imagesSi è scatenato l’inferno alla Rai. E’ bastato che una trasmissione da parrucchiera come tante si occupasse delle donne russe e del loro appeal rispetto alle donne italiane, che si è rivoltato il mondo. dalla rete, alle dame di san Vincenzo del senonoraquandismo alla Boldrini, dai piani alti della xenofobia serpeggiante e da quelli del progressismo con quel tanto di croccante: una mobilitazione spontanea che ha portato addirittura alla chiusura della trasmissione ovvero del contenitore dove questo insieme di chiacchiere è stato presentato. Ma a me non interessa la tesi secondo la quale le donne russe sarebbero più belle, più sensuali, più abituate ad essere oggetti domestici ancorché si rivelino anche più puttane, mentre quelle italiane sarebbero di forme più modeste e più mascolinizzate: queste sciocchezze le evito fin dall’età in cui si faceva la prova a chi piscia più lontano, che per molti evidentemente non è mai passato.

Ma se mettiamo tra parentesi lo squallido argomento, non è accaduto niente di diverso da ciò quotidianamente succede in Rai e su tutte le altre reti quasi a ciclo continuo: un mucchio di stereotipi viene messo nel piatto e in qualche modo avallato da sedicenti esperti e tuttologi a cachet che fingono il dibattito, misurato con slide recuperate chissà dove e magari condito con sondaggi che dovrebbero essere messi in autoclave prima di toccarli. Cioè non è accaduto proprio niente di diverso dal deprimente sistema con il quale si affrontano i temi del terrorismo, della politica, dell’economia, del lavoro: si discute intorno a cliché, preconcetti, convenzioni con il solo scopo finale di renderli come l’unico orizzonte possibile, mentre qualsiasi altra idea che per caso entri in gioco viene prontamente soffocata, scartata a priori, considerata politicamente scorretta, esorcizzata, ribaltata. E del resto nel dibattito, oltre i politici vecchi, vecchissimi e nuovi entrano da anni se non da decenni, sempre le stesse persone che sanno tutto e se non lo sanno tirano a indovinare o forniscono dati che hanno lo stesso valore delle carte false del prestigiatore. Tutta gente che se anche avesse possibilità e voglia di dire cose vere si guarda bene dal farlo per non perdere le proprie aderenze o al limite il gettone di presenza che con in tempi che corrono è manna dal cielo.

Questo vale universalmente, sia che si parli del job act, dell’euro, della dieta mediterranea, dell’estinzione dei dinosauri, della post verità o della battaglia di Anghiari: si parte sempre dai concetti già rimasticati all’interno del pensiero unico e delle sue succursali informative o di intrattenimento,senza che mai si riesca ad uscire dalle sue gabbie, dai modelli preformati e imposti dall’egemonia culturale. Dunque perché non applicarli anche alle donne russe, tutte belle così come tutti gli immigrati sono ladri? Facendo fare tra l’altro agli uomini italiani una pessima quanto più plausibile figura di bamboccioni nella loro ricerca infantile di una madre di giorno e di una bella di notte. Ma il mondo contemporaneo è questo: ha distrutto la socialità con l’ossessione dell’individuo, del perdente e del vincente, ma poi si scopre che questa individualità ha solo un carattere economico, perché al di fuori di questo ambito si è soltanto e molto più di prima espressione di categorie, schegge dentro insiemi costituiti e permessi nel quale la generalizzazione è sempre la benvenuta, anzi la padrona di casa. Ma lo scandalo, il dibattito non si scatena quando si parla di cose serie, ma unicamente quando questo sistema viene applicato a qualche campo molto marginale, al sottopancia, alla forza di trazione dei peli, a pure semplici cazzate grazie alle quali si può simulare l’esistenza di un qualche dibattito, la permanenza in vita di un intero sistema e nascondere che l’encefalogramma è piatto.