Anna Lombroso per il Simplicissimus
Nei giorni scorsi sono state arrestate sei persone nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di fatica di Paola Clemente, 49 anni, bracciate nei campi intorno ad Andria con una paga di 2 euro all’ora. La sua giornata cominciava alle 2 di notte, quando andava a prendere l’autobus per arrivare alle 5.30 a San Giorgio Jonico (ne avevamo scritto qui: https://ilsimplicissimus2.com/2015/08/05/a-sud-di-nessun-nord/). A casa, dove la rivedevano non prima delle 3 del pomeriggio, in alcuni casi anche alle 6, portava 27 euro al giorno.
Nel provvedimento cautelare che ha portato al fermo di tre dipendenti di un’agenzia di lavoro interinale di Noicattaro, il titolare della ditta addetta al trasporto delle braccianti agricole e una donna che aveva il compito di controllare le lavoratrici sui campi, tutti residenti nel Barese e nel Tarantino, si può leggere il racconto di un’altra bracciate che conferma la natura criminale dello sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori anche da parte delle agenzie interinali: “Una volta sul pullman, nel momento in cui venivano distribuite le buste paga, ha detto la testimone, alle nostre lagnanze perché i conti non tornavano, ci hanno risposto che non dovevamo lamentarci. Così nessuna ha più parlato, anche perché si ha paura di perdere il lavoro, anche io adesso ho paura di perdere il lavoro e di essere chiamata infame”. Infame perché il ricatto e l’intimidazione svelati potrebbe farlo perdere anche a altri finiti nella rete assassina degli stessi gangster.
Meglio di niente si dirà. Un po’ conforta che, sia pure nel timore di una prevedibile “indulgenza” tramite prescrizione, siano stati assicurati alla giustizia i più appariscenti addetti al caporalato, quelli che sfruttano a pari titolo italiani e quelli che pare vengano qui a portargli via la stessa fatica bestiale, per una volta uguali nella disuguaglianza iniqua che è ormai la cifra del nostro sviluppo. Un po’ consola anche se finisce per redimere un governo e una politica che si sono occupato del caporalato più appariscente e cruento, quello arcaico perseguito con molte cautele e molti distingua grazia a un provvedimento tardivo e riduttivo che “punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque recluta manodopera per destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, e chi utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di caporali, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”.
Mentre continuano ad essere legali e dunque impunite altre forme di caporalato, quella miriade di “modelli” contrattuali, tutti imperniati su discrezionalità, arbitrarietà, elusione delle regole, ricatti e capestri, vaucher, tagliole, lettere in bianco e così via che animano il mercato del lavoro in una società che non lo promuove, non lo produce, non lo rispetta, non lo tutela, non lo vuole. Dove è preferibile la servitù, con la sua mortificante instabilità, con lo stato di perenne incertezza, con una mobilità umiliante e spaesante che investe luogo e status, determinando un senso di isolamento e solitudine che condanna i lavoratori non sindacalizzati, persuadendoli che la loro esistenza dipende da altri, che la libertà ha perso senso se non si hanno più diritti, diventati, nel migliore dei casi, elargizioni benevole.
E non sono mica meno cruenti questi altri profili di “esaurimento” del lavoro e dei lavoratori, che assume forme patologiche fisiche e mentali fino ad arrivare al suicidio. Ma che trasforma in malattia la vergogna di subire, il senso di inadeguatezza, l’umiliazione di non veder riconosciuti talenti e esperienza, la mortificazione di prestarsi a un volontariato di chi non ha a beneficio di chi ha già troppo., l’onta di essere condannati allo status di addetti “accessori”, senza altro diritto che quello di accedere a “buoni”, quei vaucher che col loro successo infame hanno decretato la fine legale e giuridica di ogni speranza di garanzia e tutela, se il 75% dei nuovi rapporti di lavoro sono precari, se l’occupazione secondo il jobs act è stata ridotta a un assistenzialismo statale alle imprese in un’economia senza domanda, grazie alla diffusione dilagante di mansioni vincoli temporanei, provvisori e soggetti a minacce e coercizioni dentro e fuori il perimetro del lavoro subordinato e al trasferimento di ingenti risorse pubbliche alle aziende.
Non è meno sanguinoso e crudele il processo di censura e autoregolamentazione imposto ai cittadini e che deve convincere a chi vuole entrare nel mercato delle necessità di rinunciare a dignità, aspirazioni, aspettative, fino all’abiura di quella identità sociale data dall’appartenenza a comunità che si riconoscono a vicenda, che comunicano e esprimono speranze, bisogni e rivendicazioni.
Secondo un’aberrante mutazione che dovrebbe farci dimenticare la coscienza di classe e l’auspicio che non sia per sempre e inesorabilmente quella che, pur stando dalla parte giusta, è dunque e per questo condannata alla sconfitta. Non arrenderci lo dobbiamo a Paola, a milioni di sfruttati, a noi stessi.
A Paola, agli sfruttati, agli esclusi
Sto al confino, ci stanno quelle come me in questi tempi, non siamo pochi per la ragione e la morale, siamo imponderabili per la giustizia e la rivoluzione. Sto al confino ma ancora ho qualcosa di limitrofo all’umano che non immedesima nessuno ma all’occorrenza emergendo a tratti molto molesta i passanti. Confino ancora con troppe cose confino con i vostri sentieri e potete immaginarvi il passo, proprio identico al vostro Confino con un passato troppo recente di banchi di scuola gite in motorino cinema d’essai, confino con le vostre vacanze e le stesse case, confino con amori troppo simili e simili abbandoni, confino visibilmente con il tran tran e la fatica del lavoro, eccessivamente ancora con le vostre vite confino per non farvi paura. E poi, confino ancora con troppe parole, parole che sapete ancora con vergogna riconoscere, quelle che da me s’estendono, oltre le vostre orecchie, come vele che portano al largo.
“Non arrenderci lo dobbiamo a Paola, a milioni di sfruttati, a noi stessi.”
musica, anche per la Boldrini , qualora apprezzasse l’arte:
beh… con il via libera al licenziamento illegittimo del Jobs Act ( detto nel latinorum 2.0 …), temo che di ali di pietra soprattutto fra i maschi delle classi subalterne e disorganizzate, ne spunteranno numerose per i più svariati motivi.
“Un po’ conforta che, sia pure nel timore di una prevedibile “indulgenza” tramite prescrizione, siano stati assicurati alla giustizia i più appariscenti addetti al caporalato, quelli che sfruttano a pari titolo italiani e quelli che pare vengano qui a portargli via la stessa fatica bestiale, per una volta uguali nella disuguaglianza iniqua che è ormai la cifra del nostro sviluppo. Un po’ consola anche se finisce per redimere un governo e una politica che si sono occupato del caporalato più appariscente e cruento, quello arcaico perseguito con molte cautele e molti distingua grazia a un provvedimento tardivo e riduttivo che “punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque recluta manodopera per destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, e chi utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di caporali, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”.”
Chissà cosa potrebbe dire una come la Boldrini a riguardo:
ed il sindacato, cosa può dire a proposito ?