Anna Lombroso per il Simplicissimus

È notizia di ieri: la Guardia di Finanza, in barba al potere deterrente dello spaventapasseri messo a incutere spavento ai corruttori e ai corrotti, ha individuato appalti pubblici irregolari per 3,4 miliardi, denunciando 1.866 responsabili, 140 dei quali sono stati arrestati.

Lo scorso anno il dato si fermava a 1 miliardo e già allora la situazione era allarmante, quando  un appalto su tre tra quelli controllati risultava fuori norma.  Per uno di quei paradossi che animano la vita pubblica, Cantone era ieri proprio al Pio Albergo Trivulzio a celebrare uno di quei riti apotropaici che dovrebbero propiziare la legalità e non sappiamo se gli echi stonati del rapporto annuale delle Fiamme Gialle siano rimbalzati a turbare la felpata armonia del convegno nel quale si dibatteva dei cambiamenti intercorsi dal caso del “mariolo” Chiesa a oggi.

Si, perché nell’augusto consesso pare si sia parlato delle mutazioni intervenute, che, secondo l’autorità in materia sono segnate dalla conversione di una patologia sistemica: una  corruzione che aveva la sua regia nei partiti, a fenomeno che trae origine da schegge impazzite  non si sa se mele marce o lupi solitari come nella Jihad –  e che in ragione di ciò avrebbero una portata e una penetrazione “locale”. Sarebbero quei cattivi soggetti a proporsi come interfaccia al servizi0 di comitati d’affari, usando la politica come un tram su cui salire per combinare carriere e profitti.

Leggendo i resoconti non si capisce se nelle parole dell’ex magistrato e a margine della relazione della Finanza ci sia una dichiarazione di responsabile impotenza che contrasta con l’abituale trionfalismo, suo e dei suoi promoter, speso anche oltreoceano. Che dovrebbe far pensare che, malgrado gli sforzi profusi  con l’istituzione dell’authority e con il codice degli appalti, sia pure punteggiati da qual che inevasa richiesta di fondi e risorse aggiuntive, corruzione e malaffare siano una componente incontrastabile dell’autobiografia nazionale, insita nell’indole e nell’istinto di tutti, un connotato da affidare allo studio degli antropologi, osservabile quanto inoppugnabile.

Sospetto che non occorra scorrere gli elenchi delle Fiamme Gialle coi soliti sospetti per trovare nomi noti che entrano e escono dalle porte girevoli delle grandi cordate dei monarchi seduti su un’enorme catasta di cemento, da dove controllano i destini di un paese in cui la politica ha ceduto  le armi alla speculazione e all’affarismo in cambio di consensi e finanziamenti più o meno occulti.

Tanto che oggi a nessuno viene in mente di fare come Craxi allora, quando risuscitò quel termine arcaico “mariolo” per sottolineare la distanza che separava decisori da ladruncoli e utili idioti, destinati a essere buttati a mare alle prime tempeste. Oggi non occorre resistere come il compagno G. pronto alla galera per tutelare il buon nome del partito e l’integrità della sua immagine. Oggi si fa come Renzi con il vertice Eni, come il governo con le teste coronate ma marce delle banche, come i media con indagati molto intercettati, come gli amministratori locali che riesumano colpiti da malaffare guariti grazie a provvidenziali prescrizioni come interlocutori privilegiati per lussuose assegnazioni di opere.

Perché deve questa la natura dello sviluppo secondo l’establishment, incurante di trasparenza, indifferente quando non dichiaratamente ostile all’interesse generale, favorevole a profitti facili e a forme speculative aiutate da leggi ad hoc, da quelle riforme tra Sblocca Italia e fervore semplificativo, che hanno prodotto l’elusione delle regole, smantellato la rete dei controlli, esaltato l’egemonia  della proprietà privata e della rendita. E cui contribuisce l’altro immancabile specchietto per le allodole sventolato a ogni convegno e in ogni esternazione, candidato segretario compreso nella sua veste di ministro della Giustizia,  quell’innalzamento delle pene, inutile se non si sa a chi comminarle, se il loro garantismo e come la loro crescita, discrezionale e arbitrario, inteso alle disuguaglianze se è assolutorio con chi sta in alto e intransigente fino alla spietatezza con chi sta in basso, se le severe norme del Nuovo codice sugli appalti, della cui “inanità” abbiamo ulteriore conferma, sembra fatto come disse a suo tempo Davigo “per dare fastidio alle aziende per bene, mentre non fa né caldo né freddo a quelle delinquenziali”.

Povero Chiesa, ridotto a rubagalline e povero Albergo Trivulzio: capace che ne fanno un monumento alla dinamica imprenditorialità e all’inimitabile spirito di iniziativa Made in Italy.