Salman bin Abdulaziz Al SaudLa guerra dell’ Iraq, della Siria e quella nello Yemen stanno facendo una vittima inaspettata, ovvero l’Arabia Saudita grande cassiere  delle avventure neo coloniali occidentali, ufficiale pagatore del terrorismo e grande protettore del waabismo -salafismo ossia della interpretazione ultraconservatrice e integralista dell’Islam all’origine del jiahdismo e  che per quanto possa sembrare strano ha avuto uno dei suoi motori non nel deserto della penisola arabica, ma a Culver City un sobborgo di Los Angeles e famosa città del cinema ( ci hanno persino girato Via col vento), con la fondazione di una delle prime e più importanti madrase di questa corrente, guarda caso proprio nel periodo dell’invasione sovietica dell’ Afganistan. Tutto si tiene e sarebbe affascinante indagare a fondo su questi legami così apparentemente impropri e paradossali, ma questo ci porterebbe troppo lontano dal tema.

Fatto sta che con il petrolio a basso prezzo il regime di Riad si trova in una crisi gravissima: le enormi spese militari per l’aggressione allo Yemen non hanno ottenuto i risultati sperati, nonostante le stragi e oltre alle casse stanno vuotando la credibilità del regime, l’appoggio finanziario al caos in Medioriente con l’affaire siriano e l’Isis rischia di fare la stessa fine, così come il sostegno a quella specie di Nato araba che la casa reale si è messa in testa di fomentare o le  notevoli spese per il sostegno ai candidati amici nelle elezioni occidentali, ieri la Clinton, oggi Macron in Francia oppure a governi disposti ad appoggiare l’aggressione yemenita. Nonostante il mare di oro nero su cui il Paese galleggia nel 2015 il deficit è stato di  87 miliardi, di 98 nel 2016 e si pensa di portarlo a 57 quest’anno, ma colpendo al cuore le spese assistenziali ovvero quelle che garantiscono il sostegno al regime. La situazione è talmente degradata che a fine febbraio l’Arabia Saudita ha chiesto un prestito di 10 miliardi di dollari al Kuwait che glielo ha rifiutato, respingendo successivamente anche le pretese di Riad sull’interruzione dei rapporti diplomatici con l’Iran: anzi il piccolo emirato ha inviato a Teheran una delegazione e ospitato il presidente iraniano Rouhani.

Insomma è come se un castello di sabbia venisse aggredito lentamente dall’alta marea, tanto più che anche le mosse di emergenza messe in atto dal deus ex machina della monarchia, ovvero il principe Mohammad bin Salman, appaiono difficoltose, come per esempio la vendita dell’azienda petrolifera di Stato Aramco, valutata sulla carta 2000 miliardi di dollari, ma quotata un quarto di quel valore: tutti sanno che continuando su questa strada la compagnia finirà per essere svenduta e i possibili compratori aspettano di vedere il cadavere che scorre lungo il fiume. Insomma L’Arabia saudita ha visto fallire uno dopo l’altro i suoi obiettivi, compresa la strenua battaglia per impedire gli accordi di Vienna e la fallimentare guerra del petrolio con l’Iran conclusasi con l’intermediazione di Mosca, mentre per la prima volta ha subito una pesante sconfitta all’interno dell’Opec di cui tradizionalmente guidava le decisioni. Sarebbe interessante ipotizzare quali sarebbero le conseguenze di una scomparsa della monarchia più arcaica al mondo e forse anche di un Paese che è diventato col tempo una cruna dell’ago attraverso il quale passa ogni schifezza, che è una persistente copertura delle operazioni politiche neoliberiste, un elemento essenziale per nascondere la creazione di caos e una sorta di factotum e di riserva indiana degli Usa, tanto da arrivare ad ospitare i prigionieri di Guantanamo che probabilmente essa stessa aveva foraggiato.

Ma per il momento  è sufficiente notare come il rapido dissolversi della influenza saudita, lo sgretolarsi della sua potenza finanziaria e di conseguenza l’appoggio interno alla monarchia, siano paralleli al declino del mondo unipolare, il sintomo dello sfaldarsi lento e drammatico del mondo costruito attorno alla fine della storia.