306153_467018130036677_1031463162_nAi primi di aprile un cittadino britannico ha avuto modo di vedere e fotografare in treno un documento riservato del ministero degli esteri e della cooperazione internazionale nel quale si sollecita tutto il dicastero a rendere prioritari nei propri messaggi rivolti all’opinione pubblica  il commercio e la crescita, trascurando o riducendo al minimo indispensabile un’ampia sfera di argomenti che vanno dal lavoro, all’impatto del cambiamento climatico e persino al commercio illegale di animali. In questo momento ciò che conta è fare affari ad ogni costo anche a quello di calpestare senza remore e senza limiti i diritti delle persone e l’ambiente stesso.

Tutto suona vagamente immorale, ma è concretamente criminale sapendo benissimo da due decenni che quando parla si crescita ci si riferisce unicamente  all’immenso drenaggio di risorse che finisce sempre più nelle mani del famoso 1 per cento. Eppure  la crescita è ormai come la polvere di fata, la bacchetta magica grazie alla quale dovrebbe scomparire ogni realtà, ogni contraddizione e anche ogni opposizione. Più che magica questa polverina è diabolica se all’interno di una crisi multiforme maturata fin dagli anni ’90, ma conclamata da un decennio con tutte le sue piaghe, ha ancora efficacia nonostante la constatazione che i governi e le vecchie leadership sono ormai burattini attaccati ai fili dei poteri economici e delle loro lobby, che le disuguaglianze sono cresciute in maniera inimmaginabile, che il pianeta stesso viene devastato in nome del più futile consumismo, se il lavoro viene inteso come una nuova schiavitù, se i diritti sono ormai roba da telefilm del secolo scorso, se la disoccupazione cresce e la sotto occupazione precaria è ormai la normalità, se i poveri si impoveriscono e i ricchi si arricchiscono decretando di fatto la fine di una sia pur modesta mobilità sociale che è stata la vera arma dell’occidente negli ultimi tre secoli.

Straordinariamente la polverina funziona ancora nonostante sia del tutto evidente che non possiamo più usare i modelli che hanno causato tutto questo per uscirne e che occorre una visione delle cose radicalmente diversa, una riformulazione di tutte le nostre domande e approdare a un diverso modello sociale. Non si tratta solo di contestare l’essenza di un pensiero economico che pretende di essere scienza, ma e basato sull’aporia della  crescita infinita che è palesemente assurda visto che le risorse sono finite, quanto soprattutto  di abbattere finalmente il modello antropologico dominante costruito sull’uomo razionale economico, isolato e separato dagli altri, autistico e lupo per gli altri, libero solo nella misura in cui fatalmente rende meno liberi gli altri.

Si tratta di una visione prima di tutto impossibile e irrealistica, ma  anche incredibilmente rozza: se essa in un mondo di principi e monarchi assoluti è stata in qualche modo liberatoria, in un contesto diverso rinunciando ad evolversi, anzi fossilizzandosi, diventando un’arma in mano alle classi dominanti, è diventata una prigione, esattamente come i sistemi di grotte e caverne che nel neolitico, ma anche successivamente furono il fulcro di insediamenti umani e poi divennero patrie galere. Con alle spalle questa sorta di antropologia a una dimensione, non è assolutamente possibile intendere l’attività economica come strumento per soddisfare le esigenze di tutti all’interno di una certa quantità di risorse finite. Il diagramma di flusso tradizionale dell’attività economica, quello alla base di tutte le scuole capitaliste, comprende le relazioni astratte tra famiglie, imprese, banche, governi e commercio, che operano in una sorta di  vuoto sociale e ambientale: energia, materiali, mondo naturale, società umana, potere, ricchezza, classi, sapere, attività essenziali, ma non classificate come lavoro (per esempio quelle svolte in casa) sono tutti mancanti.

Siamo vittime in corpore vili di un’astrazione e per poterci liberare dobbiamo ripartire dai principi, ricostruire i fondamenti della comunità e della solidarietà, in cui si è persone e non individui, ricominciare a pensare ciò che vogliamo essere e non ciò che ci suggeriscono che siamo. Le soluzioni frammentarie possono servire qui e là, ma non possono vincere nella guerra con questi pochissimi che detengono la stragrande maggioranza delle risorse e che certo non vogliono cederne nemmeno un’unghia dal momento che essi davvero fanno parte della miserabile umanità che predicano. Questa è la vera economia, un termine antico che indica la buona gestione delle cose e degli affetti e che invece è stato violentato a partire a cominciare dal Settecento. Altro che la polverina magica che nella lotta di classe al contrario viene usata come stimolante e rimbecillente al pari di altri polverine cui i ricchi non rinunciano. Smettiamola di sniffare.