news_237818-680x365Per decenni in tutto il mondo occidentale si è tentato di trasformare la scuola da luogo di formazione e di emancipazione così come era stata pensata da due secoli in una sorta di addestramento e preparazione al lavoro, modellando il tutto sul calco anglosassone nel quale le istituzioni scolastiche vertono attorno a due pilastri fondamentali: l’aggregazione ideologica e pragmatica dell’elite di comando oppure il rinvio diretto al job con il conseguente iper specialismo che spesso si configura come iper ignoranza oltre che come sostanza letale per l’elasticità e la tanto venerata creatività. Un panorama funzionale alla privatezza della scuola e dunque del sapere che tutti gli sciocchi non vedono l’ora di imitare anche perché la formazione culturale è ciò che il potere oligarchico teme di più.

Ma ecco che a metà del guado in quest’opera di distruzione della scuola come indispensabile elemento di costruzione di cultura e di cittadinanza sta cadendo un meteorite gigantesco: ovvero la progressiva scomparsa del lavoro, insidiato non solo dalla centralità assoluta del profitto che ha portato alla globalizzazione e dunque al trasferimento della produzione materiale  in altri continenti, ma sempre di più anche all’automazione che comincia a falcidiare proprio quelle attività al cui avviamento è sempre più orientato il sistema scolastico. In appena dieci anni vengono calcolati decine di milioni di posti di lavoro in meno in Europa, a cominciare – tanto per mettere nel falò un argomento di giornata – dai tassisti sostituiti da sistemi di guida automatica per andare ovviamente alle attività industriali, ma anche terziarie, assistenziali e persino agricole. Per evitare un impatto troppo rapido e tragico bisognerebbe già da oggi fare l’esatto contrario di quanto viene predicato: ossia ridurre gli orari di lavoro, restituire una direzionalità economica allo Stato,  aumentare i servizi correlati al welfare, rendere più salde le tutele e l’assistenza, adottare coerenti politiche monetarie, salutando caramente tutto ciò che lo impedisce, favorire alla  disperata gli investimenti nei settori trainanti di questi nuovo mondo, cercando di sfruttare al massimo la rinata multipolarità mondiale. Non è una soluzione politica, è semplicemente buon senso, un cercare di non essere travolti, di salvare qualche zattera sulla quale ricostruire un futuro sociale anche se si tratta di buttare nel luogo più acconcio, solitamente di forma ovale, tutto il ciarpame neo liberista del quale siamo incrostati.  Che già sarebbe un bel risultato per l’intelligenza e persino per il buon gusto visto che gli aedi prezzolati dicono che l’automazione ha sempre creato più posti di quanti non ne abbia tolti, non rendendosi conto della rivoluzione epocale alla quale siamo di fronte e nemmeno dei diversi punti di partenza storici che rendono completamente prive di senso le loro litanie. Probabilmente non sarebbe difficile creare un robot capace di allineare in sequenze opportune luoghi comuni in maniera da poter fare a meno dei commentatori di questa risma.

Si tratta comunque di problemi immensi che richiedono ben più di poche righe e l’assemblaggio di migliaia di esperienze e di saperi, che domandano un ampio discorso pubblico purtroppo intralciato dai media e dai loro bottegai delle notizie. Ma torniamo alla scuola da cui siamo partiti: in una situazione nuova, di costante e rapida trasformazione l’istruzione intesa come addestramento al lavoro è il peggio che si possa immaginare perché dai banchi a un immaginario bancone, anche ammesso che ancora vi sia, tutto, ma proprio tutto potrebbe essere cambiato. Paradossalmente diventa vincente proprio la vecchia scuola con la sua aspirazione ad essere luogo di formazione culturale di base, che non crea conoscenze troppo definite, ma essenzialmente la capacità e l’abilità di acquisire nuovi saperi e magari, nei casi migliori anche la voglia di acquisirne. In questo modo le persone sarebbero più attrezzate a far fronte ai cambiamenti, magari a immaginarli e a lottare perché essi prendano una direzione e non un’altra.

Tutto questo è una montagna gigantesca che si staglia sul futuro di tutti, figuriamoci poi in questo Paese governato come peggio non si potrebbe, nel quale l’unica risposta al problema è stata la denatalità selvaggia. E che anzi arriva ad essere “moderno” così in ritardo che il moderno nel frattempo è andato in coma.