice: i lavoratori di Alitalia hanno detto No all’accordo che prevede quasi mille esuberi e la riduzione dell’ 8% degli stipendi del personale volante raggiunto sotto il ricatto dei libri in tribunale. E l’avversione a questo ulteriore massacro è ancor più significativo perché anche il personale di terra ha votato a maggioranza conto.

Forse si ricomincia a comprendere ciò che quarant’anni fa era ovvio: se se tagliano le gambe a qualcuno con il tuo assenso domani le taglieranno anche a te, E probabilmente si comincia anche ad avere la sensazione che le rese parziali alle cosiddette logiche di mercato, opportunamente aggiustate caso per caso, significano uno scivolare senza fine ai livelli di povertà, verso le più indignitose mete della presunta produttività, come del resto accade negli Usa dove persino i giovani piloti delle compagnie interne sono costretti a vivere con i sussidi e per giunta devono restituire i prestiti contratti per le varie scuole di volo. Il resto, ovvero che la crisi Alitalia sia stata dovuta non certo all’abbondanza del personale o ai suoi stipendi, ma a vertici e azionariati incapaci di costruire qualsiasi strategia o qualsiasi futuro è sotto gli occhi di tutti quelli che non si massaggiano i bulbi col prosciutto delle frasi fatte.

Naturalmente, visto che dirigenti e azionisti incapaci di pensare non possono essere toccati, l’informazione si strappa le vesti, magari anche quelle comprate con i contributi pubblici in via diretta o indiretta, si lamentano che per salvare l’ennesima volta Alitalia occorreranno soldi pubblici. Certo che occorreranno, ma occorrono per la verità anche per quelle che sembrano essere le pietre preziose del neoliberismo volante, ossia le compagnie low cost che pagano al minimo i dipendenti ed evadono bellamente i tributi: non vivrebbero nemmeno un giorno se non raccogliessero i contributi degli enti pubblici per aprire scali qui e là. Per quanto riguarda l’Italia abbiano la menzogna di Del Rio che quantifica in 40 milioni questi esborsi, una cifra talmente ridicola da essere inferiore persino a quella della sola Sardegna che a quanto pare si attesta come testimonia la stessa Ue sugli 80 milioni. Persino un giornale come la Stampa si vergogna di una cifra come questa è la raddoppia ad 80 milioni, sperando che questa minimizzazione sia più credibile, ma siccome molti accordi sono segreti, altri sono persino caduti sotto la lente di Bruxelles, altri sono follia come i 25 euro a passeggero pagati a Ryanair dall’aeroporto di Verona, per non dire dei 30 milioni di Brescia e Pisa  è presumibile che tali contributi in soldi pubblici abbiano superato complessivamente, i 300 milioni all’anno negli ultimi 7 anni. Calcolando, per difetto, una media di  5 euro a passeggero e moltiplicandolo per gli 80 milioni di passeggeri delle low cost si arriva anche a 400. Con anche denunce di illegalità da parte dell’ipocrita Bruvelles. Altro che libero mercato e altro che Alitalia che con quei soldi sarebbe stata strasalvata e con essa anche molti aeroporti giunti sull’orlo della bancarotta con questo sistema la cui salvfica efficacia sulle economie locali è tutta da dimostrare se non si vogliono fare i soliti discorsi un tanto al tocco. Altro che le lamentazioni in salsa anni ’80 degli addetti all’informazione di mia nonna.

Per questo è importante la battaglia di Alitalia che non coinvolge solo i lavoratori della compagnia o il settore dell’aviazione (una resa costituirebbe immediatamente un motivo di ulteriore abbassamento salariale anche presso Ryanair, Vueling, Air Berlin e via dicendo), ma una resistenza alle logiche di impoverimento progressivo che investono tutto il mondo del lavoro.  E anche alla presa in giro del “mercato”.