1486580972343_1486580987.jpg--per_migliorare_la_produttivita_in_italia_il_modello_e_pomiglianoCome si poteva facilmente prevedere anche la Panda lascia l’Italia per la Polonia concludendo di fatto la storia dell’industria automobilistica italiana: ciò che Marchionne ha annunciato ieri al salone di Ginevra era nelle cose fin da quando fu annunciata l’operazione Chrysler e solo dei cretini persi che si compiacciono di ogni cosa ammerregana, solo dei politici bugiardi e dei sindacalisti complici potevano non accorgersene. E se la logica sottintesa non fosse stata abbastanza chiara sarebbero bastate le prese in giro dell’uomo col maglioncino con i suoi piani industriali di due paginette per illuminare il buio del futuro. Se Pomigliano è sopravvissuta per qualche tempo, a patto di cedere ad ogni condizione del padrone, se è diventata un laboratorio di bastonale al lavoro e ai diritti, lo si deve solo al fatto che i tempi non erano ancora maturi.

Naturalmente a beneficio dei pennivendoli che attorno alla Fiat sono cresciuti come mosche e ancora si accalcano sulla sua carcassa, narrando meraviglie del modello Pomigliano ci sono i soliti discorsi: qui costruiremo solo le auto più complesse, un ragionamento che svela appieno come Marchione sia solo un sicario e che l’evaporazione della produzione automobilistica in Italia ha molti padri, a cominciare dalla famiglia Agnelli e dall’Avvocato per finire alla politica che ha concesso loro tutto quello che chiedevano, persino di fagocitare a costo praticamente zero le altre industrie del settore e chiudere la porta alle case estere dell’auto che volevano venire a costruire in Italia, determinando così per tre decenni la creazione di un vero e proprio feudo di mercato. Così la Fiat si è sentita esentata dalle normali dinamiche, gli Agnelli hanno investito il meno possibile, lo Stato speso somme enormi per risultati il più delle volte mediocri, i sindacati si sono lasciati trascinare da questa logica. Infatti è vero: le case automobilistiche, europee, americane e giapponesi fin dagli anni ’90 hanno cominciato a trasferire altrove le produzioni a minor valore aggiunto, tenendo in casa solo quelle più avanzate e redditizie: il problema è che quando questo processo si è manifestato, i cassetti del gruppo Fiat erano vuoti, i modelli di punta due o tre e per giunta di progettazione piuttosto anziana, con scocche pesanti e poco rigide. Così era destino che soprattutto le piccole finissero altrove e alcune marche scomparissero, come la Lancia. Fra un po’ rimarrà quasi niente come lo stesso Marchionne ammette intrinsecamente: le poche Alfa, le rare Maserati e le Jeep Renegade, una sorta di riuscito collage progettato qui, ma naturalmente privato di ogni riferimento all’Italia,  che tuttavia sono costruite sia in Brasile che in Cina, lasciando a Melfi solo il mercato europeo che è peraltro il più difficile, quello nel quale si cominciano ad evidenziare difficoltà dopo un’effetto novità non supportato da credibili sviluppi. Una cosa che comincia ad investire un po’ tutti i modelli Fiat che consistono ormai solo in rimaneggiamenti sulla scocca e sui motori della 500 dopo un periodo di relativa crescita. In realtà il vero traino alle vendite viene dalla Tipo turca, acquistata prevalentemente dai turchi di Germania e perciò utilizzata come falso segnale di un successo generale. Il fatto è che l’auto più venduta del gruppo è proprio la Panda che si classifica solo al 15° posto nella Ue.

Insomma una lunga catena di errori che alla fine ha trovato il suo assassino definitivo nel finanziere Marchionne che agendo solo in vista del businnes finanziario , ovvero l’unica cosa che capisce e per la quale è stato chiamato dagli Agnelli, ha trasferito di fatto il fulcro della produzione in Usa collegandosi tra l’altro a una marca ampiamente decotta e anche a lei a cassetti vuoti come la Chrysler che spesso si era salvata grazie a unioni con marchi europei (Peugeot e Mercedes) vivamente sollecitate dalle amministrazioni di Washington e finite sempre con un bagno di sangue. Non è certo un caso se le rosee prospettive con cui Marchionne aveva fatto da testimone e da prete al matrimonio, non paiono essersi realizzate perché non solo il gruppo ha perso terreno e posizioni sul mercato globale, ma persino negli Usa è stato superato da Toyota. Naturalmente l’uomo col maglioncino  dice che Pomigliano resterà e produrrà altre cose, pensate un po’ una macchina “premium” come si dice nel linguaggio pubblicitario per citrulli. Già ma quale, con quali numeri di produzione e con quanti lavoratori? Vogliamo fingere di crederci senza nemmeno strappare una garanzia? Così parrebbe perché la cosa viene accettata come di un ineluttabile dato di fatto anche se  a dirla tutta  sarebbe un miracolo se questo governo di bufale o i sindacati di cartapesta intervenissero in qualche modo. O che l’informazione attapirata in elogi che nascondono o edulcorano la realtà facesse domande, perché come si sa si lavora e si fatica per il pane e per la Fca: ci mancherebbe di dubitare delle parole di uno che ha sempre mentito in maniera spudorata. Tra l’altro nessuno ha fatto notare che nell’elenco delle produzioni residuali fatta da Marchionne, manca la Ferrari e state pur certi che non è una dimenticanza, se la vuole vendere per continuare un gioco che ormai mostra la corda e che finirà con l’assorbimento di tutte le attività da parte di qualche altro pescecane.