Anna Lombroso per il Simplicissimus

Per un momento ho pensato fosse un facke, per un momento ho pensato che Gramellini si fosse prestato a interpretare il ruolo del Ghostwriter per riscattare un crudele mariolo rovina famiglie rivelando il suo volto umano. Invece pare sia proprio farina del suo sacco  la letterina  inviata da Matteo Renzi a Grillo reo di aver toccato con parole lorde di veleno i sentimenti più sacri, l’amor filiale e. a un tempo, l’elevato senso di rispetto per le istituzioni.

Il comico prestato alla politica ha detto qualcosa che abbiamo pensato tutti, quando l’ex premier nel corso di una trasmissione da sempre a suo irriducibile uso provato ha proclamato che se suo padre fosse colpevole dovrebbe pagare il fio doppiamente, proprio in quanto “babbo” di un uomo pubblico, a conferma che la giustizia viene interpretata come terreno nel quale sono autorizzate scorrerie, pressioni, impieghi  e interpretazioni arbitrarie da parte della politica, perfino nel caso che le leggi ormai diffusamente ad personam puniscano di più chi è più in vista, per scopi esplicitamente propagandistici e pubblicitari, che tanto poi arrivano salvifiche prescrizioni.

A fronte della scriteriata e dissennata difesa del compagnuccio di merende Lotti, l’esternazione sul padre è suonata, a chiunque abbia avuto la ventura di sentirla o leggerne,   come una necessaria condanna in nome della superiore e obbligatoria esigenza di sacrificare un capro peraltro  non innocente per il bene sovrastante dell’azienda, anzi della Famiglia in quell’accezione che evoca interessi opachi, patti inquietanti, interessi loschi.

Pensando realisticamente, quindi male secondo il trend attuale che preferisce aeree menzogne e un favoleggiare consolatorio alla dura realtà, avevamo sottovalutato che la narrazione dell’ex  ha preso un’altra piega più lirica, che è iniziata la fase del delicato sentimentalismo proteso a mostrarci l’uomo, anzi l’eterno boy scout, la sua innocenza, la sua trepida affettività che era stato costretto a celare sotto i panni dovuti e imperativi dello statista. Qualche avvisaglia l’avevamo già avuta quando con la stessa commozione di era messo nelle vesti femminee di un’altra amorevole figlia sotto attacco, prodigandosi per salvare un altro padre, bancario, e con lui altri criminali dotati di affettuosa prole  e non, incaricati di seminare morte e distruzione in famiglie meno in vista e meno protette.

È nel segno di questa delicata svolta passionale che l’inguaribile giovanotto ricostruisce con toni densi di flautata commozione le tappe dello straordinario rapporto che ha unito un padre speciale e un figlio più speciale ancora. E racconta: è un uomo vulcanico, pieno di vita e di idee (anche troppe talvolta). Per me però è semplicemente mio padre, mio babbo. Mi ha tolto le rotelline dalla bicicletta, mi ha iscritto agli scout, mi ha accompagnato trepidante a fare l’arbitro di calcio, mi ha educato alla passione per la politica nel nome di Zaccagnini, mi ha riportato a casa qualche sabato sera dalla città, mi ha insegnato l’amore per i cinque pastori tedeschi che abbiamo avuto, mi ha abbracciato quando con Agnese gli abbiamo detto che sarebbe stato di nuovo nonno, mi ha pianto sulla spalla quando insieme abbiamo accompagnato le ultime ore di vita di nonno Adone, mi ha invitato a restare fedele ai miei ideali quando la vita mi ha chiamato a responsabilità pubbliche.

È un peccato che da Enrico e il suo papà secondo De Amicis, si scivoli irresistibilmente verso altri celebrati padri e figli letterari, quelli di Turghenev che descrive perfettamente il Renzi jr, ma anche quello senior quando parla di un uomo “che non presta fede a nessun principio, da qualsiasi rispetto tale principio sia circondato”. Ma senza la grandezza epica delle famiglie tossiche di  Dostoevskij, che qui siamo semmai al cospetto di un babbo gogoliano che si prodiga in traffici e intrallazzi pro domo sua, per il riscatto ambizioso e arrivista della prole da una mediocrità affrancata grazie all’intrigo spregiudicato e disinvolto. Certo è che i lombi diventano sacri e inviolabili grazie  all’appartenenza a un ceto di intoccabili, per il quale le colpe non ricadono né di padre in figlio né di figlio in padre, e blasonate carriere interrotte da inopportuni rolex vedono subitanee rimonte, e dinastie monarchiche e imprenditoriali ree di ogni genere di misfatto restano sempre in auge e in libertà.

Già stamattina circolavano sui social network i copia-incolla della toccante esternazione, che per una volta ha superato e di molto le 140 battute degli annunci governativi. Non c’è da stupirsi se c’è gente che ha dato credito alle lacrime della Fornero, all’occupazione secondo il Jobs Act, ai disuguali diritti dei gay secondo  Scalfarotto, alla preparazione al lavoro e alla vita dei nostri figli secondo la Buona Scuola: si tratta di affini, si tratta di affiliati, si tratta di coloro che sono persuasi che sentimenti, felicità, sicurezza, garanzie, siano un loro appannaggio esclusivo. E che per difendere questo bene riservato e elitario sia lecito anzi obbligatorio alienare i nostri, toglierci certezze, speranze, aspettative, vocazioni, rompere patti millenari di affetto e solidarietà, suscitare conflitto e inimicizia, alimentare l’odio e il sospetto.

Se quelli sono i partiti dell’Amore, come quando c’era lui, se quelli sono i loro leader e militanti, allora sarà bene organizzare quello della giusta collera e della sacra indignazione, e metterci Franti segretario.