Jean-Luc Melenchon of the French far left Parti de Gauche and candidate for the 2017 French presidential election, attends a political rally in Toulouse, Southwestern FranceFossi francese domani mi alzerei all’alba per andare a votare Jan – Luc Melenchon, il candidato a sorpresa delle presidenziali francesi che finalmente rappresenta una sinistra ribelle ai dikat della finanza e al tempo stesso libera anche dai suoi tic residuali che le hanno impedito di riconoscere tutti i mali connessi alla moneta unica e alla perdita di sovranità, di vedere che tra internazionalismo e cosmopolitismo capitalista c’è una differenza come dal giorno alla notte, di avvertire che la dialettica attuale è tra democrazia popolare e neo fascismo finanziario, lasciando la prima in balia delle destre.

Naturalmente sarà un miracolo se Melenchon arriverà al ballottaggio e un prodigio se dovesse insediarsi all’Eliseo, ma già è straordinario il fatto che da candidato di contorno, accreditato del 10% scarso, sia arrivato in pochi mesi ad essere un competitore alla pari, anzi potenzialmente il più forte se i falsi socialisti hollandiani non avessero presentato un merlan frit ovvero un pesce lesso detto in italiano, giusto per non dover ammettere che il loro vero candidato è Emmanuel Macron, l’uomo di Rothschild, quello che tre giorni fa  in un dibattito televisivo,  ha scambiato la Guiana francese per un’isola. L’informazione di tutta Europa dà conto di questa straordinaria ascesa, ancor più significativa perché raggiunta dentro un’opaca congiura del silenzio mediatico, ma evita di darne una qualunque spiegazione che non consista nella debolezza del candidato ufficiale socialista, dedicandosi alla demonizzazione del nuovo “pericolo comunista”. Ma cita solo di straforo le posizioni di Melenchon intenzionato a rivedere tutti i trattati europei, compreso quello di Maastricht, ad acquisire autonomia rispetto alla Nato, a lavorare per una costituzione più democratica e meno presidenzialista, a rivendicare il primato della politica sul mercato e ad uscire dal meccanismo europeo se si rivelerà impossibile riformarlo fin dalle radici. Spiegare tutto questo, dire qualcosa che vada oltre la squallida velina quotidiana, significherebbe aumentare il consenso invece di contenerlo.

Lo evita perché Melenchon è la contraddizione vivente delle argomentazioni – chiamiamole tali, anche se si tratta per lo più di slogan – che il potere neoliberista agita contro chi gli si oppone: o noi oppure le destre e i populisti, qualunque cosa si voglia intendere con questa espressione.  Bene adesso non è più così, anche la sinistra entra in campo e alla fine lo spazio per il cosiddetto centro e per i suoi giochi al massacro in favore delle oligarchie comincia a ridursi. Un successo di Melenchon, Isis permettendo (si fa per dire Isis)  riporterà al centro del dibattito i bisogni reali scalzando le fumose parole d’ordine delle elites di comando, rendendo più difficoltoso il loro ricatto che si esercita non solo sul lavoro, non solo sul mercato, ma anche con più tragici mezzi e mettendo in luce che la sovranità, ovvero lo spazio dei diritti e della cittadinanza, non ha nulla a che vedere con le chiusure del nazionalismo come troppo a lungo hanno detto cattivi maestri a pessimi alunni.  Del resto è proprio a sinistra (intesa come complesso di pensiero, non come la miserabile etichetta di questo o quel partito) che si trovano le aspirazioni a una società diversamente orientata rispetto a quella dominata dal capitale e dal mercato. Insomma si apre una nuova strada finora tenuta ben chiusa dagli eredi degeneri delle sinistre storiche ormai scomparse.

Il terremoto si farà sentire ovunque, probabilmente persino nell’Italia agonizzante, tornata papalina e baronale come pare di capire dalle uscite ottocentesche di alcuni parvenu dell’opposizione che più parlano e più si rivelano inadeguati. Poca cosa comunque se il mondo del lavoro e della produzione, ancora molto forte numericamente, non troverà nuovi strumenti collettivi per ridiscendere in campo.