occupy_wall_street_1-580x356Era tempo che ne volevo scrivere e che mi prudevano le dita di fronte all’orgia scomposta di globalizzanti delusi e incazzati per le sconfitte subite, all’ottuso bon ton delle sinistre di bandiera bianca, alla confusione che regna sovrana nelle teste di almeno due generazioni allevate con superciliosa attenzione a che non fossero in grado di crearsi una visione complessiva delle cose, non ne sentissero il bisogno o in caso di patologiche nostalgie dell’universale, potessero compralo facilmente nell’emporio del neo liberismo. Così accade che un  numero impressionante di persone crede che mondializzazione e globalizzazione siano sinonimi quando non lo sono affatto e pensa che il venir meno di essa sia automaticamente un rinchiudersi dentro i confini e nelle piccole patrie. Ma non potrebbe esserci idea più falsa perché la globalizzazione non è che il frutto marcio della mondializzazione che esisteva da molto prima.

Quest’ ultima è un fenomeno endogeno del capitalismo nella sua fase espansiva il quale ha la necessità non solo ideologica, ma pratica di  internazionalizzare produzione, commercio, investimenti così da mantenere alto il livello di profitti, sottraendolo al loro declino tendenziale e nelle stesso tempo sostenere i consumi e tenere al livello più basso possibile il conflitto sociale. Per circa due secoli la mondializzazione si è concretata nello sfruttamento generalizzato del pianeta, reso possibile da una temporanea supremazia tecnologica, ma dopo la prima guerra mondiale, la nascita dell’Unione sovietica, lo scontro tra varie fazioni e incarnazioni del capitale, l’allargamento della base produttiva a nuovi Paesi demograficamente giganteschi e con straordinarie risorse intellettuali per non parlare dei i problemi creati dalla devastazione degli equilibri fisici del pianeta, hanno cominciato a cambiare le cose. E così entra in campo la parola globalizzazione che sostanzialmente giustifica e copre tutti i processi di riorganizzazione tecnologica, politica e finanziaria necessari a mantenere alti i profitti e riportare il potere reale nelle mani di pochi. La parola nasce negli ultimi anni ’90, ma già incubava e vagiva nelle teorie neo liberiste e nello loro stravaganti vulgate che liberavano l’idea di disuguaglianza sociale come fondativa dell’essenza capitalistica dai cassetti in cui era stata nascosta per interessato pudore dopo il successo della Rivoluzione d’ottobre, specie dopo la seconda guerra mondiale quando non poté più essere mimetizzata e mistificata dai nazionalismi e i razzismi di varia natura.

In effetti la mutazione globalista per i cittadini dell’occidente significa una cosa sola: che essi rientrano in pieno nei processi di sfruttamento, impoverimento, negazione di rappresentanza e di diritti, riduzione della democrazia a una ritualità e dello stato a gendarme dello status quo che prima era esercitata altrove. Se in precedenza gli eserciti di riserva destinati al sacrificio o a sterilizzare con il loro spauracchio le lotte sociali erano erano lontani, adesso sono dappertutto, ricominciano dalle periferie dell’occidente e marciano con il ritmo imposto dall’egemonia culturale nel frattempo conquistata e tenuta manu militari grazie al controllo della comunicazione. Tutto questo ha ricevuto per trent’anni piena legittimazione anche da quelle forze che avrebbero dovuto rappresentarne il contraltare e – detto per inciso – ogni futura democrazia reale non potrà sottrarsi al compito di analizzare i motivi e i meccanismi grazie ai quali la rappresentanza è stata così facilmente subornata e indotta a tradire in modo così unanime. In realtà niente avrebbe potuto arrestare la marcia dell’oligarchia se non il fatto che essa si regge su gambe contraddittorie che alla fine hanno cominciato a vacillare. L’impoverimento di vasti strati di popolazione a causa della disoccupazione, della precarietà, della sottoccupazione e della caduta generale dei salari,  la progressiva eliminazione dei sistemi di welfare, lo svuotamento della partecipazione attiva e dei suoi strumenti, la crescita esponenziale di pla messa in mora dei diritti, ma anche la nascita di un sistema di comunicazione orizzontale, non controllabile così facilmente come quella verticale, ha prodotto alla fine una cesura realizzatasi con le “insurrezioni elettorali” di varia natura che vanno dalla Brexit, a Trump, ma anche, anzi forse più significativamente, al no opposto in Italia alle manipolazioni costituzionali oppure al fallimento dell’opera di convinzione dei media che ha dato origine alle varie campagne per reprimere la libertà di espressione.

La globalizzazione nel suo significato specifico trema, ma bisogna dire che finora sono stati individuati e spesso confusamente solo singoli colpevoli che possono essere Obama   con le sue promesse mancate o l’Europa degli oligarchi con i suoi strumenti monetari o i subdoli trattati commerciali come il Ttip , ma si fa ancora fatica ad individuare il cervello che guida la banda dell’Uno per cento, come si dice con espressione sintetica, ovvero il pensiero unico e dunque stentano ancora a nascere opposizioni a un tempo radicali, coerenti e concrete come ad esempio potrebbe accadere in Usa attorno a Sanders. Spesso il cittadino tradito, disilluso agisce con quello che ha. Che è abbastanza, anzi necessario a scompigliare la tela del ragno, ma non a scacciarlo.