Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ci vorrebbe proprio Aristofane per dare  un po’ di nobiltà letteraria al copione  degli indecorosi  guitti che come nelle Nuvole fanno prevalere sempre i cavilli e le interpretazioni devianti del Discorso Peggiore sulle ragioni  rette e virtuose del Discorso Migliore.

Proprio oggi basterebbe leggere la pretesa  di innocenza del ministro Lotti che rivendica la sua irreprensibilità, la sua purezza adamantina, il suo candore a prova di varechina grazie all’assoluzione del tribunale dei suoi simili, tutti prevedibilmente uniti, Formigoni compreso, nella difesa corporativa di un esimio rappresentante della categoria.

Pare si siano stupiti in molti ad ascoltarlo, non per le parole intrise di malevolo e vendicativo risentimento – come c’era  da aspettarsi, non per gli avvertimenti per niente trasversali e intimidatori in puro stile da cupoletta mafiosa – che non stupiscono, non per i riferimenti alla gogna mediatica e alla macchina del fango manovrata contro di lui – che non possono mancare nella sceneggiatura della nomenclatura, meravigliata quando dietro le quinte delle loro malefatte qualcuno agita lo spauracchio della verità, ma perché durante la lunga, forse inarrestabile carriera nessuno aveva avuto la ventura di udire la sua voce, a conferma di un uso di mondo alla riservatezza nei luoghi della politica, a una delicata discrezione che in altre sedi avrebbe invece gettato alle ortiche, preferendo modalità di espressione e azione piuttosto spregiudicate e esplicite.

Tanto per non sbagliare oltre all’irrinunciabile ritorsione contro un’opposizione guidata da un pregiudicato, oltre alla denuncia della macchinazione mossa contro di lui per colpire l’ex premier, oltre alla sarcastica deplorazione per il tradimento dei bersaniani scorretti e gregari, non potevano mancare le patetiche note che sgorgano dal cuore, quando il famiglio più contiguo di Renzi ha ricordato sacrificio e abnegazione dispiegati per il bene comune e l’interesse generale, pilastri della sua attività pubblica tanto da avergli fatto trascurare le gioie della paternità.

Sembra che la sua sia stata una vera e propria arringa, declamata con voce forte e chiara per togliersi qualche sassolino, per lanciare messaggi intimidatori, per riconfermare la sua insostituibilità peraltro ampiamente riconosciuta dal governo del Fotocopia, che per difendersi.

Non ne aveva bisogno: mica era davanti a dei probiviri. Mica era il tribunale del popolo. Mica si officiano là i riti della giustizia, se la bilancia è tarata per pendere dalla parte del più forte. Tanta sicumera, l’arroganza di chi grazie a complicità, correità, favoreggiamento ritiene non a torto di potersi sottrarre alle maglie della legge, di chi presume, purtroppo per noi, di poter contare sulla potenza dell’appartenenza a cosche intoccabili, alla rete del privilegio inalienabile tanto da godere di impunità e immunità, sono la cifra che caratterizza chi aderisce a certe chiese che mettono in condizione il loro clero di scansare le regole e i tribunali ordinari, quelli civili, quelli ai quali dobbiamo e giustamente ricorrere e sottostare tutti noi, gente comune.

Come i preti pedofili, anche i sacerdoti e le milizie fedeli del Discorso Peggiore preferiscono il più tardi possibile essere sottoposti al giudizio divino e godersi il frutto delle loro colpe in terra e alla faccia nostra.