cover_analfabetismofunzionalebisCome dicevo ieri  ( vedi  Note sulla diaspora europea ) è forse troppo tardi per approfittare dei cambiamenti che si annunciano a grandi passi perché il declino italiano, la deindustrializzazione selvaggia è andata troppo avanti. Ma forse è anche troppo tardi per recuperare un patrimonio linguistico e culturale che è stato mandato al macero dagli imbecilli di destra e di sinistra  nel corso di trent’anni. Tardivamente un folto gruppo di docenti universitari, 600 per l’esattezza, raccolto nel Gruppo di Firenze tenta di reagire e al disastro ormai conclamato, al fatto che persino i laureati ormai non sappiano più scrivere né parlare in italiano e invia un grido di dolore alla presidenza del consiglio e al ministero dell’istruzione dove si spera che qualcuno sia in grado di leggerla e di comprenderla. Forse.

In realtà questo declino va avanti da molto tempo, nonostante i tanti allarmi lanciati da illustri accademie come quella della Crusca o da studiosi di prestigio come de Mauro (tuttavia non esente da colpe), ma lo si arriva a toccare con mano solo adesso che le vittime di ignobili quanto idiote riformine concentriche della scuola o di mancate riforme cominciano ad arrivare alla laurea e ai concorsi: c’è stata certo passività da parte dei docenti di ogni genere e grado nell’accettare questa forma di regressione culturale quando non addirittura un’attiva complicità, ma alla fine il drammatico risultato è frutto di una involuzione generale del Paese e delle sue classi dirigenti che dalla metà degli anni ’80, di fronte alla fine del bipolarismo geopolitico e culturale hanno pensato di fare cosa buona e giusta prendendo di peso il modello americano e importandolo in un contesto completamente differente nel quale i guai provocati di un sistema scolastico che oggi appaiono chiari anche agli americani non sono stati affatto smussati, ma invece esaltati.

Prima è arrivata l’abolizione del latino che costituisce il retroterra semantico dell’italiano, poi si è passati a porre un’enfasi del tutto spropositata sull’inglese, tra l’altro del tutto asimmetrica in relazione ai nostri legami economico commerciali, poi si è arrivati a sostituire interrogazioni e prove scritte con i famosi test a scelta di risposta che sono una delle cose più deprimenti non solo per l’educazione, ma per l’elasticità mentale e infine si è arrivati a una concezione privatistica della scuola, favorendo sfacciatamente quella privata dalle elementari all’università, ma introducendo anche in quella pubblica criteri analoghi e quindi favorendo la battaglia per l’accaparramento di studenti anche con la tacita offerta di valutazioni a maglie molto larghe. Insomma alla fine non si è prodotta altro che un’ avvilente banalizzazione della scuola, si è premuto l’acceleratore del nozionismo più elementare invece che sulla capacità di elaborazione, si sono dissipati saperi in cambio di presunte competenze basiche: di tutto questo ha fatto le spese prima di tutto l’italiano, considerata materia secondaria e lasciato in pasto a una localistica e dialettistica rudimentale, dimenticando che una che una lingua è anche il luogo dei valori, dell’immaginazione, dei rapporti e in una parola anche del senso civico. Ma oltre a questo chi non si sa esprimere in maniera corretta scrivendo, chi non impara a interpretare un testo non impara nemmeno a pensare: non esistono scienziati o pensatori sgrammaticati e se è per questo Einstein aveva voti migliori in latino che in matematica.

Oggi gli Usa sono costretti ad importare selvaggiamente cervelli da altrove, proprio perché il loro sistema scolastico, costruito su una concezione elitaria tipica del mondo anglosassone, non ne produce abbastanza quindi figuriamoci noi scialbi imitatori che ci troveremo a scontarci con nuovi soggetti globali dotati di sistemi educativi molto più consistenti. L’idea che conoscendo quattro parole di inglese ce la si cava comunque, come pensano i renzuscones più idioti (anche ammesso che ce ne siano di intelligenti, ma ci vorrebbe un viaggio a Lourdes per ottenere lo scopo) e come hanno fatto credere agli italiani, le cui competenze linguistiche medie sono a livello dell’immigrazione più recente è solo un delirio da bottegai che alla fine si esaurisce in un orgia anglofila mediatica che non rappresenta affatto un sintomo di conoscenza o di apertura, ma soltanto un segnale di auto subornazione.