La crisi del Sole 24 ore non è soltanto il fallimento di un giornale, è il fallimento di un intero sistema e della politica che essa ha prodotto. Qui non si tratta solo delle cose che interessano la Consob e la magistratura, non sono principalmente in campo le manovre per accrescere il computo delle copie vendute on line (con contributo dello Stato, ça va sans dire) e quindi aumentare il prezzo della pubblicità, pratiche da cui non credo siano del tutto alieni molti altri quotidiani: qui è in gioco invece il crollo economico di un giornale economico, quello che diceva cosa era giusto e cosa era sbagliato, quello che indicava e sollecitava massacri sociali in favore di Confindustria, che suggeriva le soluzioni e le strade a una politica subalterna, che insomma era il supremo organo dell’ideologia liberista e come tale dettava la linea che veniva dall’Europa.
I 50 milioni di debiti dimostrano in corpore vili che quelle ricette non sono per nulla magiche e che i metodi con i quali Confindustria, proprietaria del giornale, ha tentato di tamponarli e nasconderli rende perfettamente la misura del cinismo della classe dirigente italiana e dell’ex grande capitale. Insomma né verità, né eticità, ma solo impeccabili tecnicismi che in qualche modo tentavano di alludervi. La crisi non risale certo alle manovre degli ultimi anni sulle copie digitali, naturalmente perpetrate in combutta con una società inglese specializzata in vuotaggini pneumatiche, nel tentativo principale di apparire più grande e autorevole soprattutto in campo politico, ma ha radici più profonde che riguardano le ambizioni, i provincialismi amorali, gli errori catastrofici della razza padrona. Radici che affondano già nel periodo di ascesa del craxismo, quando da bollettino di economia il Sole viene utilizzato dal padronato italiano per imporre la prima stagione delle svolte neoliberiste: separazione di Bankitalia, referendum sulla scala mobile, inizio del terrorismo sul debito peraltro esploso proprio in seguito a questi nuovi assetti. Per la bisogna venne congedatonell’83 il direttore Deaglio (marito della Fornero) e chiamato Gianni Locatelli, un non tecnico di area cattolica tanto per cercare l’ennesimo ecumenismo italiano, il quale punta dritto ad allargare gli orizzonti del giornale con un inserto culturale di notevole successo e l’espansione della parte politica e discorsiva della testata.
Crescono le copie e il peso sull’onda dell’egemonia culturale rampante, cresce il fuoco di sbarramento contro lo “stato padrone” mentre il giornale si pone alla testa della campagna eurista dimostrando come Confindustria non avesse proprio capito nulla e operasse in base ad interessi forti, voraci persino opachi, ma guardando al breve periodo, non avvedendosi per nulla, insieme ai suoi referenti politici, che la forza dell’industria italiana era proprio la lira e per certi versi anche la partecipazione statale. Passa il tempo, l’attenzione culturale si muta in trendismo deteriore, grazie all’amerikano Gianni Riotta, il giornale diventa uno degli aedi dell’europeismo oligarchico, un cantore della precarietà, un coreuta della legge Biagi e, dopo la crisi inaspettata del 2008, cane da guardia dell’austerità e dei governi a conduzione berlinese. Proprio il Sole titolando a tutta pagina “Fate presto” spinge e dà l’imprimatur degli industriali al governo Monti nel 2011, terminando l’opera nel 2016 con un appoggio a tutto campo per il Si nel referendum costituzionale: sono anni in cui il direttore Napoletano e il presidente Napolitano hanno fatto squadra. E in fondo entrambi a loro modo hanno cercato di nascondere il fallimento chi con i numeri di vendita, chi dando i numeri.
Non c’è dubbio che tutto questo abbia alla fine portato a una crisi dei lettori e a una crescita esponenziale delle perdite che si è tentato di nascondere con dei trucchetti, gli stessi del resto usati dal potere con le sue statistiche addomesticate o presentate in modo improprio per nascondere il disastro. Il Sole tramonta sulla classe dirigente italiana e sui suoi errori, sulle vulgate ideologiche che li hanno sostenuti e, speriamo, su un progetto di potere entrato in profonda crisi.
Crado che Tra jorge e Learco, Jorge abbia ragione quando dice che anche con la lira la popolazione italiana si sarebbe impoverita. Le svalutazioni competitive venvano scaricate sul mondo del lavoro, nel tempo la sua capacita di spesa sarebbe sempre diminuita, ed avrebbero chiuso i piccoli negozietti o le imprese artigianali presenti nei centri storici Viceversa ha ragione Learco quando dice che la concorrenza degli immigrati e degli extracomunitari , e di tante aree del mondo tra di loro, rende poco realistica la lotta di classe come ad esempio nel maggio francese
Aggiungo a quanto scritto prima che il riequilibrio della bilancia commerciale serve soprattutto per garantire i centri finanziari, con cui i nostri governanti ci hanno indebitato con furbizie tipo il distacco del Tesoro dalla Banca centrale nell’acquisto dei titoli di Stato, che gli interessi sul debito verranno pagati.
Quindi è una tipica manovra a favore delle banche e a discapito dei cittadini.
Monti, a suo tempo, era stato chiaro in modo disarmante: con il taglio della spesa pubblica e dei salari sarebbe crollata la domanda interna e questo avrebbe portato ad una riduzione delle importazioni e al riequilibrio della bilancia dei pagamenti.
Il problema è che questi raffinati calcoli di macroeconomia, elaborati negli ovattati uffici degli economisti, hanno significato sofferenza e miseria per i poveracci che hanno sperimentato in concreto il crollo del mercato interno.
chi vuole legga:
https://vecchia-talpa.blogspot.it/2017/03/prima-era-vendita-oggi-ricollocazione.html
Entschuldigung, ho postato sotto per sbaglio
Bisogna aggiungere che i salari sempre più bassi uccidono il mercato interno come previsto nel 2011 dal premier Monti con una certa qual soddisfazione
sono pienamente d´accordo,una fazione del capitale produttivo italiano voleva proprio questo. Liberersi delle piccole attivitä per sostituirle con le proprie catene produttive e distributive. Tali piccole attivitä sono viste dai grandi come diseconomie per l´azienda italia e per i loro profitti. Volevano fortificarsi “esportando”non solo all´estero maanche in questi spazi “residuali” interni.
Il calcolo e andato storto perche e subentrata la crisi a limitare questa espansione dei “grandi”, che altrimenti con la crescita delle esportazioni avrebbe creato la domanda interna per sostituire i piccoli non solo come produttori ma anche come generatori di domanda . Tanto, dei morti e feriti, e dei salari sempre piu bassi cosa importa al Capitale in senso proprio ?
I capitalisti italiani non sono affatto stupidi, i loro calcoli li avevano fatti bene, solo la crisi del capitale non mettono in conto, dovrebbero riconoscere la categorie della critica della economia politica borghese (non solo marx)
“Con l’euro comprare le materie prime costa meno, ma si vende peggio all’ estero, Ma nessun problema, esportiamo egualmente grazie ai salari sempre più bassi”.
Bisogna aggiungere che i salari sempre più bassi uccidono il mercato interno come previsto nel 2011 dal premier Monti con una certa qual soddisfazione e come è dimostrato dal triste spettacolo di molti centri storici, un tempo ricchi di attività economiche e ora con le serrande dei negozi desolatamente chiusi.
Temo anche che le lotte sindacali siano ormai difficili da condurre, visto che l’elite finanziaria globalizzata è riuscita a mettere in competizione gli operai di casa nostra con quelli del terzo mondo.
Bisogna aggiungere che i salari sempre più bassi uccidono il mercato interno come previsto nel 2011 dal premier Monti con una certa qual soddisfazione
sono pienamente d´accordo,una fazione del capitale produttivo italiano voleva proprio questo. Liberersi delle piccole attivitä per sostituirle con le proprie catene produttive e distributive. Tali piccole attivitä sono viste dai grandi come diseconomie per l´azienda italia e per i loro profitti. Volevano fortificarsi “esportando”non solo all´estero maanche in questi spazi “residuali” interni.
Il calcolo e andato storto perche e subentrata la crisi a limitare questa espansione dei “grandi”, che altrimenti con la crescita delle esportazioni avrebbe creato la domanda interna per sostituire i piccoli non solo come produttori ma anche come generatori di domanda . Tanto, dei morti e feriti, e dei salari sempre piu bassi cosa importa al Capitale in senso proprio ?
I capitalisti italiani non sono affatto stupidi, i loro calcoli li avevano fatti bene, solo la crisi del capitale non mettono in conto, dovrebbero riconoscere la categorie della critica della economia politica borghese (non solo marx)
onore al merito, finalmente delle critiche ai capitalisti produttivi.
solo una osservazione, la lire era la forza della industria italiana in quanto permetteva le svalutazioni competitive. Il lato negativo di queste infatti, veniva scaricato sui lavoratori
Esempio classico, il petrolio risultava più costoso dopo una svalutazione competitiva, ma le industrie lo pagavano uguale a prima, il differenziale in mille modi veniva scaricato sui lavoratori ( aumento bollette, accise etc)
Era così con tutto, infatti i salari italiani sono sempre stati tra i più bassi d’europa, tranne che negli anni della intensa lotta operaia.
Con L’euro, idem, ai padroni i vantaggi di comprare tutto più facilmente (materie prime, delocalizzazioni), ed ai lavoratori la moderazione salariale che consente alla industria italiana di esportare nonostante l’euro sia più pesante e forte della lira.
Insomma, con la lira si vendeva meglio, ma le materie prime costavano di più .Ma nessun problema, i costi di tali materie prime erano scaricati sui lavoratori .
Con l’euro comprare le materie prime costa meno, ma si vende peggio all’ estero, Ma nessun problema, esportiamo egualmente grazie ai salari sempre più bassi.
Insomma, euro o lira, per i lavoratori e per la gente normale non cambia molto (in ognuno dei due casi si va verso il peggio), la differenza la fa il rapporto di forza tra le classi, se la classe lavoratrice non riesce a organizzarsi ed imporsi, va uguale (cioè male) sia con l’euro che con la lira.
All’ Iitalia non conveniva entrare nell’euro, ma per motivi altri che adesso non approfondisco, Far credere alla gente che il suo impoverimento dipenda in primis dall’euro, e solo un modo per impedire a questa fare la lotta di classe per salari più alti. La gente vota per le forze anti-europeiste ( a ragione) , ma si aspetta un miglioramento delle proprie condizioni dalla fuoriuscita dall’euro e non da una ripresa della lotta per il reddito. Senza di tale lotta, anche una fuoriuscita dall’euro, o un ritorno alla lira, non migliorerebbe le nostre condizioni
I vantaggi dell’euro ( per i padroni), negli ultimi anni si sono visti poco, poiche il prezzo del petrolio e rimasto bassissimo per motivi politici (guerra opec al fracking americano- e/o tentativo impoverire la Russia)
Ma quando il prezzo del petrolio tornerà molto alto, allora un ritorno alla lira significherebbe che il maggiore esborso per il petrolio sarebbe pagato dei lavoratori impoverendoli comunque. Senza una ripresa della lotta almeno salariale, euro o lira, perla gente normale niente può cambiare in meglio