La buona scuola dà finalmente i suoi frutti che appena spuntati sono già marci e velenosi, buoni solo per lotofagi persi del neoliberismo schiavizzante. Come sappiamo dalle cronache di questi giorni negli autogrill sono apparsi i primi addetti con la maglietta scuola – lavoro, provocando per intanto un diminuzione del monte ore dei dipendenti regolari. Ma non è un incidente oppure l’ uso improprio di una scuola ridotta ad apprendistato della sottomissione, perché il ministero dell’istruzione, guidato da una non laureata e peraltro diplomata a fatica proprio per il rotto della cuffia, ha fatto un accordo con una quindicina di aziende, compresa Mc Donald, per fornire loro personale a costo praticamente zero con il pretesto dell’ apprendistato.
Questa corvée di massa che vanno dalle 400 alle 200 ore obbligatorie nella quale gli studenti dovrebbero lavorare gratis è appena all’inizio, ma sta già provocando conseguenze sul lavoro retribuito, come appunto avviene negli autogrill, anzi costituisce un ennesimo trucchetto per far cadere ancora di più i salari. E tuttavia proprio in questo tentativo di reintrodurre il lavoro adolescenziale e schiavistico la buona scuola mette a nudo le sue vere intenzioni e il suo obiettivo di fondo ovvero quella di educare fin da ragazzini al lavoro senza diritti, con un salario da fame e di cui bisogna essere grati allo sfruttatore per la sua benevolenza: è questa la materia che si insegna. E del resto tutta l’operazione si regge sul fatto che le mansioni e le attività a cui saranno addetti gli apprendisti non sono certo quelle che ci si aspetterebbe da un Paese che vuole rimanere in prima fila, ma quelli più umili, meno pagati e a minor sapere aggiunto: camerieri improvvisati, gente dietro un bancone, messa a girare polpette o friggere patatine, a vendere sigarette o a fare il fattorino o il porta caffè, tutte attività che si imparano facilmente e in breve tempo, roba del tutto inutile per chi è andato oltre alle elementari.
Che caspita di formazione è per chi fa una qualunque scuola tecnica per non parlare nemmeno dei licei veri e propri? Servire panini all’autogrill non è imparare come nel concreto come si svolgono attività e professioni, non serve a leggere un bilancio o a costruire un listato di programmazione o a fare il progetto di un villino , non serve proprio ad imparare qualcosa di vero e di concreto quanto a svalutare e a far apparire potenzialmente inutile ciò che si impara: non c’è bisogno di trigonometria o di informatica per fare lo schiavo nei fast food di qualunque tipo. Certo la parola apprendistato in un Paese arcaico come l’Italia, dove la mobilità sociale è sempre stata ridotta e l’umiliazione così naturale, conserva ancora qualche nuance delle antiche corporazioni, può apparire una buona cosa a chi è abituato a giudicare in base al niente, ma qui non si tratta affatto di di andare a bottega, di imparare un mestiere complesso e difficile, non si tratta di orafi o di lanieri, ma di qualcosa di livello elementare che non c’entra nulla né con la scuola, né con il lavoro vero. E’ apprendistato soltanto nel senso che squaderna davanti ai ragazzi una realtà che si pensa inesorabile e intoccabile: li educa a considerare il lavoro come una merce di poco valore e l’inesistenza dei diritti. E’ insomma una lezione di rassegnazione sociale che può suscitare un solo tipo di rivolta, ovvero quella di diventare sfruttatore a propria volta.
La buona scuola prefigura la cattività società che ci attende nel quale il sapere vero sarà appannaggio di chi si può permettere un’istruzione, mentre agli altri non rimarrà che svolgere attività umili e di secondo piano. Altro che economia della conoscenza e balle varie: è l’economia del panino.
Vagamente ricordo che Mai Tse Tung aveva incorporato nel curriculum educativo degli studenti cinesi vari “stages” nei campi, al fine di aiutare i contadini all’epoca del raccolto o di altro.
La cosa, a leggere i resoconti di allora, era presentata in Occidente come un’aberrazione assoluta, nonché evidenza di pazzia sociologico-amministrativa. Se qualcuno mi può indicare la differenza tra l’iniziativa cinese d’antan e quella dei paninari di questo articolo, gliene sarò grato.
Ci sono sicuramente delle differenze. Le attuali iniziative comportano indebiti vantaggi economici per aziende dai portafogli già stragonfi e che, oltretutto, forniscono prodotti o servizi complessivamente diseducativi. Per esempio, la multinazionale degli hamburger è direttamente responsabile dell’aver abituato soprattutto i giovani a una tipologia di consumi che sono l’esatto contrario di ciò che una nutrizione impostata su criteri di salubrità prevederebbe. Nel caso di Mao, invece, gli avvantaggiati del lavoro a cui i giovani cinesi venivano obbligati, non erano certo delle pingui multinazionali e, inoltre, l’argomento che il futuro ceto dirigente cinese avesse bisogno di avere un contatto preliminare con la realtà della terra per mantenere, appunto, i piedi per terra aveva una sua logica. L’occidente giudicò male queste cose perché destra e sinistra, già allora geneticamente identiche, alla sola idea di mandare i propri figli a lavorare la terra erano colti da sudori freddi. E se ricordo il mio io di allora, ero anch’io da quella parte, un po’ come tutti. Oggi la penso un po’ diversamente e sono un po’ più dalla parte di Mao. Inviare gli studenti italiani a lavorare non è in fondo una cattiva idea a patto che siano garantiti alcuni punti fermi, per esempio:
1) il lavoro deve essere effettuato non nell’anno scolastico ma nel periodo estivo e per un periodo limitato (8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana e per 5 settimane al massimo) per dare allo studente la possibilità di fare comunque le vacanze o con la sua famiglia, o dove gli pare e come gli pare
2) il lavoro deve essere remunerato in modo adeguato ma con la possibilità, per lo stato, di renderlo esentasse e esen-contributi sia per lo studente che per chi impiega lo studente
3) la tipologia di lavoro deve cambiare di anno in anno in modo da consentire allo studente di conoscere una varietà di ambienti lavorativi, dalla piccola azienda alla multinazionale. In pratica, come esiste un piano di studi per le materie universitarie occorrerebbe realizzare preventivamente un “piano di lavori” in modo da evitare che l’iniziativa si traduca semplicemente in un regalo alle multinazionali come è adesso.
Sottoscrivo in pieno il pezzo al solito esemplare de Il Simplicissimus e gli interventi dei postanti.
@jorge 19/03 h 16:44. Quella frase che opportunamente cita lei è la massima che icasticamente definisce l’essenza del Comunismo utopistico-mutualistico (ch’è poi il vero Comunismo, il più bello, il più ideale, idealistico e idealizzato), quello della Comune di Parigi (1848), di Louis J.J. Blanc, Étienne Cabet, Saint-Simon, di Marx, poi ripresa da Kropotkin qualche decennio dopo, sino a Lev Trotzky che la voleva inserire nero su bianco nella Carta Costituzionale della fu URSS e che invece fu il principio più inapplicato dei tanti articoli bellissimi ma lasciati marcire come lettera morta della Costituzione sovietica perché si formarono, a mio modo di vedere, sacche di capitalismo ideale in uno Stato a Socialismo Reale, come denunciarono Alexander Zinov’ev e altri.
Figurarsi se principi così immensi entrano nel cervelletto mono-neuronale di un giuliano poletti o di una valeria fedeli qualsiasi. Ma questi di sinistra hanno solo l’aria da parvenu della politica a loro insaputa!
Allucinante. Ma poi gli studenti apprendisti sono pagatoi o no? E Quanto ? E da chi, dal datori di lavoro, dagli istituti scolastici ? Dal ministero della pubblica istruzione o da quello del lavoro?
Chi ha informazioni in merito le socializzi, ma sono, sicuro per gli annosi andazzi che tutti conosciamo, che a pagare gli studenti-apprendisti saremo tutti noi (almeno in qualche misura), un ulteriore regalo ai datori di lavoro ed un ulteriore furto con beffa per noialtri
Scrive Simplicissimus. E’ apprendistato soltanto nel senso che squaderna davanti ai ragazzi una realtà che si pensa inesorabile e intoccabile: li educa a considerare il lavoro come una merce di poco valore e l’inesistenza dei diritti.
Molti decenni fa al liceo mi capitö di leggere nel libro di storia di un particolare modo di intendere il lavoro, o ciö che sarebbe potuto essere. La proposizione suonava pressapoco cosi :
” Ciascuno secondo le proprie capacitä, a ciascuno secondi i propri bisogni”
Ne e passata di acqua sotto i ponti…
Non sono pagati!!!!! Ma se fosse formazione vera, ci mancherebbe… sono OBBLIGATI, tutto quello che fanno rientra nei crediti per la maturità, sono RICATTATI!!! Allucinante…
è da tempo che penso che l’itaGlia, sia alla deriva… un altro passo verso il baratro economico-sociale ?
Fa parte della mattanza. I pezzi si incastrano l’uno nell’altro alla perfezione, nessuna sbavatura. Ho sempre detto, fin da quando ero molto giovane, che i figli sono di tutti, un tentativo di sintesi non sempre capito. Oggi sono io che non capisco come questi figli non siano di nessuno, nemmeno dei loro genitori. Meritano una possibilità e gli potrebbe arrivare solo dalla lotta di padri e madri, una lotta vera e non una lotteria insensata.C’è sempre qualcuno che guarderà alla storia e ne chiederà conto
I così detti docenti meritano la legge 107. Pochi sono andati a firmare per l’abolizione della stessa e non si è raggiunto il quorum necessario per indire il referendum. La condizione di schiavitù e il desiderio di sottomettersi al Dirigente Padrone è una scelta, Sperano così di ottenere vantaggi personali a scapito della collettività. Sono solo cattivi maestri.
P.S. ottimo articolo. Diffondo afap
La Buona Schiava